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— Insomma, a che ora atterriamo? — disse Paco.

Ma nulla ormai poteva interrompere Hesper. — Tuttavia dobbiamo anche notare la minuta presenza di metano, uno virgola cinque parti per milione. Non è molto, in effetti, ma da dove viene questo metano? Il metano si ossida rapidamente in acqua e anidride carbonica. Se l’atmosfera di questo pianeta fosse equilibrata, il metano non sarebbe più presente già da tempo. Pertanto dev’esservi qualche fonte di squilibrio: capite ciò che intendo? Qualcosa genera continuamente nuovo metano, sostituendo il metano ossidato. Ora, di cosa può trattarsi? Di processi metabolici in corso? Di batteri o altri organismi? Vita, in ogni caso, di un tipo o di un altro. Ogni indicazione raccolta finora indica quindi un certo grado di abitabilità.

— E se il pianeta fosse già abitato? — chiese Heinz. — Che facciamo se non vogliono intrusi tra i piedi?

— Be’, certamente non abbiamo alcuna intenzione di atterrare su un pianeta già abitato da forme di vita intelligente. Questo però può essere facilmente determinato mentre siamo ancora a una certa distanza: l’emissione di onde radio modulate, per esempio, oppure determinati segni di sfruttamento del territorio…

— Quanto dista questo pianeta dalla nostra posizione attuale? — domandò Sylvia.

Hesper parve a disagio. Aprì le dita delle mani piccole e curate e guardò silenziosamente il comandante.

— Non è facile rispondere a questa domanda — spiegò il comandante. — Fino a quando viaggeremo nel non-spazio non avremo coordinate su cui basarci tranne quelle della Terra.

— Rispetto alle coordinate della Terra, allora — insistette Sylvia.

— Circa novantadue anni-luce — disse Hesper a quel punto.

Un generale mormorio attraversò il corridoio. Novantadue anni-luce era una definizione che portava il peso di un’enorme distanza.

— Dovremmo riuscire a raggiungerlo — riprese il comandante facendo una stima rapida quanto approssimativa — in meno di sette mesi.

Cessato il mormorio, Hesper riprese a parlare: — L’altro prospetto per noi interessante, che chiameremo pianeta B, dista ottantasei anni-luce dalla Terra e possiede caratteristiche molto simili al pianeta A, anche se presenta maggiori indicazioni sulla presenza di molecole organiche — spiegò, mentre un nuovo schema virtuale comparve a mezz’aria a poca distanza dal primo, undici puntini di luce ammassati attorno alla loro piccola, luminosa stella. Di nuovo, Hesper cominciò a parlare di spettri, costanti solari, gradienti di temperatura, dimensioni probabili, attrazione gravitazionale, emissioni elettromagnetiche e tutti gli altri fattori che andavano considerati.

Qualcuno dei più cauti chiese se avevano abbastanza informazioni da pensare a un atterraggio.

Il comandante rispose affermativamente. Quanto sapevano bastava per consigliare almeno una missione esplorativa. Ciò che non sapevano lo avrebbero appreso inviando delle sonde automatizzate sui pianeti prescelti, per poi decidere se intraprendere o meno un’esplorazione su vasta scala. Ma, per prima cosa, dovevano decidere se abbandonare il corridoio di non-spazio e avvicinarsi ai pianeti designati. Questo comportava alcuni rischi, ma non potevano evitarlo. I rischi si sarebbero presentati ogniqualvolta uscivano dal non-spazio o vi rientravano nuovamente: ecco perché la decisione andava valutata attentamente.

A quel punto, il comandante decise di sottoporre la questione al voto dell’equipaggio: la sua proposta era di esplorare dapprima il pianeta A; se questi si fosse rivelato inadatto, potevano esplorare il pianeta B.

Nessuno si oppose: dopotutto erano lì per cercare un nuovo mondo su cui vivere.

Giocare a Go sembrava allentare la tensione di Noelle. Ormai giocava ogni giorno da settimane, venendo presto presa dal gioco come gli altri. E, per dirla chiaramente, la sua abilità era semplicemente impressionante.

