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E pensare che qualche mese prima aveva accolto con tanta baldanza l’idea di abbandonare ogni legame con la Terra; bene, adesso che il legame era reciso, tremava e piangeva come un bambino. Non si riconosceva più, non sapeva chi fosse l’uomo titubante e pauroso che era diventato. Nulla era come prima. Le regole non valevano più. Nessun essere umano si era mai spinto tanto lontano da casa e il tenue, invisibile legame tra le due sorelle costituiva il motivo della loro esistenza. Solo adesso lo capiva. Ora il legame era caduto, e con esso il motivo della loro esistenza. L’universo era immenso, e la loro astronave cosi piccola! Uscì in corridoio, fermandosi come sempre davanti alla grande vetrata. La nebbia dell’Intermundium piena di vorticosi movimenti, il grigiore verso cui si sentiva tanto attratto e che tanto gli aveva rivelato sembrava ormai deriderlo con la sua insopportabile immensità. Lo derideva e lo seduceva allo stesso tempo. “Entra in me” mormorò “entra e rendimi parte di te, avvolgi la mia mente nelle tue spire.”

Da dietro di lui venne il rumore di passi leggeri. Noelle. Una mano sfiorò delicatamente le sue spalle ingobbite. — Va tutto bene — sussurrò la sua calda voce femminile. — Non dobbiamo farci prendere dal panico. Non dobbiamo farne una tragedia. — Peccato solo che lo fosse, una tragedia. La sua tragedia, soprattutto, quella di Noelle. E di Yvonne. Lui si stupì di ricevere conforto da lei, quando in quel momento doveva essere lui, semmai, a confortarla. Noelle e Yvonne avevano trascorso le loro vite nella più profonda delle unioni, un’unione fondamentalmente incomprensibile a chiunque, un’unione persa per sempre, ormai. Che coraggio dimostrava, si disse. Che forza d’animo davanti al suo grande disastro.

Ma quella sciagura colpiva tutti loro, tutti fino all’ultimo. Erano tagliati fuori, persi per sempre in un nebbioso silenzio. Qualunque successo avessero ottenuto in futuro, sempreché riuscissero a ottenerlo, non sarebbe mai stato condiviso con i loro simili rimasti sulla Terra. O perlomeno non in tempo reale, non per uno o due secoli, il tempo necessario alle onde radio, o a qualsiasi mezzo si muovesse alla velocità della luce, per raggiungere la Terra. Nessuno dei quarantanove membri dell’equipaggio sarebbe stato ancora vivo per allora, mentre il messaggio di ritorno sarebbe stato ricevuto dai loro nipoti.

Dalla sala comune, più avanti lungo il corridoio, giunsero le voci stonate di un coro improvvisato. Voci allegre: Elliot, Chang, Leon e gli altri. Nessuno sapeva ancora nulla.

Presto, presto, dei cieli la carretta lontano lontano il paradiso ci aspetta!

 Il comandante non si era ancora girato. Qualcosa che poteva essere un sospiro, o forse un vago singhiozzo, sfuggì a Noelle, immobile dietro di lui. Solo allora si voltò, avvolgendola nelle sue braccia e stringendola a sé. Lei tremava. Lui cercò di confortarla, quando appena un attimo prima era lei che lo stava confortando. — Sì, sì, sì — mormorò il comandante. Sempre con il braccio attorno alle sue spalle, la fece voltare in modo che guardassero entrambi fuori dalla vetrata. Come se Noelle potesse vedere. Il non-spazio danzava vaporoso a dieci centimetri dal suo volto, appena oltre la spessa lastra di cristallo. Quel luminoso grigiore, quel profondo, infinito pozzo di nulla, quel grande Intermundium adesso lo spaventava. Gli parve quasi di avvertire un fortissimo vento soffiare contro la lastra, premere per entrare nell’astronave, il khamsin, il libeccio, il simum, lo scirocco, un vento soffocante, un vento velenoso nato nelle profondità del grigio nulla, tutti venti tetri, secchi che spazzavano la Terra portando fuoco e follia, venti caldi e venti freddi, il mistral, la tramontana. No, si disse. No. Si sforzò di non temere quel vento. Cercò di convincersi che era un vento di gioia, un vento dolce e fresco, un vento di vita. Perché pensava che vi fosse qualcosa da temere nel regno oltre la vetrata? Fino a quel giorno si era soffermato a contemplare le volute di grigio nulla con grande piacere: che fascino esercitava su di lui, che estatica attrazione. Ed era ancora così. Noelle fremeva, appoggiata al comandante come se vedesse ciò che vedeva lui, e lui cominciò a sentirsi calmo, cominciò a ritrovare la bellezza del regno del non-spazio. Che tristezza, pensò allora, non poterla più descrivere a nessuno, se non a se stessi!

