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“Finalmente è deciso: compiremo la nostra prima visita planetaria. La prima di chissà quante. Quando, mi chiedo, potremo finalmente fermarci nella nostra nuova casa? Non potrebbe darsi che questo primo tentativo ci porti a scoprire un pianeta praticamente abitabile, ma con qualche serio inconveniente che causerà lunghe, spossanti discussioni sull’opportunità o meno di restare? Nessuno di noi desidera stabilirsi su un pianeta non completamente adatto, naturalmente, ma qual è la definizione di pianeta adatto? Un pianeta che sia uguale alla Terra al novantanove virgola settantasette per cento? Cieli azzurri, nuvole soffici, foreste verdi, gravità perfetta, clima piacevole, frutti maturi e commestibili sugli alberi, animali facilmente addomesticabili e utili per costruire la civiltà che verrà… trovare un posto come questo è quasi impossibile. Se restiamo idealmente attaccati all’immagine della Terra, percorreremo in lungo e in largo la galassia per i prossimi cinquantamila anni.

“Il pianeta su cui ci stabiliremo, al contrario, presenterà molte delle caratteristiche terrestri, ma non tutte. È ovvio che abbiamo bisogno di un’atmosfera basata sull’ossigeno, una disponibilità d’acqua praticamente illimitata e un sistema biochimico compatibile con il nostro organismo. Non potremo mai stabilirci su un pianeta per noi velenoso, né su un pianeta pieno di virus letali o dotato di una gravità eccessiva: tuttavia, dobbiamo capire che, ovunque ci stabiliremo, sarà necessario effettuare dei profondi interventi sull’ambiente, sfruttando tutta la nostra tecnologia per adattare il territorio alle nostre esigenze. E, probabilmente, sarà necessario intervenire anche sul nostro patrimonio genetico: forse un giorno giungeremo al punto di discutere seriamente se i nostri figli o i nostri nipoti potranno essere considerati umani oppure no.

“L’equipaggio sarà disposto a intraprendere questa strada dopo la prima, la decima, la centesima esplorazione planetaria? Oppure voterà sempre contro, sperando di trovare qualcosa di meglio nel prossimo futuro? Siamo forse destinati a sprecare l’intera nostra vita in cerca del pianeta perfetto?

“Un comandante autocratico potrebbe obbligare l’equipaggio a fermarsi su un determinato pianeta semplicemente ordinandolo. Ma il modo in cui il comando è stato concepito qui a bordo nega la possibilità di un potere autocratico. E, in ogni caso, quando raggiungeremo il pianeta A, io non sarò più il comandante, poiché il mio anno sarà giunto al termine. Potrebbero rieleggermi, comunque, e questo mi darebbe l’opportunità di far pesare il mio parere riguardo la convenienza o meno di stabilirsi sul pianeta A o, eventualmente, sul pianeta B. Tuttavia, se voglio far parte della squadra che condurrà la prima esplorazione non posso essere rieletto. E darei qualunque cosa per far parte di quella squadra. Ma purtroppo non posso avere entrambe le cose.

“Chi sarà il mio successore? Heinz? Roy? Sieglinde? Adesso come adesso non vedo alcun candidato ideale, e questo mi mette a disagio. Tutto può succedere una volta che questa assemblea di prime donne comincia a votare: ecco perché mi sento così restio a passare a qualcun altro la responsabilità del comando.

“Un’altra cosa va considerata. Davvero possiamo uscire dal non-spazio e rientrarvi con la massima facilità? Questa, dopotutto, è un’astronave sperimentale. Non siamo completamente sicuri della sua capacità di assorbire certe sollecitazioni. Potrebbe riservarci un sacco di sorprese al momento cruciale. E poi bisogna valutare anche un aspetto matematico di cui non avevo idea. Ne parlavano Roy e Sieglinde proprio l’altro giorno. Il propulsore stellare, dicevano, obbedisce a fenomeni probabilistici ancora poco compresi… anzi, a essere sinceri, ancora del tutto inspiegati. Ogniqualvolta abbandoniamo il non-spazio o vi rientriamo esiste la possibilità che l’astronave reagisca in modo totalmente inaspettato. Può succedere che qualcosa vada storto, qualcosa che non saremo in grado di correggere, obbligandoci a fare i conti con un catastrofico guasto che potrebbe bloccarci ovunque capiti, non-spazio o spazio normale. Anzi, adesso che ci penso, potrebbe benissimo capitare che, quando cercheremo di tornare nello spazio normale, scopriremo che per qualche motivo risulterà impossibile.

