Innelda e Marcus presentarono quindi un rapporto positivo. In base a ciò che si poteva dedurre dall’analisi strumentale a distanza, valeva la pena inviare una sonda sul pianeta A. C’era acqua, come minimo in quantità moderate; c’era aria riconoscibile come aria; la gravità era compatibile. Insomma, le analisi preliminari indicavano che quel pianeta poteva sostenere la vita, una vita terrestre. D’altra parte, non era possibile rintracciare la presenza di forme di vita evolute che possedessero già il pianeta. Nessuna città visibile dall’alto, nessuna strada, nessuna costruzione di qualsiasi tipo. Nessuna emissione radio proveniva dal pianeta A, e nulla altro di percettibile nell’intero spettro elettromagnetico. Nessun satellite artificiale orbitava attorno al pianeta. E tutto ciò era assolutamente positivo. I viaggiatori delle stelle non avevano alcuna intenzione di muovere alla conquista di eventuali civiltà aliene, né di mercanteggiare con regali e specie viventi la loro pemanenza in mezzo a comunità preesistenti. Il regolamento di bordo stabiliva chiaramente che la Wotan doveva evitare l’atterraggio su qualsiasi pianeta apparentemente abitato da creature intelligenti, La definizione di “creatura intelligente” era lasciata al comandante, ma in ogni caso era chiaro che l’intrusione in una civiltà in sviluppo andava assolutamente evitata.
Nell’universo esistevano, presumibilmente, abbastanza pianeti abitabili privi di razze dominanti intelligenti da rendere qualsiasi tipo di intrusione non solo moralmente inaccettabile, ma anche non necessaria. Quelle regole potevano applicarsi o meno anche al pianeta A, ma tuttavia costituivano un ottimo principio morale con cui iniziare la loro odissea galattica. In ogni caso, già qualcuno a bordo mormorava che quell’impostazione poteva anche essere rivista, più avanti nel tempo, se le circostanze lo avessero richiesto.
Naturalmente, il comandante accolse con istintivo sospetto i dati incoraggianti che Marcus e Innelda gli presentarono. Era implicito nella sua natura diffidente ritenere che sarebbe stato troppo bello se il primo pianeta esplorato si fosse rivelato quello adatto per stabilire la colonia. A meno che ogni sistema solare della galassia contenesse uno o due pianeti di tipo terrestre: ma in tal caso perché fino a quel momento non sì era trovata traccia di vita intelligente nei sistemi più vicini alla Terra? Se davvero la galassia comprendeva milioni o anche miliardi di pianeti di tipo terrestre, perché solo sulla Terra si era affermato un certo tipo di civilità?
In altre parole: cosa nella galassia aveva una possibilità su un miliardo di svilupparsi? La verde e piacevole Terra (ma, in tal caso, come avevano potuto scoprire un pianeta tanto simile al primo tentativo?) oppure la galassia era piena di pianeti di tipo terrestre e la razza umana costituiva la vera anomalia? Il comandante non ne aveva idea. Forse avrebbero trovato qualche risposta più avanti nel tempo, si disse. Tuttavia, la relativa facilità con cui avevano trovato quel pianeta, apparentemente abitabile ma privo di forme di vita intelligenti, lo sconcertava.
In ogni caso, ora l’azione passava al dipartimento di Huw. Era lui il responsabile dell’esplorazione planetaria. Quasi certamente avrebbe lanciato una sonda equipaggiata sulla superficie del pianeta per prelevare campioni significativi dell’ambiente che li attendeva.
La Wotan era dotata di tre sonde automatizzate, e aveva le strutture per costruirne altre in caso di necessità. Tuttavia, costruire altre sonde per sostituire le tre già pronte avrebbe richiesto un notevole impiego di risorse materiali ed energetiche, e quindi Huw intendeva adottare ogni precauzione per riportare felicemente a bordo ogni sonda lanciata. Ecco perché simulò in continuazione l’atterraggio per ben tre giorni prima di procedere al lancio effettivo.
Il lancio, peraltro, andò perfettamente. La sonda emerse senza scosse dal ventre dell’astronave e scese a spirale verso il bersaglio con assoluta accuratezza, entrando in orbita a circa ventimila chilometri sulla superficie del pianeta. A questo punto ebbe inizio un’estesa ricognizione ottica, con immagini che continuarono a confermare la probabile assenza di forme di vita superiori.
