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Di tanto in tanto, Noelle riprese a parlare. Dapprima emise una parola, poi un’altra, poi intere frasi. “Contatto tra le menti”, disse “la stella e io.” Contatto tra le menti, pensò il comandante. E, pochi attimi più tardi, Noelle prese a emettere un suono, una sorta di “uhuummmm” prolungato e molto insolito, un suono alto che sembrava tendere verso frequenze inaudibili per l’uomo. La cosa lo sorprese e lo spaventò: aveva la forza di pesanti irradiazioni espresse sotto forma di suono.

Non aveva mai sentito nulla di simile prima di allora. Era stanco, non aveva praticamente mai dormito dal giorno in cui Huw si recò a visitare Noelle, trovandola sul letto in preda a un coma profondo.

Il suono sembrò continuare all’infinito. Era un suono terribile. Il comandante strinse le mascelle, chiuse le mani a pugno e si sforzò in ogni modo di sopportarlo. E finalmente il suono cessò.

Mentre il corpo di Noelle si irrigidiva, il suo bacino si spinse verso l’alto. Convulsioni di qualche tipo? No. Noelle si stava semplicemente stirando, si stava svegliando. Finalmente! Veloci contrazioni le attraversarono ogni muscolo, ricordandogli stranamente l’esperimento della rana di Galvani. Le palpebre tremarono, le labbra emisero un vago gemito. E finalmente gli occhi si aprirono.

E subito si fermarono su di lui.

Il comandante la guardò negli occhi. Avevano qualcosa di diverso rispetto a prima, qualcosa di nuovo. Qualcosa di sorprendente.

Gentilmente, lui le disse: — Hai aperto gli occhi, Noelle: riesci a vedermi? — E al contempo mosse una mano avanti e indietro davanti al volto di Noelle. Le sue pupille seguirono il movimento.

— Io… io ti vedo! Io ti vedo!

La sua voce era fioca, debole, strana: quasi una voce aliena. Ma poi tornò la solita voce di sempre quando lei gli chiese: — Quanto tempo sono stata via?

— Otto giorni. Eravamo molto preoccupati.

— Il tuo viso è esattamente come pensavo — disse Noelle. — Hai dei lineamenti sottili e duri, ma non è un volto ostile, non è un volto duro. Mi piace la tua espressione, comandante.

— Vuoi raccontarmi di dove sei stata, Noelle?

Lei sorrise e annuì. — Sono stata… ho contattato un angelo.

— Un angelo? Un “vero” angelo?

— Non un vero angelo. Quella è solo una parola. Non era certo un angelo come quelli che la gente adorava un tempo. Non aveva un corpo fisico, e neppure un qualche tipo di intelligenza organica. Era… era…

Lui attese, guardandola con amore e meraviglia. La bellezza dei suoi occhi, finalmente vivi e rivolti su di lui, lo colpiva.

— Era più o meno come le creature di pura energia di cui parlava Heinz. Incorporeo, ecco ciò che intendo. Ed era grande come mai avevo immaginato, persino più grande di un intero pianeta. Non saprei dire cosa fosse, ma so che era immenso.

— Nel delirio dicevi di parlare con una stella.

— Con una stella! — esclamò lei, come se il concetto le risultasse del tutto nuovo.

— Nel delirio dicevi così. “Una stella mi tiene nel suo grembo, e mi sta parlando.”

I suoi occhi si accesero di grande eccitazione. — Ma certo! Una stella, sì! Ecco cos’era. Stavo parlando con una stella!

Il comandante provò un profondo sconforto. Quell’esperienza l’aveva portata alla pazzia, pensò.

Tuttavia riuscì a mantenere calma la voce. — Ma com’è possibile parlare con una stella? Cosa significa secondo te, Noelle?

Lei rise. — Significa parlare con una stella, comandante. Niente di più, niente di meno. Un’immensa sfera di gas in combustione, solo dotata di mente e di coscienza. Era così, era una stella: ne sono più che certa.

— Ma come può una stella…

La luce svanì bruscamente dagli occhi di Noelle. Non apparivano più consapevoli. Era ricaduta nel coma? Apparentemente sì. In ogni caso, stava viaggiando di nuovo; ora non era più con lui.

