La maggior parte dell’equipaggio della Wotan si stava ancora cullando nel calore delle illusioni collettive sull’abitabilità del pianeta B, illusioni di cui l’equipaggio si era nutrito durante tutto il viaggio attraverso il non-spazio dal sistema solare del pianeta A. Quasi tutti erano convinti di essere in viaggio verso una sorta di paradiso terrestre, un mondo grande e vergine che attendeva solo di essere colonizzato. Quelle illusioni sarebbero senz’altro rimaste fino a quando qualcuno non avesse dimostrato loro il contrario. E, quindi, i pochi che avevano un accesso diretto ai dati delle rilevazioni, e che cominciavano a capire che le cose non sarebbero state così facili, divennero stranamente reticenti, in attesa di scoprire come avrebbero reagito i loro compagni.
Finalmente, il comandante disse a Huw: — Lei crede che quel dannato pianeta sia in qualche modo colonizzabile?
— Come posso saperlo senza aver prima dato un’occhiata?
— Ah, posso già dirlo da qui. Io lo so. Lei lo sa, Huw.
Huw ammise con un cenno le ragioni del comandante. — Sì, è un pianeta molto insolito, devo ammetterlo.
— È dannatamente caldo. Niente metalli, niente mari, laghi o fiumi, solo qualche sorta di giungla impenetrabile che lo ricopre per intero.
— Abbiamo viaggiato a lungo per arrivare qui. Vogliamo andarcene così, senza aver dato neppure un’occhiata? Potremmo mandare giù almeno una sonda — fece Huw.
Di nuovo, il comandante cadde in un impenetrabile silenzio.
Huw riprese: — Per la verità non pensavo esattamente a una sonda. Dobbiamo mandar giù qualcuno e controllare la teoria di Giovanna sugli angeli.
— Che teoria?
— Non ricorda? Che gli angeli non gradiscano la nostra espansione nello spazio, e che per dimostrarcelo abbiano creato quelle strane radiazioni psichiche sul pianeta A per poi interrompere completamente il contatto tra Noelle e Yvonne.
Ma sull’argomento angeli il comandante sembrava trincerato dietro un riserbo impenetrabile. — Huw, l’esistenza dei cosiddetti angeli è solo un’ipotesi improbabile, non una certezza.
— Questo è vero, ma inviando un paio di persone sul pianeta B riusciremmo perlomeno a sapere se sarà mai possibile per noi stabilirci su qualche pianeta, senza prima dover affrontare la collera di queste misteriose creature. Se esistono, naturalmente. Sto dicendo che qualcuno di noi dovrebbe scendere là sotto e vedere se si verificano gli stessi strani fenomeni che abbiamo incontrato sul pianeta A.
— Già. Sapevo che avrebbe detto questo, Huw.
— Dobbiamo scendere e provare, non è d’accordo?
Il comandante chiuse gli occhi per un attimo. — E chi proporrebbe per questa missione?
— Lei, naturalmente. Adesso ha acquisito il diritto legale di esplorare nuovi pianeti. E, tuttavia, non mi sembra entusiasta di farlo. Confesso, amico mio, che ancora una volta non la capisco. Dovrebbe fremere dalla voglia di andare, e invece…
— Voglio andare, certo, sempre ammettendo che ne valga la pena. Ma quel pianeta non ci serve, Huw. Non pensa che cercare di esplorarlo sia, come minimo, una perdita di tempo? Comunque, chi altri proporrebbe per la missione?
— Me stesso.
— Logico. Qualcun altro?
— No, nessuno.
— Noi due? Io e lei e basta?
— Esattamente.
— Non era lei a insistere per una squadra di tre persone sul pianeta A? — chiese il comandante.
