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— Naturalmente ci avrà pensato, Noelle.

— Non è come due persone che si parlano e che improvvisamente non si sentono più. Il contatto era perfetto a dieci anni-luce, a quindici. Erano già distanze immense. Se riuscivamo a sentirci a quelle distanze, allora dovremmo sentirci anche adesso.

— Forse. Vede, Noelle…

— L’attenuazione di un segnale è una cosa, le interferenze sono un’altra. La curva di attenuazione è graduale. Tenga presente che io e Yvonne avevamo un accesso completo e non distorto alla mente dell’altra dal momento in cui abbiamo lasciato la Terra fino a pochi giorni fa. Adesso invece… No, comandante, non può trattarsi di attenuazione. Si tratta invece di qualche tipo di interferenza, ne sono certa, qualche fenomeno locale tipico di questa regione del non-spazio.

— Il famoso “effetto macchie solari”. Sì, lo so. In tal caso, quando usciremo dal non-spazio per puntare verso il pianeta A questo effetto dovrebe sparire.

— Speriamo — ribatté seccamente Noelle. — Adesso converrà riprendere, comandante. Yvonne sta chiedendomi che cosa succede. Riprendiamo da “manganese e potassio”.

— Va bene. Manganese e potassio. Stiamo adottando le appropriate contromisure…

Il comandante visualizzava il contatto tra le due sorelle come una freccia che attraversava sibilando l’immensa distanza tra una stella e l’altra, una scintilla che percorreva a velocità impossibile un luminoso condotto, un rivolo di pura forza che si univa a un fiume celestiale. Talvolta pensava all’unione di quelle due menti come a un raggio di pura luce, un raggio che univa l’astronave in allontanamento al suo pianeta madre. E talvolta gli capitava di sognarle entrambe, Yvonne e Noelle, Noelle e Yvonne, una di fronte all’altra nel cosmo, le mani tese e raggi di luce che uscivano dalla punta delle dita. E quel meraviglioso legame tra le due sorelle in grado di estendersi per tutta la galassia emetteva una luminosità tanto intensa da farlo agitare e gemere nel sonno, obbligandolo ad affondare la testa nel cuscino.

7

— Ho un’idea divertente — disse Sieglinde, e tutti la guardarono perché Sieglinde non era certo famosa per le idee divertenti. Né c’era qualcosa di divertente nella voce tesa e sottile con cui aveva parlato. Ma da un po’ di tempo ormai rimuginava su qualcosa, e adesso era evidentemente giunto il momento di tirarla fuori. — E se per qualche motivo non riuscissimo più a uscire dal non-spazio? — chiese. — Che facciamo se non possiamo raggiungere questo pianeta A o qualsiasi altra destinazione nello spazio reale? Come contiamo di risolvere la faccenda? Abbiamo un piano di emergenza per questi casi?

Si trovavano alla prima riunione intensiva del gruppo che doveva pianificare il cambio di rotta. L’incontro si teneva nella sala comandi. I lettori digitali incastonati nella parete ricurva brillavano intorno a loro, soffici emanazioni di luci pulsanti color ametista, ambra e giada. Sieglinde, Roy, Heinz, Paco, Julia e il comandante discutevano ormai da due ore, e tutti si sentivano stanchi e molto nervosi.

— La faccenda la risolveremo così — replicò Paco. — Cercheremo un pianeta idoneo da qualche parte nel non-spazio e ci sistemeremo lì. Ecco il nostro piano di emergenza.

Roy gli lanciò un’occhiata fulminante. — Questa è la cosa più assurda che abbia mai sentito. Non ci possono essere pianeti nel non-spazio. La tua è solamente una battuta illogica e del tutto fuori luogo, e…

Sorridendo come sempre, pur se tradiva una controllata irritazione, Heinz si rivolse a Sieglinde e disse: — Che razza di problema sta tirando fuori? Siamo qui per discutere una missione esplorativa nello spazio reale e lei si mette a creare dei problemi del tutto immaginari. Il propulsore stellare è progettato per secoli di funzionamento. Non fallirà.

— E se invece fallisse?

— Heinz ha ragione — intervenne stancamente il comandante. — Non fallirà. Non può fallire, ecco tutto. Può contarci.