Lui decise di attendere accanto al suo letto. Un’ora, due ore. Si alzò, passeggiò avanti e indietro, sedette, attese. Dove si trovava Noelle in quel momento? In quale bizzarro regno stava viaggiando? Il suo respiro era un ronzio sommesso e distante. Si trovava molto distante da lui, molto lontana da qualsiasi posto che lui potesse comprendere.

E, finalmente, le sue palpebre si mossero di nuovo, e Noelle aprì gli occhi.

Lo cercò subito con lo sguardo. I suoi occhi erano vivi, esattamente come prima, ma il suo volto appariva trasfigurato: sembrava in estasi. Al comandante parve che lei si trovasse almeno in parte ancora in quell’altro mondo oltre l’astronave. — Sì — disse Noelle. — Non era un angelo, comandante, ma una stella. Una stella vivente, dotata di intelligenza.

I suoi occhi sembravano irradiare luce. — Una stella, un sole — mormorò. Le parole suonavano folli, ma non la voce. — Io sono entrata in contatto con la coscienza di un sole. E poi di molti soli. Mi credi, amore mio? Riesci a credermi? Io ho trovato una moltitudine di stelle che vivono, che pensano, che hanno una mente e un’anima e che comunicano tra loro. L’intero universo è vivo.

— Una stella — ripeté lui con voce spenta. — Hai parlato con una stella. Le stelle hanno una mente.

— Sì.

— Tutte? Anche il nostro sole?

— Tutte. Splendono là fuori e comunicano tra loro. Noi ci muoviamo tra di loro, nel nostro viaggio nella galassia, e le loro conversazioni attenuano il mio legame con Yvonne. Ecco cos’era l’interferenza. Erano le stelle che si parlavano tra loro saturando la mia lunghezza d’onda telepatica, privandomi di ogni spazio per contattare Yvonne.

Quella conversazione stava assumendo le caratteristiche di un sogno. Con molta calma le chiese: — Ma perché il nostro sole non ha mai interferito nel contatto tra te e Yvonne?

Lei si strinse nelle spalle. — Non è abbastanza vecchio. Io l’ho visto, sai? L’angelo che mi guidava me l’ha mostrato. È come un bambino, un piccolo bambino perso nei suoi giochi. Ci vogliono molti milioni di anni perché maturino: solo le stelle mature riescono a comunicare tra loro con regolarità. Il nostro sole è troppo giovane. Nessuna delle stelle vicine alla Terra è abbastanza vecchia. Ma qui, nelle profondità dello spazio…

— Sei ancora in contatto con la stella che ti guidava?

— Sì. Con lei e con molte altre. E con Yvonne.

Follia. Pura follia.

— Anche con Yvonne? — chiese.

— È tornata in collegamento con me. Anche lei ha una frequenza nel circuito. — Noelle lo guardò dritto negli occhi. — Posso inserire anche altri nel circuito. Potrei inserire te, comandante.

— Me?

— Sì. Vorresti entrare in contatto con la coscienza di una stella?

— Cosa mi accadrebbe? Potrà farmi del male?

— Ti sembra forse che mi abbia fatto del male?

— Ma resterò me stesso? Oppure cambierò?

— Ti sembra forse che io non sia me stessa?

Lui restò in silenzio per lungo tempo.

Poi con voce strana e spenta, le disse: — Non voglio, Noelle. Ho paura.

— Perché? Tu non hai mai avuto paura di niente.

— Be’, ho paura adesso. Ho paura di tutto questo.

— No, no.

— Sì, invece.

— Apriti a me. Conosci le meraviglie dell’universo.

— E se non dovesse piacermi?

— Ti piacerà, vedrai. Fidati. Devi aver fede. Hai avuto fede quanto ti sei unito a questa missione: non è forse vero? Devi solo fidarti. Ora dimmi: credi davvero a ciò che ti ho raccontato?

Lui esitò.

— Allora?

— Sì — rispose lui, mentendo.

— E allora devi aver fede in me. Tocca una stella, comandante.

Lui strinse la mano tesa di Noelle. — Andiamo! — E la sua mente si addentrò nell’universo.