“Ma certo.
“Per arrivare, mi ha detto Paco, impiegheremo cinque o sei mesi. Massimo otto. È difficile dirlo con certezza al momento della partenza, visto che il viaggio nel non-spazio costituisce un paradosso matematico dall’inizio alla fine. Da cinque a otto mesi, comunque. E una volta arrivati ricominceremo daccapo: prima i rilevamenti a distanza, poi, se sarà il caso, la missione esplorativa a terra. Speriamo solo di avere miglior fortuna, questa volta.
“Il calcolo delle probabilità, però, lascia intendere che il pianeta B non si rivelerà più idoneo del pianeta A. L’uomo ha bisogno di un ambiente troppo raffinato: atmosfera perfetta, acqua in abbondanza, non troppo caldo e non troppo freddo, libero da altre specie intelligenti. Per fortuna, Hesper ha altri assi nella manica, oltre al pianeta B, almeno altri otto, dieci pianeti con forte presenza di ossigeno e clorofilla. E ve ne saranno altri oltre a questi, molte altre promettenti possibilità. La Via Lattea è incredibilmente grande, e noi ci troviamo dopotutto ancora nelle vicinanze della Terra, entro un’immaginaria sfera di soli cento anni-luce di diametro. Saltelliamo come pulci in un piccolo settore a circa trentamila anni-luce dal centro, e a una distanza ancora maggiore dalla periferia opposta della nostra galassia. Quante stelle contiene la Via Lattea? Cento miliardi? Duecento miliardi? Bene: se solo un millesimo di tutte queste stelle possedesse un sistema solare, e solo un sistema solare su mille possedesse un pianeta con atmosfera a base di ossigeno, vi sarebbero comunque tanti di quei pianeti potenzialmente abitabili che per visitarli tutti non basterebbe l’intera nostra vita, e forse neppure quella di tutti i bambini che potrebbero nascere a bordo. Sicuramente uno di questi sarà idoneo ad accoglierci.
“Sicuramente.”
Erano già molto avanti nella nuova traversata, e le fastidiose interferenze nel ponte telepatico ripresero più forti di prima. Le scariche, l’appannamento della qualità del contatto, iniziata verso la fine del quinto mese di viaggio per intensificarsi in determinati momenti e poi sparire senza alcun preavviso, tornarono a farsi sentire con violenza quantomai inaspettata. Alcune volte, Noelle riusciva a malapena a mettersi in contatto con Yvonne.
Nonostante il viaggio procedesse senza problemi, un giorno sereno dopo l’altro, il comandante insisteva comunque per inviare alla Terra il rapporto quotidiano e riceverne in cambio notizie. Riteneva di importanza essenziale il continuo contatto, sia per la gente della Terra, che viveva per procura l’avventura più eccitante di una languida esistenza grazie alle imprese degli uomini e delle donne della Wotan, sia per il suo equipaggio, che traeva un immenso beneficio psicologico dall’apprendere e commentare le notizie del giorno ricevute praticamente in diretta.
Tuttavia, da un certo punto in poi, i problemi di comunicazione si fecero seri, e Noelle dovette impegnarsi con tutte le sue forze per mantenere un contatto sempre più vago con la lontanissima Yvonne. Si impegnava a tal punto che il comandante cominciò a temere per la sua salute. Il suo sforzo era tale da trasmettersi anche a lui.
— Ho un nuovo comunicato da inviare — le disse un giorno il comandante, con tono il più normale possibile. — Se la sente di tentare?
— Certo che sì! — esclamò lei, quasi seccata. Ma poi sorrise e disse: — Si tolga dalla testa l’idea di mettermi a riposo, comandante. Deve pur esistere il modo di eliminare questa interferenza.
— Ne sono certo — si affrettò a rassicurarla, giocherellando nervosamente con i suoi appunti. — Bene, cominciamo. Giorno di navigazione numero…
— Aspetti — disse lei. — Mi dia un altro minuto per prepararmi.
