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— Per me va bene — replicò il comandante. — Provate pure su un altro continente, se ritenete che ne valga la pena.

Huw fece un cenno a Giovanna, e i due portarono il cadavere su per la collina e giù dall’altra parte fino alla navetta, nei cui pressi recuperarono il casco di Marcus. Nonostante la leggerezza di Marcus e la ridotta gravità di quel pianeta, il trasporto non fu affatto facile. Le soffocanti emanazioni continuavano ad agire, privandoli di volontà e di forza. Ma in qualche modo vi riuscirono. Sistemarono Marcus nella sua poltrona antiaccelerazione, e finalmente sedettero a loro volta.

— Hai davvero intenzione di esplorare qualche altro posto prima di tornare alla navetta? — chiese Giovanna.

— Sì, naturalmente se senti di farcela.

— Secondo me è una semplice perdita di tempo, Huw.

— Anche secondo me — ammise Huw. — Ma abbiamo lavorato duro per arrivare fin qui. Ecco perché dobbiamo provarci un’altra volta, per non doverci chiedere in futuro se per caso non abbiamo voltato le spalle a un pianeta su cui potevamo vivere. Prendimi pure in giro, Giovanna, ma io non posso mollare tutto così.

— Anche con il cadavere di Marcus seduto qui accanto a noi?

— Anche così — tagliò corto lui. Parlava digitando nel contempo una richiesta di assistenza al sistema di navigazione della Wotan, poiché non si sentiva abbastanza lucido da manovrare da solo la navetta. Quadranti e lettori digitali cominciarono ad attivarsi, il portello si chiuse e la voce meccanica degli altoparlanti annunciò che tutto era pronto per il decollo. Per un attimo, Huw pensò di tornare al controllo manuale, ma poi si rese conto di essere esausto, letteralmente prosciugato da quanto era avvenuto nelle ultime ore. Tutto ciò che voleva era affondare nella comoda poltrona antiaccelerazione e lasciare che qualcun altro gestisse le cose, almeno per il momento.

La navetta si alzò con un sibilo, puntando subito verso est. Presto si ritrovarono a un’altezza di mille chilometri, sopra un oceano verde grigiastro privo di onde e dall’aspetto estremamente denso. La notte cominciò a calare, e poco dopo si ritrovarono al buio. Quel pianeta non aveva alcuna luna. Su quello sfondo nero inchiostro le stelle brillavano come nello spazio aperto. Con lo sguardo rivolto al cielo nero, Huw cercò istintivamente di tracciare delle costellazioni in quella volta celeste decisamente poco familiare. Quella, si disse, sembra un albero con dei rami giganteschi, quell’altra una testa di cane e quell’altra ancora un antico guerriero in procinto di scagliare la sua lancia. Dopodiché cercò di indicarle a Giovanna, ma lei si rivelò incapace di vederle, nonostante l’accuratezza delle sue descrizioni, e piano piano anche Huw si perse nella confusione di quell’incredibile miriade di stelle.

La navetta raggiunse nuovamente la terraferma, mentre un’alba verdastra illuminava l’orizzonte. Finalmente riposato, Huw assunse il controllo manuale e cercò un posto dove atterrare.

Quel continente era un unico, immenso deserto, un mare arancione di dune. Forse non irradiava onde psichiche come il continente al di là dell’oceano, ma non sembrava certo un buon posto dove fondare una colonia. Dall’alto, Huw non vide nulla che potesse sembrare un fiume, un lago o persino un torrente, solo enormi dune di sabbia intervallate di quando in quando da colline rocciose basse e piatte. Scendendo, però, si resero conto della presenza di vegetazione, alti e insoliti arbusti quasi secchi che crescevano all’ombra delle rocce. Nulla di paragonabile alle rigogliose oasi terrestri, comunque. Non importava. Ormai l’idea di fondare una colonia su quel pianeta era tramontata. Si trovavano lì per un motivo molto diverso, forse un capriccio; ma si trattava di un capriccio a cui Huw dava la massima importanza.