— Certo, ma sul pianeta A. Se ben ricordo, noi due siamo stati più che sufficienti su Titano, su Ganimede e su Callisto — replicò Huw. — Sono convinto che riusciremo a cavarcela da soli anche in questo caso, e senza problemi. Perché mettere a repentaglio la vita di qualcun altro? Mi ascolti, comandante: domani mandiamo giù una sonda e preleviamo dei campioni. Dopodiché, io e lei scenderemo per vedere se ci accade la stessa cosa che è accaduta a me, Giovanna e Marcus sul pianeta A. Se le cose vanno come devono andare, bene. Non potremo colonizzare quel pianeta, ma possiamo tentare da qualche altra parte. Se invece quello strano fenomeno si ripete vuol dire che siamo circondati da misteriose creature, angeli o demoni che siano, e che dovremo cercare una soluzione diversa. Che ne dice comandante, signore, vecchio mio?
— Dico che ci devo pensare, Huw — fu la secca replica del comandante.
In verità, il comandante voleva scendere sul pianeta B con tutte le sue forze, ed era preda della passione fin da prima che l’astronave emergesse dal non-spazio. Se cercava di contrastare i propri impulsi era solo perché ne temeva l’egoismo e sentiva di esser stato abbastanza egoista in quegli ultimi tempi.
Chiaramente, quel pianeta non poteva essere colonizzato. Il comandante ne era più che certo, anche se la maggior parte dei suoi compagni di viaggio non ne sapeva ancora nulla. C’era qualche remota possibilità di renderlo adatto perché degli uomini ci abitassero, sì, ma il comandante era sicuro anche senza dati di prima mano raccolti sul posto che laggiù la vita sarebbe stata tremendamente difficile, scomoda, impegnativa. Un certo grado di difficoltà poteva essere uno stimolo prezioso allo sviluppo di una società, realizzò, ma c’era un punto oltre il quale lo spirito umano avrebbe ceduto sotto uno sforzo troppo pesante. Quello era quanto sarebbe accaduto laggiù con tutta probabilità, concluse. Meglio dunque cancellare quel mondo senza altri fastidi, e partire alla ricerca di qualche altro pianeta meno ostile.
E tuttavia…
Un pianeta, un pianeta unico e sconosciuto alla sua portata, un pianeta che senza dubbio aveva dato vita a qualche tipo di forma vivente completamente al di fuori dell’esperienza umana.
Lo voleva. Non poteva negarsi quel diritto, accidenti, non dopo la battaglia combattuta per guadagnarsi l’accesso alle missioni esplorative. Alla fine permise all’uso che Huw aveva fatto della variante sulla teoria degli angeli enunciata da Giovanna di influenzare la sua decisione. Avevano bisogno di scoprire se qualche onnipotente forza esterna aveva deciso di impedire loro l’accesso ai mondi dello spazio, e atterrare sul pianeta B poteva gettare un po’ di luce sul problema. Sarebbe servito, comunque. Dimostrare in modo definitivo che si trattava di sciocche superstizioni avrebbe compensato la delusione dell’equipaggio per la notizia dell’inabitabilità del pianeta B. Pertanto autorizzò l’invio di una sonda automatizzata per raccogliere informazioni dettagliate sulle condizioni ambientali là sotto, e fece sapere che una successiva spedizione umana era in fase avanzata di preparazione, se i dati raccolti dalla sonda l’avessero consigliata. Huw, che azionava la sonda a distanza, la mise in orbita a soli mille chilometri dai limiti della fradicia atmosfera, scandagliando agli infrarossi la porzione di superficie direttamente sottostante per capire cosa nascondesse lo spesso strato di nuvole. Le telecamere agli infrarossi erano studiate per penetrare una nebbia decisamente più fitta di quelle nubi, ma tutto ciò che riuscirono a fare fu presentare loro dei nuovi misteri.
— Guardi qui — disse Huw al comandante. — La superficie appare coperta di linee di calore. È come un gigantesco rotolo di spago, quel pianeta. Sembra avvolto da miliardi di cavi di gomma.
— Rampicanti — rispose il comandante. — Almeno, credo.
— Un pianeta completamente coperto di rampicanti? Rampicanti spessi duecento chilometri?
— Dovremmo dare un’occhiata da vicino — propose il comandante.
— Già fatto — replicò Huw, ingrandendo l’immagine di un paio di livelli e inserendo un filtro ultravioletto. — Adesso stiamo guardando proprio sotto la superficie. Le vede anche lei le linee scure che tagliano in verticale le linee rosse soprastanti?