Ma la vulcanica Io si rivelò molto diversa. Un oceano di zolfo fuso sulla superficie gelata; una patina ghiacciata di ossido di zolfo che aderiva tenacemente a qualunque particolare di quel panorama silicato; geyser che eruttavano fiere colonne di zolfo elementare fino a cinquanta chilometri di altezza, per poi lasciarlo libero di ricadere lentamente sotto forma di fiocchi di neve, neve sulfurea dal colore giallo pastello con sfumature arancione e tonalità di blu; e, ovunque, vulcani in eruzione che proiettavano dense nubi di detriti sulfurei verso il cielo nero, grossi massi che poi ricadevano a terra come una pioggia di palle di cannone. Là, sul lato nascosto di quel mondo minaccioso e turbolento, sotto un cielo nero percorso di quando in quando dalle letali scariche elettriche emesse dall’immensa e implacabile magnetosfera di Giove, i due esploratori trovarono il primo segno di vita extraterrestre mai scoperto dall’uomo: robusti organismi monocellulari, in qualche modo simili ai batteri terrestri, piccole creature che amavano lo zolfo, luminosi punti scarlatti sul ghiaccio giallo in lenta e felice diffusione sul terribile pianetoide, di cui erano i dominatori supremi e assoluti.
Huw urlò e saltò, estasiato dalla vista di quelle piccole macchie colorate, alzò le braccia al cielo e danzò, proferendo gutturali parole che, a suo dire, erano dell’antica lingua celtica del Galles. Il suo compagno, naturalmente, reagì restando immobile e guardandolo con aria vagamente confusa.
— Forza, forza! — gridò Huw. — Perché non balla? Non è felice? Saluti la vita appena ritrovata, maledizione! — E con queste parole lo prese per le mani guantate, obbligandolo a saltellare qua e là, forzandolo a festeggiare il grande evento nonostante la sua palese riluttanza.
E poi, per entrambi fu la volta di Titano, la fredda luna di Saturno grande abbastanza da possedere un’atmosfera, un posto dove aghi gelati di metano cadevano costantemente da un cielo nebbioso con le tonalità dell’acido cianidrico. La fortuna li aiutò anche là. Presso le rive tetre di un lago di idrocarburi, sotto uno spesso strato di smog color limone, vagamente luminescente, si ritrovarono a contemplare una serie di macchie arancione su una lastra di ghiaccio grigio composto da ammoniaca e metano. Anche quelle erano creature viventi. Processi biologici di qualche tipo stavano avvenendo in quel momento proprio sotto i loro occhi, anabolismo, catabolismo, digestione, respirazione, riproduzione. Creature viventi, molto diverse da quelle trovate su Io e incredibilmente diverse da qualunque tipo di batterio presente sulla Terra.
Quelle due colonie di microorganismi alieni erano ancora le sole forme di vita extraterrestri scoperte dalla razza umana, e i due uomini che avevano compiuto quella scoperta si trovavano uno di fronte all’altro nella sala comandi della Wotan.
— Abbiamo appena parlato delle persone che faranno parte della squadra di atterraggio — disse Huvv.
— Non ho ancora preso nessuna decisione in proposito — replicò il comandante.
— Possiamo cominciare a farlo.
— Certo che potete; tuttavia non sappiamo ancora se vale la pena atterrare su quel pianeta.
— Supponiamo che ne valga la pena — disse Huw. — Possiamo speculare un po’, vecchio mio?
— Va bene. Supponiamo che ne valga la pena.
— In tal caso, a parer mio, la squadra dev’essere composta da tre persone: un biologo, un planetografo e un…
Il comandante lo interruppe bruscamente. — Huvv, ha per caso l’intenzione di proporsi come mio successore?
Huw, perplesso, scosse la testa. — Perché dice questo?
— Formare la squadra di atterraggio è una prerogativa de! comandante e lei ha già stabilito il numero e, immagino, le persone che comporranno la squadra. Questo è compito del comandante. Bene, Huvv, se vuol fare il comandante, io non ho nulla in contrario. Riuniamo l’equipaggio, e io la nominerò mio successore. Dopodiché, sarà libero di formare la squadra di esplorazione come meglio crede, dando naturalmente per scontato che valga la pena atterrare sul pianeta A.
