Tuttavia appariva chiaro che lo stesso effetto psichico li affliggeva anche su quel continente. Huw continuava a guardare in alto in cerca dei mostri alati, e Giovanna non riusciva a concentrarsi su quello che faceva. Gli stessi spasmi di paura prendevano entrambi, nonostante non vi fosse nulla di minaccioso attorno a loro. Qualsiasi fenomeno fosse, non pareva affatto confinato in una località specifica: lo provava il medesimo effetto subito dopo due atterraggi in punti diversi. Probabilmente si trattava di un’irradiazione che partiva dal nucleo stesso del pianeta, interessando l’intera superficie.
Huw guardò Giovanna. Sembrava calma, ma il suo volto era pallido e madido di sudore. Chiaramente, anche lei aveva sviluppato qualche sorta di tecnica mentale per tenere a bada quella sensazione di terrore, ma si trattava comunque di una fatica troppo immane per essere sostenuta a lungo. Un pianeta dove ci si trovava sempre costretti a ricacciare indietro la voglia di urlare e piangere dalla paura non rappresentava certo una scelta saggia per fondarvi la seconda casa dell’uomo.
— Va bene — disse Huw. — Abbiamo fatto abbastanza. Adesso possiamo anche andarcene.
— Sono assolutamente d’accordo.
I due tornarono alla navetta. Marcus, naturalmente, era là dove l’avevano lasciato, legato alla poltrona antiaccelerazione. Trovarlo da qualche altra parte avrebbe costituito davvero un grosso shock, e tuttavia Huw non poté fare a meno di sussultare vedendone il cadavere seduto accanto alla sua poltrona. Anche Giovanna distolse gli occhi da Marcus, quando entrò.
— Allora? — chiese lei mentre Huw inseriva il piano di volo. Andiamo a esplorare un terzo continente?
— No — fu la replica. — Quando è troppo è troppo.
— Allora pensa che non vi sia alcuna speranza, Huw? — chiese il comandante. — Pensa che non ci abitueremo mai a quella strana radiazione psichica?
Huw allargò le mani dalle grandi dita, studiandone per un attimo le punte prima di alzare lo sguardo verso il comandante. Erano passati due giorni dal loro ritorno, e lui e Giovanna avevano appena terminato la quarantena prescritta per le missioni a terra. Nel frattempo erano stati sottoposti a ogni genere di esami tesi ad accertare che non portassero a bordo microorganismi alieni potenzialmente pericolosi.
— Come faccio a dire se ci abitueremo o no? — replicò. — Magari tra cinque o seicento anni i nostri pronipoti arriveranno addirittura ad amarla. Può darsi che si abituino a tal punto da avere perennemente il voltastomaco da non riuscire più a farne a meno. Ma personalmente ne dubito molto.
— Mi è difficile capire come possa un pianeta generare effetti psichici così potenti che…
— Anche per noi è difficile accettarlo, vecchio mio. Tuttavia l’ho avvertita, ed era reale, e non ricordava nulla di quanto abbia potuto provare in vita mia. Una forza, un’energia che prendeva la mente, come una specie di immane amplificatore di tensione che mandava in corto circuito il sistema nervoso. Credo sia per questo che non abbiamo trovato alcun animale superiore laggiù. Non sto cercando di spiegare cosa sia: sto semplicemente dicendo che c’è, che esiste, e che mi fa accapponare la pelle solo a ripensarci. Ha quasi mandato me al manicomio. Ha quasi mandato Giovanna al manicomio. E Marcus lo ha mandato all’altro mondo, dopo avergli fatto perdere la testa al punto da mettersi a correre come un pazzo tra le rocce di un pianeta sconosciuto. Certo, esiste sempre la possibilità che ci si riesca a convivere, un giorno: la specie umana è adattabile, lo sappiamo tutti. Ma davvero vogliamo imparare a conviverci? E che sorta di prezzo dovremmo pagare per imparare a farlo, eh, comandante?
Il comandante studiò l’espressione e la voce di Huw con grande attenzione e fu grato di avere a bordo qualcuno come lui per quel genere di missioni. Huw era l’uomo più stabile che avesse mai conosciuto, il più coraggioso, anche se personalmente riteneva che il rumoroso, petulante Paco potesse rivelarsi altrettanto forte. Huw era tornato profondamente scosso dalla missione sul pianeta A: nessun dubbio in proposito. E non solo per la morte di Marcus, una disgrazia che comunque sembrava averlo segnato: il problema riguardava il pianeta in sé. Quindi, quel pianeta doveva risultare inabitabile.