— Io non conto proprio su nulla — replicò raucamente Sieglinde, con un tocco di drammatico-scherzoso nella voce. Forse cercava di suonare divertente. Tuttavia i suoi occhi erano stranamente brillanti. Sembrava preda di un umore negativo che non voleva allentare la presa. — Tutto può accadere. Qui abbiamo a che fare con fenomeni di immensa portata e non conosciamo neppure a fondo la nostra strumentazione. Lavoriamo con procedimenti stocastici. Insomma, capite ciò che intendo? Ogni passaggio tra lo spazio e il non-spazio ci mette per un attimo alla mercé del destino. La bilancia pende sempre in nostro favore, naturalmente, ma a ogni passaggio il rischio di un evento incontrollato si ripete. Lo prevedono persino le equazioni: il fattore casuale, la probabilità fatale. Più spesso passiamo da un piano di spazio all’altro e più ci esponiamo alla piccola ma reale possibilità di disintegrarci. Senza contare la possibilità di finire da qualche altra parte, per esempio un altro tipo di non-spazio, invece che nello spazio normale. Perché non considerare anche questa ipotesi?

— È un’ipotesi molto poco probabile — replicò Heinz. — I numeri sono dalla nostra parte, l’ha detto lei.

— Poco probabile ma pur sempre possibile. Insomma, io dico solo che è una probabilità, e quando una probabilità può mettere a repentaglio la tua vita io dico che bisogna considerarla. Lei è un ingegnere, Heinz, e in quanto tale è abituato a trattare con ciò che vede, con i concetti assoluti di possibile e impossibile. Io sono un matematico, e quindi lascio un po’ più spazio alla fantasia nel mio lavoro. Anch’io ho a che fare con assiomi e con certezze, ma tengo sempre in mente che sotto gli assiomi vi è una premessa, e sotto la premessa il caos.

— Se non può neppure contare sulle sue equazioni, si affidi a ciò che vuole — intervenne nervosamente il comandante. — Firmando i documenti di imbarco, tutti noi abbiamo accettato di compiere un salto nel buio. Se lei non era convinta che il propulsore stellare funzionasse, avrebbe fatto meglio a restare a casa.

— Dico solo che esiste una possibilità su un milione che qualcosa vada storto.

— E allora?

— E allora, come ho appena detto, più cambiamo piano di spazio e più corriamo il rischio che uno dei passaggi vada storto. Ecco perché dobbiamo correre questo rischio solo quando è assolutamente necessario. In altre parole, dovremo rientrare nello spazio normale solo quando saremo ragionevolmente certi che il pianeta prescelto sia un buon posto per vivere, perché il rischio insito nel passaggio da uno stato della realtà a un altro è tanto alto che dovremo spingerci a correrlo solo quando ne varrà davvero la pena.

Stranamente tranquillo e pensieroso, Paco disse: — Sapete, secondo me Sieglinde non ha tutti i torti. Quante sono le possibilità che un pianeta di massa pari a quella terrestre offra delle condizioni adatte alla vita? Diciamo per semplicità una su cento. In tal caso, potremmo ritrovarci a passare da un piano di spazio all’altro per cento volte prima di trovare qualcosa per cui ne sia valsa la pena. Potrebbero essere anche di più, cinquecento, mille… comunque il rischio viene moltiplicato enormemente, se ho seguito correttamente Sieglinde. Se davvero esiste anche solo una possibilità che il propulsore possa guastarsi, dovremo studiare bene ogni pianeta prima di compiere il balzo.

A questo punto Julia, l’effettiva responsabile del propulsore stellare, disse con irritazione: — Questa è una discussione basata su un’ipotesi stupida, e noi non dovremmo mai basarci su ipotesi stupide. Tutto questo discorso non c’entra assolutamente nulla con il motivo per cui siamo qui. C’è stata una votazione, e l’equipaggio ha accettato di andare a dare un’occhiata al pianeta A perché abbiamo buone ragioni di credere che sia ciò che cerchiamo, almeno per quanto possiamo stabilire da qui. Questo chiude il discorso. Per quanto riguarda la possibilità di un guasto al propulsore stellare, Heinz ha ragione: Sieglinde sta creando dei problemi inesistenti. Quando decideremo di passare dal non-spazio allo spazio normale, il propulsore farà esattamente ciò per cui è programmato. E anche se a livello matematico ogni passaggio comporta una piccola percentuale di rischio, abbiamo già deciso di raggiungere il pianeta A. Il nostro compito, adesso, è trovare il modo migliore per farlo, non discutere ipotetici scenari da incubo.