Cercando tra le dune individuarono, non molto dopo, una zona pianeggiante e spazzata dal vento. La navetta vi atterrò senza problemi e Huw diede inizio alle procedure di routine che precedevano l’apertura del portello. Ma, di nuovo, l’assurda sensazione di terrore che caratterizzava quel pianeta cominciò a farsi sentire. Erano atterrati da appena cinque minuti e già avvertivano il gelido tocco di dita scheletriche correre su per le loro schiene, la nausea espandersi nei loro stomaci, la sensazione che le loro menti e i loro cuori venissero avvolti in un’invisibile tela di materia velenosa.

Quello schifoso pianeta era maledetto, si disse Huw.

Alzò gli occhi e guardò Giovanna. Lei annuì. Anche lei provava le stesse sensazioni.

— Usciamo lo stesso — ordinò Huw.

— Per quale motivo?

— Per poter dire che lo abbiamo fatto. Forza, muoviamoci.

Con un’alzata di spalle, Giovanna slacciò la cintura di sicurezza della poltroncina per poi muoversi e seguirlo fuori. Come prima, le ondate di paura si intensificarono non appena posero piede sul terreno. Huw alzò gli occhi nel luminoso cielo del mattino. Per qualche strano motivo si stava convincendo della presenza di strane creature alate sopra di loro, anche se non aveva visto alcuna forma di vita superiore fino a quel momento. Eppure gli sembrava proprio che dei giganteschi mostri con grandi zanne e ali nere e ricurve li stessero studiando, creature intelligenti simili a pipistrelli che volteggiavano lentamente in grandi cerchi, attendendo solo il momento buono per sferrare un attacco micidiale.

Ma non c’era nulla nel cielo. Niente mostri. Neppure una nuvola.

Ciononostante, un terrore incontrollabile lo afferrò alla gola. Il sibilo sferzante con cui immaginò scendere quelle creature gli riempì le orecchie, la forza terribile delle grandi ali con cui lo avvolsero lo scosse come una foglia, la crudeltà dei loro artigli affondati nella carne riempì la sua mente di dolore lancinante. E il loro odore… un odore selvaggio, bruciante, malvagio. Stava soffocando. Il fiato gli mancò, mentre il cuore batteva all’impazzata. Ma era solo un incubo. Solo un altro dannato incubo.

Doveva reagire in qualche modo. Con la forza della disperazione afferrò il casco con entrambe le mani e se lo tolse, per poi riempirsi i polmoni dell’aria di quell’orribile pianeta.

Era un’aria fredda, amara, sottile, il tipo di aria che Marte doveva avere quando, eoni prima, possedeva un’atmosfera. Quella, però, lasciava in bocca uno strano retrogusto quasi medicinale, dovuto senza dubbio alla presenza di uno o più elementi sconosciuti in quantità tale da risultare percettibili. Nessun odore di metano, notò Huw: forse l’esame spettrografico aveva confuso degli elementi sconosciuti con il metano. Ah, ma che importava? Inspirò con grande gusto tre o quattro profonde boccate d’aria.

Giovanna lo guardò preoccupata. — Cosa stai facendo? — gli chiese.

Huw non volle dirle nulla dei grandi mostri con le ali che sentiva volteggiare sopra di loro, pronti a calare come aquile per staccargli la testa con un morso. Invece rispose: — Abbiamo viaggiato a lungo prima di arrivare qui, e io voglio semplicemente assaggiare l’aria di un altro pianeta prima di andarmene.

— Sì, ma se quest’aria contiene qualcosa di pericoloso?

— Marcus l’ha respirata — replicò Huw. — È solo ossigeno, azoto, CO2 e qualche altro elemento. Cosa vuoi che contenga di pericoloso?

— Comunque Marcus è morto.

— Non perché ha respirato quest’aria — rispose Huw. Ma, dopo aver respirato ancora un paio di volte, si rimise il casco. Quell’assaggio dell’atmosfera del pianeta A gli lasciò in bocca uno spiacevole sapore chimico. La gola e le narici gli bruciavano, tuttavia sospettava che questo non significasse nulla di speciale: doveva trattarsi di un altro trucco di quel pianeta maledetto, un altro scherzo dell’immaginazione.

Erano lì per esplorare, e quindi si misero doverosamente al lavoro. Senza perdersi di vista, compirono una breve passeggiata, cinquanta metri da una parte e trenta dall’altra. Giovanna smosse un po’ il terreno e scoprì un nido di piccoli insetti dalle lucenti corazze color grigio metallico che stimolarono la sua curiosità scientifica per qualche minuto.