“Certo che questo è proprio un bell’elenco di preoccupazioni per due misere pagine di un giornale di bordo; tuttavia mettere per iscritto le proprie preoccupazioni ha, secondo me, un buon effetto terapeutico. In realtà, io affronto questi problemi esattamente come affronto tutti i problemi della mia vita, cioè uno alla volta, nell’ordine più appropriato. Adesso, per esempio, è completamente inutile preoccuparsi di cosa faremo una volta trovato un pianeta abitabile, per il semplice motivo che il primo, il pianeta A, dista più di sei mesi da qui. Pertanto non vi è neppure bisogno di chiedersi se riusciremo a lasciare il non-spazio e se riusciremo a rientrarvi. E per quanto riguarda l’elezione del nuovo comandante, devo confidare nel buon senso e nella capacità di scelta dei miei compagni di viaggio, invece di preoccuparmi della mia presunta indispensabilità e della possibilità che mi sostituiscano con una sorta di pagliaccio.

“Ciò di cui mi devo preoccupare adesso è solo di localizzare il pianeta A con delle plausibili coordinate einsteniane, avvicinarsi quanto più possibile senza abbandonare il non-spazio e uscire da questo tunnel non relativistico a una distanza che ci consenta di raggiungere facilmente il sistema solare della nostra prima proiezione.

“In teoria, dovremmo riuscirci abbastanza facilmente. Fallire proprio su ciò che abbiamo studiato con più profitto getterebbe una pessima luce sul nostro futuro.

“Ormai siamo in viaggio per la nostra prima, grande esplorazione. Non credo affatto che troveremo la Nuova Terra al primo tentativo. Tuttavia, chi non risica non rosica. Ed esiste sempre la possibilità, piccola, molto, molto piccola, di riuscire a trovare subito ciò che stiamo cercando. Tutt’e due i pianeti mostrano delle caratteristiche molto interessanti, per quanto possiamo dire a questa distanza con le apparecchiature a nostra disposizione. Quello che dobbiamo fare adesso è andare là e vedere di persona.”

Trasmissione del mattino. Noelle sedeva dando la schiena al comandante, e ascoltava ciò che lui le leggeva, per poi inviarlo telepaticamente attraverso un baratro che ormai misurava più di venti anni-luce. — Aspetti — disse. — Yvonne mi chiede di ripetere. Ricominciamo da “metabolico”.

Lui si fermò, tornò indietro con lo sguardo e riprese a leggere.

— L’equilibrio metabolico generale rimane buono anche se, come già riferito in precedenza, alcuni membri dell’equipaggio cominciano a mostrare delle carenze di manganese e potassio. Stiamo adottando le appropriate contromisure, ma…

Noelle lo invitò a fermarsi con un brusco cenno. Il comandante la guardò sorpreso. Lei si chinò in avanti e appoggiò la fronte sul tavolo, premendosi le mani sulle tempie.

— Ancora quelle scariche statiche — spiegò. — Oggi sono forti come non mai.

— Riesce a sentire Yvonne?

— Sì. Riesco a sentirla ma devo sforzarmi al massimo, e anche Yvonne continua a chiedermi di ripetere. — Smise di tenersi le tempie e si raddrizzò. Alzò la testa, cercando gli occhi del comandante in quel suo modo stranamente intuitivo. Il suo volto era una maschera di tensione, la sua fronte corrugata e madida di sudore. Per un attimo, il comandante provò l’istinto di abbracciarla, stringerla, consolarla, ma lei disse raucamente: — Non so cosa stia accadendo, comandante.

— Forse la distanza…

— No!

— Sono più di venti anni-luce.

— Non importa — insistette lei, stavolta un po’ più pacatamente. — Abbiamo già dimostrato che la distanza non è un fattore significativo. Se il contatto resta identico dopo un milione di chilometri, un anno-luce o dieci anni-luce, allora non dovrebbe esservi alcuna improvvisa caduta di intensità a qualunque altra distanza. Crede forse che non ci abbia pensato?