— Oh, in effetti le regole sono molto semplici. Tuttavia, applicarle a dovere è un’altra faccenda. Il Go è un gioco molto più profondo e sottile degli scacchi, penso.
Lo sguardo lucido e vuoto di Noelle vagò per un attimo per poi puntare dritto agli occhi del comandante e fermarsi. Come riusciva a fare una cosa del genere? — Crede che impiegherei molto per imparare a giocare? — chiese.
— Lei?
— Perché no? Tutti dobbiamo combattere la noia, comandante.
— Ma la tavola contiene centinaia di intersezioni e i giocatori possono sistemare le pedine dove vogliono, a seconda della loro strategia. Le configurazioni cambiano continuamente, in pratica ogni due o tre mosse… insomma, non è un gioco per qualcuno che non ci vede.
— Ho un’ottima memoria, comandante — replicò Noelle. — Posso visualizzare la tavola e compiere le necessarie correzioni a mano a mano che il gioco procede. Lei dovrebbe solo dirmi dove mette la sua pedina. E guidarmi la mano quando muovo, immagino.
— Noelle, mi dispiace, ma dubito che possa funzionare.
— Non importa. Allora, mi insegnerà?
2
“Non ho ancora cessato di meravigliarmi del fatto che ci troviamo qui, a bordo di questa nave spaziale in viaggio per le stelle, seguendo il destino che l’universo ha scelto per noi. Quante volte ho iniziato il diario di bordo in questo modo? Cinque? Dieci? Continuo a tornare su questo esile argomento, preoccupandomi, stuzzicandolo, meravigliandomi che tutto ciò stia accadendo e che stia accadendo a noi. Non a me in particolare: cosa ci sarebbe stato di buono nel mio addestramento sulle isole, se ancora mi ritenessi al centro del mondo come un bambino? No, io parlo di noi, un’entità più ampia, un gruppo di singole, disparate, individualità stranamente assortite, unitesi di propria volontà e persino con gioia per affrontare questo viaggio singolare.
“Come è strano tutto questo! Viaggiare attraverso la nebbia del non-spazio verso una destinazione ignota, verso qualche pianeta vergine che attende di essere scoperto da noi. Non c’è mai stato nulla di simile in tutta la storia dell’uomo. Evidentemente questo è il momento giusto perché accada. È il destino a volere che noi, cinquanta esseri umani, viviamo in questo momento, in questa epoca in cui è diventato possibile viaggiare verso le stelle. E così noi facciamo, intraprendiamo il viaggio in cerca di una nuova Terra per l’umanità. Prima o poi qualcuno doveva pur farlo, e noi siamo coloro che hanno fatto il passo avanti per essere scelti, Leon e Paco, Huw e Sylvia, Noelle e io e tutti gli altri che si trovano a bordo di questa astronave.
“Alle miriadi di persone che sono vissute sulla Terra prima della nostra era, volgendo di quando in quando la mente al futuro, noi appariamo come i figli lucenti della tecnologia, esseri circondati di meraviglie in un mondo dove tutto è possibile. E difatti, almeno per gli standard dell’uomo antico, tutto ci è possibile. Ma per coloro che non sono ancora nati e che non lo saranno per generazioni, noi siamo solo disperati primitivi a malapena distinguibili dai loro irsuti antenati. Ciò che abbiamo fatto, e ciò che faremo nonostante le nostre pietose limitazioni, li affascinerà e li lascerà perplessi.
“Ai nostri occhi, in ultima analisi, noi siamo solo noi stessi, uomini con molte capacità e altrettanti limiti: né dèi, né bruti. Non sarebbe giusto se concepissimo noi stessi come degli dèi che siedono all’apice della Creazione, poiché sappiamo quanto questo sia lontano dalla verità; e tuttavia nessuno vede se stesso come un uomo preistorico, uno sfortunato, goffo precursore delle grandi cose che verranno. Perché per noi esiste sempre e solo il presente. Noi siamo semplicemente le persone del momento, che vivono le loro vite, che fanno del loro meglio… o almeno ci provano. Quindi noi muoviamo da un punto all’altro dell’universo a bordo di questa piccola astronave molte volte più veloce della luce e, ogni volta che indulgiamo in una cosa rischiosa come la speranza, ci auguriamo che questo nostro sacrificio possa gettare nuova luce nel buio e nel mistero in cui si svolge l’esistenza umana.”