Una strana pace scese inaspettatamente su di luì. Aveva trovato nuovamente la calma profonda che solo nel suo periodo monastico era riuscito a raggiungere. Tutto sarebbe andato per il meglio, mormorava una voce dentro di lui. Nessun serio inconveniente verrà da quanto accaduto. Anzi, ne verrà del bene. Perché il bene amava celarsi anche nelle situazioni più oscure.

Noelle giocava ossessivamente a Go, battendo tutti. Viveva praticamente nella sala comune sedici ore al giorno. Qualche volta si misurava contemporaneamente con due avversari, una cosa incredibile considerando che doveva memorizzare lo sviluppo di schemi complessi su due scacchiere, sconfiggendoli entrambi. Due giorni dopo aver definitivamente perso il contatto verbale con sua sorella Yvonne, si misurò contemporaneamente con Roy e Heinz, sconfiggendo prima uno e poi l’altro davanti a un attonito pubblico di quindici, venti persone. Era vivace e di buon umore, almeno in apparenza. Tutti, ormai, sapevano della perdita del contatto con la Terra, e tutti constatavano con quanta cura Noelle celasse il suo dolore per l’accaduto. Lo esprimeva, sospettavano gli altri, solo tramite la sua passione maniacale per Go. Il comandante era uno dei suoi avversari preferiti, soprattutto adesso che poteva dedicare alla scacchiera il tempo dedicato, fino a pochi giorni prima, alla raccolta dei dati da inviare quotidianamente sulla Terra e alla stesura dei relativi comunicati. Il comandante pensava di aver chiuso con Go anni prima: nulla di più errato. Anche lui giocava ormai ossessivamente, costruendo mura e le inespugnabili fortezze conosciute come “occhi”. Trovava rassicurante e soddisfacente il ritmico battere delle pedine bianche e nere. Ma Noelle vinceva ogni partita che giocava contro di lui. Unica tra tutti, lei copriva l’intera scacchiera di occhi.

L’avvicinamento al pianeta B servì parecchio a distrarre i viaggiatori dai problemi creati dall’interruzione del contatto con la Terra. Le aspettative cominciarono rapidamente a salire. Improvvisamente, si diffuse un certo ottimismo tra i membri dell’equipaggio riguardo le possibilità di quel pianeta. L’assenza dei rassicuranti messaggi da casa trovava, insomma, una contropartita nella speranza, chissà quanto fondata, di scoprire un meraviglioso pianeta pronto per loro, alla fine del lungo viaggio.

Hesper lavorava molto per raffinare le tecniche di correlazione, e di quando in quando forniva loro una pletora di dati a elevata affidabilità, almeno secondo lui, sul pianeta verso cui si dirigevano. Si trattava del secondo di un sistema di cinque pianeti in orbita attorno a una stella di tipo K di medie dimensioni. Che una stella con quel tipo di spettro potesse fornire abbastanza calore da sostenere la vita fu oggetto di qualche discussione a bordo. Ma Hesper assicurò a tutti che la stella di quel sistema era un tipo K di luminosità superiore alla media, e che il pianeta B era abbastanza vicino da ricevere tutto il calore necessario, forse anche troppo per un clima ideale.

Come faceva Hesper a sapere tutto ciò? Nessuno riusciva a immaginarselo. Era uno dei rari misteri che movimentavano la vita di bordo. Non poteva osservare direttamente il sistema verso cui puntavano, non dal non-spazio. Tutti sapevano che si limitava a giocare con un grappolo di criptici dati analogici riferiti alla realtà, un insieme di equivalenti decodificato con metodi che nessun altro comprendeva. Tuttavia, le sue conclusioni sul pianeta A si erano dimostrate pienamente corrette, perlomeno per quanto riguardava le dimensioni, la temperatura media, la composizione atmosferica e gli altri punti salienti che lo riguardavano. Hesper, in verità, non aveva previsto un piccolo dettaglio sul pianeta A che lo rendeva decisamente inadatto a un insediamento umano, ma si trattava di un particolare che non poteva essere rilevato dagli strumenti, ma solo al momento dell’atterraggio di una missione con equipaggio umano.