Выбрать главу

“Yvonne! Yvonne!”

Tutto taceva. Dov’era Yvonne?

Yvonne non era lì con lei. “Questo è solo un sogno” si disse a quel punto Noelle “un sogno da cui presto mi sveglierò.” Ma non riuscì a svegliarsi. Un’ondata di terrore la travolse, spingendola a urlare a pieni polmoni. E finalmente udì una voce lontana. “Va tutto bene” sussurrò Yvonne attraverso le immensità dello spazio e del tempo. “Sono qui, tesoro, sono qui come sempre” la rassicurò la voce calda di sua sorella, proveniente dal grande vortice delle stelle invisibili. Sì, tutto andava bene. Noelle avvertì di nuovo la familiare vicinanza. Yvonne era lì, proprio accanto a lei. Tremando, Noelle l’abbracciò con affetto. Poi aprì gli occhi e per la prima volta la osservò.

“Posso vedere, Yvonne! Posso vedere!”

Solo in quel momento, Noelle si accorse di non essersi neppure guardata allo specchio. In preda a una frenetica eccitazione aveva vagato ovunque nell’astronave, osservando qualunque cosa le capitasse davanti Era vero che gli specchi non avevano mai fatto parte della sua vita, ma adesso guardava Yvonne (che equivaleva, a grandi linee, a guardare se stessa) e per la prima volta notò la sua bellezza, i suoi lunghi e morbidi capelli neri, i dolci lineamenti del viso, la pelle vellutata, i grandi occhi un tempo ciechi che brillavano di gioia e di consapevolezza. Noelle rivelò a Yvonne quanto era bella e Yvonne sorrise e annuì, e poi entrambe risero e si abbracciarono, quindi piansero di piacere e d’amore per la semplice gioia di riuscire a vedersi e poi… e poi Noelle si svegliò, e il mondo attorno a lei tornò buio come sempre.

Finalmente, Heinz uscì. “Finalmente.”

Nel monastero di Lofoten il comandante aveva appreso diversi esercizi, discipline spirituali tese a recuperare e a mantenere la tranquillità interiore. In quel colloquio li aveva usati tutti e poi, controllando il respiro e svuotando la mente, li ripassò ancora a uno a uno. E quando arrivò al termine dell’ultimo, li ripassò una terza volta.

Il colloquio con Heinz era parso interminabile e profondamente imbarazzante, e gli aveva lasciato un senso di profonda irritazione; tutta l’irritazione consentita al comandante dalla sua natura fondamentalmente controllata. Forse Heinz credeva che lui avesse mancato di notare lo stato di Noelle? Credeva che non gliene importasse un accidente? Heinz non sapeva nulla, o almeno così sembrava, delle recenti difficoltà di contatto tra le due sorelle. Non poteva e non doveva saperlo, perché occuparsene non era compito suo. Lui però sapeva; lui era conscio dell’esistenza di un problema; lui non aveva bisogno dell’assistenza di Heinz per sapere che un importante membro dell’equipaggio stava attraversando un momento difficile. E in ogni caso, cosa doveva farci lui, secondo Heinz? Aveva forse dei consigli da dargli per risolvere la situazione? Con quel suo scaltro, dannato sorriso, Heinz sembrava sempre sottintendere di avere qualcos’altro da dire, qualcosa di molto interessante che però veniva taciuto perché a lui non importava renderti partecipe del segreto. Sicuramente, la maggior parte delle volte quel sorriso tanto enigmatico non nascondeva nulla di importante. Ma era poi sempre vero?

Il comandante si chiese se tutti loro, uno per uno, non stessero subendo qualche folle trasformazione in peggio. Noelle stava perdendo la capacità di comunicare con sua sorella sulla Terra; la concreta e posata Sieglinde metteva gratuitamente in dubbio l’affidabilità dei teoremi elaborati con il suo contributo; l’allegro e sempre attivo Heinz rimandava le sue attività per spiegargli con seccante pedanteria le responsabilità di un comandante verso i membri dell’equipaggio. Cos’altro doveva succedere, si chiese, cos’altro?

In realtà, il comandante era tanto seccato per quell’improvvisa esplosione di pio interesse perché lo aveva tenuto lontano da un impegno terapeutico profondamente necessario. Julia lo stava aspettando nel loro posto segreto, un angolo buio e isolato del magazzino al livello sottostante dell’astronave.