3
Il comandante lasciò la sala comune e percorse pochi metri lungo il corridoio principale, diretto verso l’ascensore che lo avrebbe portato al ponte inferiore dove Zed Hesper aveva i suoi laboratori. Passava di là almeno una volta al giorno, anche solo per osservare le tracce simulate di stelle e pianeti che andavano e venivano sullo schermo galattico di Hesper. Si trattava di schemi puramente astratti e dal significato astronomico decisamente scarso, poiché non vi era modo di osservare direttamente lo spazio normale dal tunnel di non-spazio che l’astronave percorreva: Hesper doveva lavorare esclusivamente su analogie ed equivalenti. Tuttavia, per qualche strano motivo, lo rassicurava sapere che non erano completamente soli nell’universo, nonostante le loro vite fossero confinate negli spazi poco attraenti di quella piccola astronave a sedici anni-luce dalla Terra.
“Sedici anni-luce da casa.”
Non era un concetto facile da afferrare, anche per uno come il comandante che conosceva e praticava diverse discipline mentali. Riusciva a sentire la forza del concetto, ma non il suo significato. Poteva dire a se stesso: “Siamo a sedici chilometri da casa” e trovare quel concetto abbastanza facile da afferrare, “Siamo a milleseicento chilometri da casa” una cosa un po’ più difficile, certo, ma alla fin fine perfettamente comprensibile. Ma se si diceva: “Siamo a sedici milioni di chilometri da casa” la comprensione cominciava a vacillare. Un golfo, un mare, un terribile oceano nero e vuoto di vastissime dimensioni. Tuttavia, sapeva di riuscire a figurarselo dopo qualche tentativo.
Ma sedici anni-luce?
Sarebbe mai riuscito a figurarseli?
Nell’universo al di là del tunnel di non-spazio che percorreva l’astronave si estendeva una lucente moltitudine di stelle, una vera foresta di soli, e lui sapeva che la sua barba bionda leggermente brizzolata sarebbe diventata bianca prima che la luce di quelle stelle arrivasse a scintillare nella notte della lontana Terra. E tuttavia erano trascorsi solo alcuni mesi dalla partenza della spedizione. Che miracolo, pensava, essere arrivati tanto lontani in così breve tempo.
Ciò nonostante vi era un miracolo più grande. Un’ora dopo il pranzo avrebbe chiesto a Noelle di inviare un messaggio alla Terra per riassumere le rilevazioni di quel giorno. La risposta del centro di controllo, in Brasile, sarebbe arrivala prima di cena. Quello sembrava il miracolo più grande che gli fosse capitato da molto tempo.
4
Emerse dall’ascensore e si confrontò con il caos attentamente ordinato che imperava nel ponte sottostante. Una moltitudine di corridoi serpeggianti ingombri di merci si divideva alle sue spalle. Imboccò il terzo a partire da sinistra e si avviò con passo deciso, abbassandosi di quando in quando per evitare i numerosi condotti che attraversavano da parte a parte il soffitto del corridoio.
Nella mente del comandante l’astronave appariva a volte come un affusolato, lucente, aggraziato proiettile d’argento lanciato attraverso l’universo a una velocità che a quel punto superava il milione di chilometri al secondo. Tuttavia, lui sapeva che ciò non era affatto vero. In effetti, l’astronave non assomigliava neanche lontanamente a un proiettile d’argento. Nessuna forza newtoniana di azione e di reazione lo richiedeva, ma neppure poteva vantare la minima raffinatezza nelle forme. Il suo profilo era squadrato, basso e goffamente asimmetrico, un enorme container metallico persino più sbilenco e sgraziato delle solite navi spaziali, con un’elaborata sovrastruttura a ragnatela da cui si dipanavano sensori e antenne, telescopi e radioscopi e altre escrescenze che avrebbero dato a chiunque l’impressione di essere state sistemate a casaccio.