La velocità con cui aveva ripreso il controllo lo colse in contropiede. — È pronta a cominciare? È riuscita a stabilire il contatto con Yvonne?
— Sì. Sta aspettando.
— Bene, allora cominciamo. — Si sentiva stordito, svuotato. Lei aveva sottilmente vinto l’inesplicabile duello che si era combattuto in quella cabina. Le sue dita tremarono un poco quando aprì gli appunti preparati per l’occasione. Poi, lentamente, cominciò a leggere: — Giorni di viaggio: centodiciassette. Velocità… Posizione apparente…
Noelle dormiva dopo ogni trasmissione. Stabilire il contatto la lasciava esausta. Quella volta aveva cominciato ad appisolarsi già verso la fine del messaggio; uscendo in corridoio, il comandante sapeva che si sarebbe addormentata in pochi istanti. Chiuse la porta e lentamente si avviò, scuro in volto, preoccupato per quella strana tensione scoppiata all’improvviso tra loro a causa di quell’attacco di brutale “realismo” dal quale sembrava misteriosamente guarito non appena lasciata la cabina di Noelle.
Con quale diritto, si chiese, aveva detto che la Terra si sarebbe presto dimenticata di loro e che la loro missione non significava praticamente nulla per la specie umana? Aveva detto un mucchio di idiozie, e per di più sapendolo. La loro spedizione rappresentava una sorta di redenzione per la Terra, l’impresa più emozionante mai tentata negli ultimi due secoli, l’ultima e la migliore speranza di una civiltà sonnolenta sempre più preda della propria placidità. E quindi ciò che loro facevano era importante, terribilmente importante, e lui non aveva alcun motivo per dubitarne. Per preparare il primo viaggio interstellare della storia umana c’era voluto quasi un secolo, e nel corso di quegli anni l’eccitazione del pubblico non era mai calata, anzi aveva stimolato al momento opportuno la volontà dei partecipanti quando l’interminabile addestramento minacciava di farli fuggire uno dopo l’altro. No, l’interesse verso la loro impresa si manteneva più vivo che mai. Quel viaggio, per quanto privo di eventi, ipnotizzava milioni di persone che lo seguivano giorno dopo giorno. Era come una droga per loro, un potente euforizzante che li spingeva a svegliarsi da un sonno letargico lungo almeno un secolo. Perché loro erano viaggiatori anche per gli altri; in futuro, una volta trovata la nuova Terra, sarebbero stati dei coloni anche per gli altri. I vantaggi potevano durare dei secoli. E allora perché si era lasciato andare a quello sfogo di pessimismo gratuito? Nulla sorreggeva la posizione che tanto impulsivamente aveva sostenuto. Fino a quel momento i messaggi dalla Terra, inviati a Noelle tramite Yvonne, vibravano di mille domande: l’intero pianeta pulsava di una travolgente curiosità. Diteci, spiegateci, raccontateci!
Ben sapendo l’importanza dell’impresa a cui partecipava, l’intero equipaggio aveva fatto di tutto per rispondere in modo esauriente. Ma purtroppo c’era così poco da dire, davvero, tranne forse sotto l’aspetto trascendentale dove, in effetti, c’era moltissimo. Ma come esprimerlo a parole?
“Come” esprimerlo?
Il comandante si fermò davanti alla grande vetrata del corridoio principale, una finestra rettangolare lunga una decina di metri che si affacciava direttamente sullo spazio esterno all’astronave. Nessuno dei sofisticati dispositivi analogici di raccolta dati utilizzati da Hesper era in funzione su quella finestra, che mostrava quindi il vero ambiente attraversato dalla Wotan. Eccolo là, il vuoto del vuoto, l’assoluta mancanza di materia del non-spazio denso e permeante, percorso da mille sfumature grigio perla che sembravano premere contro la corazza dell’astronave. Durante il lungo addestramento, i membri della spedizione erano stati preparati all’assoluta mancanza di stimoli esterni del non-spazio: quello in cui viaggiavano era un nulla di lunghezza infinita, una sorta di tunnel privo di materia in cui, probabilmente, non ci sarebbe stato alcun panorama a intrattenerli. Niente nebulose sullo sfondo, niente stelle lucenti, niente meteore vaganti, neppure una coppia di atomi in collisione in grado di accendere una minima scintilla; solo l’eterna uniformità, il grande, vuoto Intermundium che li avrebbe avvolti come un muro di nebbia. Gli istruttori avevano proposto loro diversi metodi per combattere l’angoscia che generava quella nebbia: meditare quanto più possìbile, non aspettarsi nulla dallo spazio esterno, rendere l’astronave il proprio universo. E tuttavia quanto fuorviami si erano rivelati all’atto pratico quei suggerimenti! Il non-spazio non era tanto un muro, quanto una finestra: solo che risultava impossibile a una persona sulla Terra comprendere le grandi rivelazioni che si nascondevano in quella nebbia apparente.