Il comandante fu il suo primo avversario. Visto che non giocava da anni, inizialmente si rivelò molto arruginito. Ma, in pochi minuti, i vecchi schemi ritornarono alla mente e si ritrovò a disporre muraglie di pedine con abilità. Nonostante si aspettasse di vedere Noelle perdere miseramente, incapace di ricordare la disposizione sulla scacchiera dopo le prime poche mosse, lei si rilevò in grado di tenere tutto a mente senza la minima difficoltà. Solo in una cosa Noelle aveva sopravvalutato le proprie capacità: nonostante tutta la coordinazione e l’impegno che ci metteva, non riusciva a sistemare le pedine senza spostare!e pedine già sulla scacchiera. Le proteste del comandante la spinsero ad ammettere a se stessa questa sua difficoltà, e da lì in poi si accontentò di indicare la mossa ad alta voce, M17, Q6, P6, R4, C11, e lui sistemava le pedine per Noelle. Inizialmente, il comandante giocò senza aggredirla, dando per scontato che una novellina tosse debole e disordinata, ma presto la scoprì capace di difendere con le unghie e con i denti il suo territorio, portando al contempo feroci attacchi all’avversario. Allora decise di sviluppare strategie più offensive. La prima partita durò due ore, e lui vinse con sedici pedine di vantaggio: un buon margine, ma nulla di cui potersi vantare, considerando che il comandante giocava ormai da anni e che lei era alla sua prima partita.

Gli altri si dimostrarono scettici sull’abilità di Noelle. — Logico che giochi bene — borbottò Paco. — Tutti sanno che può leggere la mente, e quindi vede la scacchiera attraverso gli occhi dell’avversario e sa in anticipo quale sarà la sua mossa.

— Insomma, basta con questa leggenda. La sola mente che può leggere è quella di sua sorella — scattò il comandante.

— Come fa a saperlo con certezza? Forse non dice la verità.

Il comandante s’incupì. — Giocateci voi, allora, poi vedrete se legge la mente o se è semplicemente molto abile!

Con una torva occhiata, Paco concordò. Quella sera sfidò Noelle e più tardi tornò dal comandante con aria quasi dispiaciuta. — Gioca molto bene, accidenti. Mi ha quasi battuto, e lo ha fatto onestamente.

Il comandante giocò una seconda partita con Noelle. Lei sedette tutto il tempo senza muoversi, occhi chiusi, labbra tese, indicando le sue mosse con voce bassa e monotona come un robot. In effetti, in quel momento ricordò al comandante qualche sorta di dispositivo intelligente concepito apposta per il gioco. Raramente pensava più di qualche secondo alle proprie mosse, e non compì mai alcun errore tanto palese da dover ritrattare. La sua capacità di sviluppare degli schemi di gioco era cresciuta con incredibile rapidità, in quei pochi giorni: dopo poco meno di mezz’ora, il comandante si ritrovò quasi escluso dal centro della scacchiera e dovette dar fondo a tutta la sua perizia per vincere di stretta misura. Dopodiché Noelle perse ancora una volta con Paco e poi con Heinz, mostrando però dei progressi tecnici incredibili, e finalmente, dopo soli quattro giorni dalla sua prima partita, sconfisse Chang, un giocatore rispettato. Da quel momento in poi divenne invincibile. Giocava due o tre partite al giorno, e trionfò su Leon, Elliot, il comandante e Sylvia. Go era diventato qualcosa di speciale per lei, qualcosa che andava ben oltre il semplice gioco concepito per mettere alla prova la propria agilità mentale. Concentrava le sue energie a tal punto su quella scacchiera che giocare equivaleva quasi a una disciplina religiosa, una sorta di meditazione. Il sesto giorno sconfisse Roy, il campione in carica, con tanta facilità da lasciare tutti di sasso. Roy non parlò d’altro per tutta la sera. Il giorno dopo chiese la rivincita e venne nuovamente sconfitto.

Da allora non smise mai di giocare. Sedeva, avvolta da una luminosa sfera di “Noellità”, come una sorta di creatura ultraterrena che per strani e misteriosi scopi aveva deciso di cercare la pace in quel piccolo universo composto di pedine bianche e nere.