Peccato, pensò il comandante. Era una cosa piuttosto spiacevole che quel pianeta non servisse ai loro scopi. Voleva che la spedizione avesse trovato velocemente un posto in cui insediarsi, perché il lungo confino a bordo della Wotan stava già creando dei problemi psicologici all’equipaggio. Si rammaricava anche di non poter scendere sulla superficie di quel pianeta per esplorarlo di persona, giusto per vedere se l’effetto che faceva corrispondeva a quanto descritto da Huw. In ogni caso, visto il rapporto stilato dai due esploratori ufficiali, non restava altro che dimenticarsi del pianeta A e lasciare al più presto quel sistema.
Non disse nulla di tutto ciò a Huw, comunque. Fu il gallese, ancora in attesa di una risposta alla sua domanda, a rompere infine il silenzio. — In ogni caso non è un granché come pianeta. Troppo secco. Una metà è arida, e l’altra lo è ancora di più. Dovremmo fare i salti mortali per avere dei raccolti appena decenti, e non ho visto alcun tipo di animale locale che…
— D’accordo, Huw. Per me la faccenda è chiusa. Non è il pianeta giusto per fondarvi una colonia.
Il volto teso di Huw mostrò un aperto sollievo, come se il gallese temesse segretamente che il comandante si fosse intestardito su uno sbarco in grande stile per provare, nonostante tutto, a colonizzare quel pianeta. — Certo che no — disse. — Sono contento di sentirla concordare con me su questo punto.
Poi i due uomini si alzarono. Avevano la stessa statura. Il comandante era forse leggermente più alto, ma Huw era grosso il doppio e pesava circa quaranta chili in più. Mosse un passo avanti, cinse il comandante con un abbraccio da orso e gli mormorò nell’orecchio: — Là sotto ho passato i momenti peggiori della mia vita, vecchio mio. Volevo che lei lo sapesse.
— L’ho immaginato — replicò il comandante. — Andiamo, adesso: dobbiamo celebrare il servizio funebre per Marcus.
Il comandante non era certo ansioso di fare ciò che si accingeva a fare. Mai si sarebbe aspettato che una cosa del genere facesse parte delle sue responsabilità verso l’equipaggio, e non aveva praticamente idea di che cosa dire. Tuttavia, il servizio funebre andava celebrato.
L’equipaggio della Wotan aveva reagito con stupore e sconforto alla morte di Marcus. Non era certo uno dei membri più in vista della ristretta società formatasi a bordo: troppo tranquillo, timido, generalmente poco comunicativo. Non aveva mai fatto parte del contingente di giocatori di Go, e neppure aveva mai cercato di stabilire un rapporto duraturo con qualcuna delle donne a bordo. Le poche, saltuarie relazioni sentimentali intrattenute riguardavano, per quanto ne sapeva il comandante, Celeste, Imogen, Natasha e forse qualcuna in più; tuttavia preferiva restare almeno in apparenza nel piccolo gruppo di dieci, dodici persone che evitavano con cura di stabilire delle relazioni più approfondite e durature.
No, Marcus non costituiva affatto un pilastro della vita di bordo; era piuttosto il semplice fatto della sua morte, una morte quantomai insensata, ad aver colpito tutti così profondamente. Erano partiti in cinquanta, e ora si ritrovavano in quarantanove. La loro prima missione fuori dagli angusti limiti dell’astronave portava un lutto, non una gioia. Forse era questa la ferita peggiore. Inoltre, veniva a crearsi una sorta di inatteso sbilanciamento. Al momento di dare il via alla nascita dei bambini, le coppie teoricamente disponibili sarebbero state ventiquattro e non più venticinque. Certo, in questo stadio del viaggio, nessuno poteva ancora dire se davvero la gente intendeva comportarsi secondo i parametri anticamente in voga sulla Terra: si trattava di tradizioni riservate agli anziani, non più praticate alla loro età, e nessuno vedeva il motivo di ripristinarle integralmente su qualche lontano pianeta tra le stelle. Ma ormai qualche variazione alle antiche tradizioni si imponeva, al momento opportuno, perché tutti idealmente dovevano giocare un ruolo attivo per popolare la Nuova Terra e a quel punto qualcuno restava fuori: una donna era destinata a restare sola. Chi? Questo eventualmente poteva costituire un problema in futuro, ma il vero problema era l’impatto della realtà sull’intima convizione di invulnerabilità in cui tutti loro galleggiavano là dentro, in quella macchina capace di attraversare lo spazio a velocità impensabili. Un’illusione, certo, un’illusione miserevolmente infrantasi non appena tre di loro erano emersi da quell’arca.