Julia e il comandante erano amanti. Lo erano fin dalla terza settimana di viaggio, da quando lei si era districata da una breve, passionale e tormentata relazione con Paco. Nessuno sapeva della loro relazione, e lui preferiva che andasse così. Tra l’equipaggio lui aveva la fama di asceta, di uno capace di osservare una feroce disciplina monastica, e per giusto o sbagliato che fosse era arrivato a pensare che una simile immagine rafforzasse la sua autorità di comandante.

La verità era che lui avvertiva il richiamo del desiderio fisico esattamente come tutti a bordo, e cercava di soddisfarlo con una certa regolarità come qualsiasi persona normale. Solo, lui lo faceva in segreto. Provava gioia e divertimento al pensiero di riuscire a mantenere una buona dose di riservatezza in quella vasca per pesci rossi che era la Wotan. Certe volte, però, temeva di commettere un peccato di superbia, lasciando credere agli altri che fosse più ascetico di quanto in realtà non fosse, e comunque la sua condotta si poteva senz’altro bollare come ipocrita. In ogni caso, ormai aveva scelto di rinchiudersi in quel furtivo schema di comportamento, e ora sembrava troppo tardi per cambiare di punto in bianco. Bisognava davvero volerlo, e lui non ne era molto sicuro.

E così, si avviò ancora una volta lungo il corridoio dell’ascensore, scese al livello sottostante e attraversò con grazia felina l’intrico di macchinari imballati, che riempiva quei livelli fino a giungere alla paratia mobile che chiudeva l’accesso al magazzino principale. Appoggiò la mano sulla piastra di identificazione. La paratia scivolò di lato con un sordo rumore, e finalmente lui penetrò nel mondo segreto del carico più prezioso dell’astronave, la banca genetica.

Pochi, pochissimi membri dell’equipaggio avevano accesso a quella sezione dell’astronave. Chang era uno di loro in quanto responsabile del materiale genetico custoditovi, embrioni umani e cellule riproduttive di molte diverse specie terrestri, e così Sylvia, la sua assistente. Ma bisognava aspettare ancora un po’ prima di far nascere dei bambini a bordo dell’astronave, naturalmente se non si trovava prima alcun pianeta abitabile, e quindi Chang e Sylvia non avevano motivo di scendere là sotto. Anche Michael, il responsabile della manutenzione, poteva entrare là dentro senza lo specifico permesso del comandante, e come lui altri due o tre. Ciononostante, i futuri coloni della Nuova Terra, la cui maggior parte non era stata ancora concepita, dormivano quasi sempre in pace nella stasi dei loro contenitori congelati, del tutto indisturbati da visitatori provenienti dai livelli sovrastanti.

Julia non era tra coloro che avevano il permesso di recarsi in quella sezione. Le sue responsabilità riguardavano esclusivamente il propulsore stellare, e nessun elemento del propulsore si trovava nel magazzino. Il comandante aveva inserito l’impronta della sua mano tra quelle autorizzate per motivi assolutamente personali, consentendole di oltrepassare quella soglia perché pochi altri lo potevano fare. Ciò rendeva il magazzino un luogo perfetto per i loro incontri clandestini. Le possibilità di essere disturbati erano davvero minime. E anche se qualcuno li avesse scoperti, perché doveva importare all’equipaggio se il comandante permetteva illecitamente alla sua amante di raggiungerlo là dentro? Con tutta probabilità la sua piccola violazione, poiché di questo si trattava, sarebbe stata presa come un segno gradito della sua natura umana.

Il magazzino principale era un locale ampio e buio, illuminato solo da lampade intelligenti che si accendevano a mano a mano che lui si addentrava nel locale, per poi spegnersi non appena fosse passato. Alla sua destra e alla sua sinistra vi erano i grandi refrigeratori in cui venivano conservati genomi di vari tipi. Il programma generale della missione prevedeva, in caso non si fosse trovato un pianeta adatto, la nascita di bambini solo per consentire il ricambio generazionale; tuttavia, le molte proteste portarono a ordini meno restrittivi. Se la maggioranza votava a favore e le condizioni lo permettevano, era quindi possibile avere un figlio per le coppie stabili che lo richiedevano, ma solo dopo un anno di convivenza; e in caso fossero stati localizzati pianeti potenzialmente adatti alla vita umana, il numero di bambini poteva crescere sino a due per coppia. Quel numero rappresentava il limite di nascite nello spazio; dopo, niente più nascite sino alla fondazione della nuova colonia, anche perché a bordo vi era posto solo per cento persone in tutto.