Julia aveva la responsabilità del primo test, quella di portare l’astronave fuori dal non-spazio. Riuscirvi era soprattutto questione di elaborare le appropriate sequenze di comando, inserirle nel sistema di navigazione intelligente e lanciare il programma in presenza del comandante, che doveva dare un avallo formale. E poi aspettare che accadesse quello che si supponeva che dovesse accadere. Così fecero, passaggio dopo passaggio. E alla fine si resero conto che la manovra aveva avuto successo.
Inizialmente, parve loro che nulla fosse cambiato. Nessuna sensazione indicò il loro ingresso nel nonspazio, e nessuna ne segnalò la loro uscita. Nessuna sensazione di stravolgimento, niente spettrali lamenti o lunghi sibili nei corridoi, nessuno sfavillio di incredibili colori su e giù per lo spettro visivo umano e forse anche oltre.
In effetti, nulla indicava un cambiamento a bordo della Wotan. La continua, pulsante nebbia grigia composta di campi energetici interconnessi che li aveva avvolti per un intero anno era scomparsa all’improvviso, incredibilmente, miracolosamente, e i viaggiatori si ritrovarono a contemplare un cielo nero inchiostro in cui brillava un caldo sole dorato affatto diverso da quello sotto cui erano nati. Attorno a quel sole orbitava una serie di fedeli pianeti: il primo, il secondo, il terzo… sei pianeti in tutto, almeno a un primo esame. Quella vista era semplicemente maestosa a confronto del misterioso ma monotono involucro di non-spazio che aveva avvolto la Wotan per un intero anno come una seconda pelle. I viaggiatori assiepati davanti alla vetrata ruppero in applausi, risate, persino in lacrime.
Il comandante parlava intanto con Zed Hesper, che aveva deciso di restare nel suo laboratorio fino all’ultimo. — Che ne dice, Hesper — chiese. — Siamo arrivati a destinazione, oppure no?
Si, erano arrivati, rispose Hesper. Le correzioni di rotta eseguite nel non-spazio si erano dimostrate perfette (congratulazioni a Paco per la precisione dimostrata) e ora si trovavano proprio nel mezzo del sistema solare che comprendeva il pianeta A. Era il quarto dei sei pianeti di quella stella G2, ricordò Hesper al comandante.
Vederlo però non era facile; e certo non si poteva sperare di scorgerlo dalla grande vetrata. Prima bisognava determinare quale di quei pianeti fosse il quarto in relazione alla sua stella: se la posizione della Wotan fosse stata idealmente inclinata di novanta gradi sul piano dell’ellittica, i sei pianeti sarebbero comparsi sugli schermi perfettamente allineati in base alla distanza dal loro sole. Tuttavia la Wotan non si trovava affatto in una posizione tanto favorevole: anzi, il punto di emersione dal non-spazio offriva una panoramica inclinata, parziale è frammentata di quel sistema solare, e ognuno dei pianeti si presentava in punti diversi, alcuni al perielio, altri all’afelio; di conseguenza apparivano sparsi a casaccio in un’ampia porzione di cielo.
In ogni caso, a Hesper bastò qualche calcolo veloce per individuare il pianeta A. Hesper sapeva tutto di ciò che accadeva in cielo. Riferì l’esito dei suoi calcoli al comandante, e questi inquadrò con tutti gli strumenti l’oggetto della loro ricerca.
Sembrava un pianeta abitabile.
Sembrava “il” pianeta abitabile. Il pianeta dei loro sogni; la casa lontani da casa; la Nuova Terra a lungo cercata attraverso le immense distanze interstellari.
Tutte le analogie e le equivalenze informatiche di Hesper si stavano dimostrando incredibilmente accurate. Sembrava un miracolo che quel piccolo uomo dal naso a becco fosse riuscito a elaborare informazioni tanto precise, lavorando sulle confuse equivalenze del non-spazio. Il pianeta A appariva esattamente come aveva previsto: un pianeta di tipo terrestre su cui spiccava il blu degli oceani, il verde della vegetazione, il marrone del suolo. Il polo nord sembrava coperto da una sottile e tentacolare cappa di ghiaccio, mentre il polo sud presentava una cappa di ghiaccio meno estesa ma più compatta. Candidi cumuli punteggiavano il cielo di quello che sembrava un pianeta dotato di atmosfera.