Huw stava ancora scuotendo la testa. — Non ci siamo capiti. Io non ho alcuna intenzione… non voglio affatto diventare…
— Il comandante?
— Assolutamente no. È da escludere. Entrambi sappiamo che il comandante non può far parte della squadra esplorativa. È solo un’idea, maledizione, non sto affatto cercando di usurpare le prerogative del suo comando, e posso assicurarle che non ho la minima intenzione di farmi eleggere comandante. Sono semplicemente venuto qui per discutere un po’ in anticipo la possibile composizione della squadra esplorativa, e…
— E va bene — lo interruppe nuovamente il comandante, calmo come se stessero discutendo l’opportunità o meno di andare a pranzo. — Allora, chi secondo lei dovrebbe far parte della squadra?
Huw, agitato e rosso in volto, proruppe: — Ma come? Noi due, naturalmente. Io guiderò il mezzo di terra, lei studierà la situazione biologica. Poi ci sarà Marcus, o Innelda, per la mappatura del pianeta. Tre persone efficienti possono sbrigare il lavoro in tempi ragionevoli, e la loro perdita non inciderebbe più di tanto sul proseguimento della spedizione.
Il comandante annuì, senza però commentare alcunché. Restò seduto in silenzio, insondabile come sempre. Forse stava pensando al modo migliore di rispondere a Huw, o forse tentava di liberare la mente da qualunque pensiero, secondo gli insegnamenti dei monaci zen, lasciando Huw con la sua agitazione. E, in effetti, Huw era agitato. Era convinto di conoscere quell’uomo meglio di chiunque altro, e forse era vero. Ma, anche così, non lo conosceva abbastanza. In quel caso, aveva valicato qualche sorta di limite invisibile, ne era certo, solo che non sapeva bene quale fosse.
Dopo diversi minuti di silenzio, il comandante rispose: — Lei, io e Marcus, oppure Innelda. Niente male. Certo che sarebbe una buona squadra. Ma chi sarà il prossimo comandante? Ha pensato anche a questo?
— Amico mio, non mi interessa affatto sapere chi sarà il prossimo comandante. A me interessa solo la squadra di esplorazione. Io e lei, vecchio mio, come su Io, su Callisto, e su Titano!
— Già, lei e io. E Marcus o Innelda. Su questo siamo d’accordo. È una scelta logica, certo. Ma abbiamo anche bisogno di un nuovo comandante — replicò lui sorridendo, ma quel sorriso parve a Huw gelido come il panorama di Callisto o di Ganimede. — Dobbiamo tenere subito le elezioni. E, una volta eletto il mio successore, sceglierò come ultimo atto del mio comando le persone che faranno parte della squadra esplorativa, e saranno le persone che lei ha proposto. È certo di voler andare, Huw?
— Basta con questo stupido gioco. Certo che voglio andare.
— Allora mi trovi un nuovo comandante, Huw.
8
“A Lofoten mi è stato insegnato come mettere da parte le vestigia del mio ego per vivere come un’entità pura e inattaccabile, insensibile a desideri e schemi irrilevanti. E quindi a diventare un essere migliore, più vicino a conseguire quella dissoluzione dell’io che costituisce l’obiettivo ultimo della mente disciplinata.
“Io ho assorbito pienamente quell’insegnamento, certo, anche se in me restava viva la fastidiosa sensazione di perseguire in realtà l’egoismo ultimo, poiché, cercando di rendere me stesso un essere assolutamente inattaccabile, mi ponevo a livello di un dio, e cos’è questo se non addentrarsi nell’ego più assoluto? Ricordo ancora il sorriso del mio precettore quando gli rivelai questo mio timore. Chiaramente, anche lui aveva avuto un tempo lo stesso dubbio: era, mi spiegò, il paradosso dello sforzo necessario a raggiungere uno stato di esistenza privo di sforzi, una trappola circolare da cui si usciva solo passandovi in mezzo. Crearsi degli schemi assolutamente inattaccabili per liberarsi dal bisogno di crearsi degli schemi. Porsi lo scopo di procedere verso la liberazione per liberarsi dalla schiavitù degli scopi. Esercitare un’impietosa autodisciplina per annullare l’obbligo di giungere a un risultato.