Lui attese. Lei chiuse gli occhi e cominciò a cercare Yvonne. Era conscia come sempre della sua presenza. Anche se nessun dato specifico passava da una mente all’altra, esisteva un perenne stato di contatto a basso livello, esisteva la percezione della vicinanza dell’altra, esisteva una calda consapevolezza propriocettiva identica a quella che tutti noi abbiamo verso la nostra gamba o il nostro braccio. Tuttavia tra quell’impalpabile contatto subliminale e la trasmissione di un vero e proprio testo vi erano diversi passaggi chiave. Yvonne e Noelle erano risonatori biopsichici umani che formavano un ponte di comunicazione a lunga distanza, simile in un certo senso a un ponte radio. Anche per loro esistevano, quindi, delle determinate procedure di sintonizzazione, esattamente come accade tra ogni trasmettitore e ogni ricevitore. Noelle si aprì allo spettro di energia radiante, tutta vibrazioni e impulsi, che doveva portare il messaggio a sua sorella sulla Terra. E, visto che lei faceva da circuito trasmittente, era lei a dover modulare ed emettere degli impulsi abbastanza potenti da essere ricevuti. Velocemente e in modo puramente intuitivo, attivò i suoi centri energetici, uno nella spina dorsale, l’altro nel plesso solare, l’altro ancora appena sopra la fronte; un raggio di pura energia mentale partì allora da lei, percorrendo a inimmaginabile velocità le immense distese dello spazio-tempo.
Ma quel giorno si verificò un effetto strano e fastidioso; monitorando il circuito, Noelle si accorse che il suo segnale si infrangeva su una sorta di schermo che gli impediva di raggiungere Yvonne. Sua sorella era là, sintonizzata e in attesa, e tuttavia qualcosa bloccava il canale e nulla passava più, non una singola sillaba.
— Oggi l’interferenza è più forte che mai — riferì al comandante. — Mi sento come se potessi allungare la mano e “toccare” Yvonne, ma lei non mi riceve e io non ricevo i suoi messaggi!
Con un fremito di rabbia e stupore, Noelle alterò la frequenza della trasmissione, avvertendo al contempo la corrispondente correzione da parte di Yvonne, Ma, di nuovo, il contatto venne impedito. Il blocco sembrava insormontabile. Il suo segnale partiva regolarmente, ma veniva assorbito… da cosa? Come poteva accadere una cosa del genere?
Con uno sforzo rabbioso, Noelle cercò di dare al segnale il massimo dell’energia. Si concentrò il più possibile sul centro energetico di base, quello nella spina dorsale, eccitandone le energie e utilizzandole per portare il centro energetico successivo alla massima frequenza vibrazionale. Da lì prese tutta l’energia di cui aveva bisogno per portare il centro energetico trasmittente, sopra la fronte, alla maggior capacità armonica che poteva sviluppare. Noelle vagò disperata su e giù per le bande energetiche mentali. Inutilmente. Inutilmente. Tremante, lottò fino all’orlo del collasso. Pallida come un cadavere, con evidenti difficoltà di respirazione, crollò sulla sua sedia, e prima di svenire sussurrò al comandante: — Yvonne è là. Lotta con me per superare il blocco. La sento, ma non riesco a trasmetterle neppure una parola!
Si trovavano a cento, duecento o forse più anni-luce dalla Terra, e l’unico mezzo con cui potevano comunicare in tempo reale era bloccato. Il comandante si ritrovò inaspettatamente a fronteggiare un’ondata di gelido terrore. Non potevano riferire più nulla al loro pianeta madre e non potevano ricevere nulla. Non avrebbe poi dovuto importare così tanto, ma importava. Importava terribilmente, in qualche modo. La loro astronave, così autonoma e autosufficiente, non era diventata altro che un guscio di noce perso in una tempesta. L’oscurità li circondava da ogni parte. Ormai i viaggiatori delle stelle non potevano far altro che continuare ciecamente la loro corsa verso l’ignoto, sempre più soli.
Il comandante sedeva in silenzio nella sala di controllo, pensando. Aveva tradito Noelle, fuggendo da lei nel momento del più disperato bisogno, lasciandosi travolgere dall’immensità del suo sconforto, perché la perdita di Noelle, lo sapeva, era immensamente più grande della loro. Tutt’intorno a lui brillavano le spie, le luci dei quadranti. Ma nulla di tutto ciò aveva più senso, ormai. Tanta era la sua confusione che si sentiva stordito dall’improvvisa e profonda disperazione che dominava in lui.