Con la testa che ancora doleva per la discussione con Noelle, il comandante cercò di ristabilire il suo scosso equilibrio, indulgendo nel suo piacere più profondo. Bastava guardare fuori dalla vetrata per vedere il luogo dove l’immanente diventava il trascendente: il comandante contemplò ancora una volta il riverbero delle infinite onde di energia che frustavano la nebbia grigia, là fuori dove il continuum veniva appiattito e curvato dal campo del non-spazio, consentendo all’astronave di attraversare con illusoria facilità le grandi distanze interstellari. Là fuori non vi era né un muro di nebbia, né un tunnel vuoto: l’Intermundium consisteva di una sorprendente profusione di campi di energia interconnessi e legati l’uno all’altro. Musica che era anche luce, luce che era anche musica, mentre gli uomini e le donne a bordo dell’astronave erano particelle senzienti che facevano parte di quell’immenso riverbero che tutto includeva, di quella radiosa nota d’amore che era l’universo. Quando il comandante guardava fuori, in quel campo di luce, gli sembrava chiaro che lui e i suoi compagni di viaggio stavano muovendo verso il centro di tutte le cose, affidando gioiosamente se stessi alla cura di forze cosmiche che oltrepassavano di molto i limiti dell’umana comprensione e dell’umano controllo.
Appoggiò le mani sul cristallo gelido, per poi avvicinarvi il viso.
“Cosa vedo, cosa provo, cosa sento?”
Era un’istantanea rivelazione, ogni volta. La vista di quel vuoto luminoso poteva anche spaventarlo, poiché provava in modo schiacciante e inappellabile che si trovavano fuori dal normale universo, separati da tutto ciò che era familiare e “vero” mentre galleggiavano in quel luogo dove le regole dello spazio e del tempo erano sospese. Tuttavia, il comandante non trovava nulla di spaventoso in tutto ciò. Nessuno dell’equipaggio trovava preoccupante quella situazione. Era quasi, “quasi”, la tanto sospirata comunione con il tutto. Le barriere restavano, ma tuttavia il comandante era ben conscio del senso alterato dello spazio e del tempo, dell’accresciuto senso di possibilità, dell’incontro con la misteriosa entità che viveva negli spazi vuoti tra le parole del cosmo, qualcosa di maestoso e potente; e sapeva che quell’entità era parte di lui, e che lui era parte di quell’entità. Ecco perché ogni volta che guardava fuori dalla vetrata provava l’impulso di aprire il grande portello dell’astronave e lasciarsi cadere nell’eternità. Ma ancora non poteva, no. Non era affatto pronto per l’Intermundium galattico. Le barriere restavano. Il viaggio era appena cominciato. Ogni giorno che passava si avvicinavano alla loro meta, ovunque si trovasse, ma il viaggio era appena cominciato.
Come spiegare tutto ciò agli uomini rimasti sulla Terra? Come renderlo comprensibile?
Non con le parole. Mai con le parole.
“Che partano a loro volta, allora, e vedano con i loro occhi!”
Sorrise. Con un tremito emise un vago suono di stupore e delizia. Tutti i suoi dubbi scomparvero all’improvviso com’erano venuti. La nave spaziale continuava la sua traversata in quell’immensa notte insolita. La fiducia montò in lui come un’alta onda di marea. Il risultato di quel viaggio poteva solo essere il successo, sotto qualunque forma.
E finalmente abbandonò la grande vetrata, assorto, estatico.