— Stappate lo champagne! — gridò Paco. — Siamo a casa!
Ma non c’era champagne perché la scorta portata dalla Terra era finita la sera della festa del sesto mese, e il vino sintetico preparato a bordo dell’astronave andava fermentato una seconda volta. E, d’altro canto, non erano ancora a casa, nonostante la sorprendente somiglianza di quel pianeta con la Terra. Nulla ancora garantiva loro la possibilità di stabilirvisi. Anzi, il comandante continuava a pensare che le probabilità di trovare il pianeta che cercavano al primo tentativo erano le stesse che avevano quattro giocatori di poker di ritrovarsi in mano quattro scale reali allo stesso momento.
Tuttavia il primo approccio era promettente, inutile negarlo. Il comandante non fu sorpreso né dispiaciuto dall’uscita di Paco. Quelle uscite erano una delle sue specialità. E poi era già un successo non da poco essere riusciti a giungere fin lì. Sì, in effetti avevano tutti i motivi per una piccola festa, anche se quel pianeta non era, probabilmente, quello che cercavano.
A quel punto bisognava indirizzare la corsa dell’astronave per portarla in orbita attorno al pianeta A. Quello significava che Julia aveva senz’altro da lavorare, poiché il viaggio nel non-spazio avveniva al di fuori dei classici schemi concettuali newtoniani riguardanti le leggi del moto, e quindi “l’accelerazione” che il propulsore interstellare impartiva alla Wotan durante la traversata e la conseguente “velocità” non avevano alcuna relazione con il moto dell’astronave dal momento in cui era uscita dal non-spazio. Dato che la Wotan si trovava in orbita attorno alla Terra nel momento in cui aveva abbandonato lo spazio normale, si ritrovava a quel punto a procedere alla stessa velocità. All’atto pratico, era come se l’astronave stesse ancora orbitando attorno alla Terra, solo che la Terra non era più vicina da tempo.
Quindi Julia doveva apportare le necessarie correzioni. La Wotan non era equipaggiata per lunghi viaggi nello spazio normale, ma possedeva comunque motori abbastanza potenti per muoversi in un sistema solare. L’operazione in sé non presentava eccessive difficoltà, e difatti Julia comunicò poco tempo dopo il successo delle manovre.
Nel frattempo Marcus e Innelda, gli esperti di ricerca planetaria, stavano compiendo un’analisi strumentale del pianeta che speravano di esplorare. Non aveva senso, infatti, sprecare tempo ed energia inviando una sonda, per non parlare di una squadra di esplorazione, se le letture dei dati riguardanti la composizione atmosferica e l’attrazione gravitazionale del pianeta A fossero risultate negative.
I dati forniti da Hesper, comunque, si confermavano davvero inattaccabili. La gravità equivaleva al novantatré percento della gravità terrestre, un valore ragionevole, quasi tentatore; l’atmosfera era composta di ossigeno e azoto, con meno ossigeno e più azoto dell’atmosfera terrestre ma comunque respirabile. Vi erano inoltre tracce di anidride carbonica, argon, neon, elio, nessuno di questi in percentuali identiche a quelle terrestri, ma comunque abbastanza vicine da risultare accettabili. Nessun segno di idrogeno libero nell’atmosfera, che avrebbe significato la presenza di temperature troppo basse. E, infine, vi era una rincuorante presenza di vapore acqueo, non molto in effetti, ma sufficiente. Un posto alquanto arido quel pianeta, ma arido come l’Arizona, non come Marte. E poi c’era il metano, quel poco di metano già riscontrato da Hesper. Ciò indicava con forte probabilità che su quel pianeta avevano luogo dei processi vitali. Non era ancora una certezza, poiché il metano poteva anche provenire da un qualche tipo di limitata attività vulcanica, ma tutto sommato la possibilità che quel pianeta ospitasse degli organismi viventi che crescevano, mangiavano, digerivano, defecavano, morivano e si decomponevano, tutti processi che producevano metano, era abbastanza alta.