Dopo aver orbitato attorno al pianeta A per un giorno intero, correggendo più volte la rotta per assicurare la completa copertura visiva di tutte le terre emerse, la sonda entrò in modalità di atterraggio e scese in una grande savana, nel cuore della più grande e più secca massa continentale del pianeta. Lì, radiocomandata da Huw che seguiva ogni cosa sui monitor a bordo della Wotan, cambiò parzialmente struttura per adattarsi all’esplorazione a terra, estromettendo due serie di ruote cingolate per poi avviarsi lungo un percorso circolare dal raggio di cento chilometri. Su comando di Huw, braccia meccaniche spuntavano di tanto in tanto dal corpo centrale per raccogliere campioni di tutti i tipi: suolo, atmosfera, minerali, parti di vegetazione, qualsiasi cosa risultasse meritevole di studio e analisi. Dopo aver concluso l’ampio tragitto, la sonda ripartì nuovamente e, volando a bassa quota, raggiunse l’altro emisfero del pianeta. Le condizioni climatiche erano più o meno le stesse, anche se di poco meno aride, e la sonda raccolse una seconda serie di campioni. A quel punto Huw, soddisfatto di come erano andate le cose, lanciò il segnale di rientro e la sonda ripartì per tornare alla Wotan.
Per nove giorni una squadra di sette esperti, vestiti da capo a piedi con tute spaziali come misura precauzionale, analizzarono i campioni riportati dalla sonda in una delle camere sterili del grande laboratorio della Wotan. Il comandante, che aveva assegnato a se stesso le ricerche biologiche, trovò dei batteri nei campioni di suolo, vari tipi di protozoi nel campione d’acqua e parecchi insetti a dieci “zampe dotati di una robusta corazza nei campioni misti di terra e vegetazione. Studiò quelle creature con un misto di timore e di venerazione: dopotutto, si trattava delle prime creature multicellulari aliene mai scoperte dall’uomo, e lui poteva solo sperare che non fossero le uniche.
L’analisi biologica non rivelò nulla di apertamente tossico nei campioni prelevati, mentre l’analisi dell’aria confermò che l’atmosfera del pianeta A era con tutta probabilità compatibile con le esigenze dei polmoni di creature nate e cresciute sulla lontana Terra. I batteri messi a coltura non diedero luogo ad alcuna interazione con i microorganismi terrestri con cui dividevano lo spazio. Non li attaccarono e non vennero attaccati. Ciò poteva rappresentare o meno un segno positivo: restava da vedere se la biochimica del pianeta A era compatibile con quella terrestre. La reciproca indifferenza tra le colonie di batteri poteva anche indicare che gli eventuali coloni umani avrebbero trovato molte difficoltà a digerire e assimilare il cibo prodotto localmente.
Anche altre interessanti domande non trovarono risposta in quello stadio dell’esplorazione planetaria. Per esempio, l’aria poteva contenere qualche specie di virus in grado di provocare nuove, sconosciute malattie ai colonizzatori umani? I pochi campioni atmosferici raccolti qua e là potevano anche non rivelarlo. E che dire della possibile presenza di amminoacidi letali nella carne dei locali equivalenti delle mucche e delle pecore, sempreché esistessero? O alcaloidi nocivi nelle locali versioni di mele e asparagi? I campioni raccolti dalla sonda non potevano rivelare simili particolari: per rispondere bisognava procedere nel modo più lungo e difficile, con tempo e pazienza, scendendo sul pianeta e analizzando tutto ciò che trovavano.
Infatti, Huw propose: — A questo punto ritengo che la sola cosa da fare sia inviare qualcuno laggiù, comandante.
Il comandante ne era perfettamente consapevole; tuttavia quelle parole ebbero su di lui lo stesso effetto di un pugno al plesso solare. Ma subito dopo sperò di non aver dato mostra del suo dolore. Ora bisognava scegliere i membri della squadra di esplorazione, e naturalmente lui non ne avrebbe fatto parte. Nonostante l’addestramento di Lofoten, sentiva di essere probabilmente destinato a rammaricarsi a lungo per l’obbligo di restare a bordo.