– Freddo – ruggì poi. Miles sussultò.
– Ah… freddo… hai ragione, ne ho anch'io, ed ho anche i calzini bagnati. Caldo, vuoi del caldo. Dunque, vediamo, potremmo tentare di nuovo da questa parte, dove il soffitto si abbassa… no, non serve, perché il calore si raccoglierebbe tutto in alto…
La creatura lo stava seguendo con la stessa intensità di un gatto che stesse pedinando un… ecco… un topo, mentre lui sì aggirava fra i pilastri fino ad arrivare ad un punto dove il soffitto era tanto basso che si poteva passare soltanto strisciando, in quanto lo spazio disponibile era poco più di un metro. Sì, quella era la conduttura più bassa che avrebbe potuto trovare.
– Se riusciremo ad aprire questo – spiegò, indicando un tubo di plastica il cui diametro era quasi uguale alla circonferenza della sua vita, – otterremo un getto di aria calda, che viene pompata all'interno sotto pressione… ma questa volta non ci sono comode giunture a disposizione – concluse, fissando l'oggetto in questione e cercando di riflettere. Quella plastica composita era estremamente forte.
La creatura gli si accoccolò accanto e provò a tirare, poi si distese sulla schiena e scalciò contro il tubo, girandosi infine verso di lui con aria avvilita.
– Tentiamo così – suggerì allora Miles. Con un certo nervosismo, prese la mano della creatura e la guidò fino al tubo, utilizzando i robusti artigli per tracciare lunghi solchi intorno alla sua circonferenza.
La creatura grattò e grattò, infine si girò verso di lui e lo fissò come per dirgli che la cosa non stava funzionando.
– Adesso prova di nuovo a scalciare e a tirare – consigliò Miles.
La creatura doveva pesare qualcosa come centocinquanta o duecento chili e concentrò tutto quel notevole peso nel suo sforzo successivo: dapprima scalciò, poi passò le braccia intorno al tubo e puntellò i piedi contro il soffitto, inarcandosi e premendo con tutte le sue forze. Finalmente il tubo si spezzò là dove erano stati tracciati i graffi e lei cadde a terra insieme ad esso mentre l'aria calda cominciava a fuoriuscire con un sibilo. La creatura protese entrambe le mani verso il calore, espose ad esso la faccia e giunse quasi ad avvolgersi intorno al tubo, limitandosi poi ad inginocchiarsi in modo da lasciare che l'aria calda le soffiasse sul corpo. Accanto a lei Miles si accoccolò al suolo e si tolse i calzini bagnati, gettandoli sul tubo caldo perché si asciugassero e pensando che quello sarebbe stato il momento buono per fuggire, se soltanto ci fosse stato un luogo dove fuggire e se non fosse stato riluttante a perdere di vista la sua preda… preda? Stava considerando l'incalcolabile valore del polpaccio sinistro di quella creatura quando essa nascose improvvisamente il volto contro le ginocchia.
Non mi avevano avvertito che poteva piangere, pensò, tirando fuori il fazzoletto regolamentare, un arcaico pezzo di stoffa… non aveva mai capito il perché di quello stupido fazzoletto, a meno che non fosse da cercare nel fatto che dove andavano i soldati presto c'era chi piangeva… e glielo porse.
– Prendi, asciugati gli occhi con questo.
Lei lo accettò, si soffiò il grosso naso piatto e accennò a restituirlo.
– Tienilo – la fermò Miles. – Uh… mi chiedo con quale nome siano soliti chiamarti.
– Nove – ringhiò lei. Non era un suono ostile, era soltanto il modo in cui la sua voce tesa scaturiva dalla grande gola. – E com'è che chiamano te?
Buon Dio, una frase completa! Miles era sconcertato.
– Sono l'Ammiraglio Miles Naismith – rispose, sedendosi a gambe incrociate.
– Un soldato? – domandò lei, affascinata. – Un vero ufficiale? Tu? – concluse poi, con una sfumatura di dubbio nella voce, quasi lo stesse vedendo nei dettagli per la prima volta.
– Assolutamente autentico – confermò Miles, schiarendosi la voce, – anche se sto attraversando un momento piuttosto sfortunato.
– Anch'io – commentò la creatura, in tono brusco, tirando su con il naso. – Non so per quanto tempo sono rimasta in questa cantina, ma quella è stata la prima acqua che ho bevuto da quando vi sono giunta.
– Credo che siano passati tre giorni – replicò Miles. – E non ti hanno dato neppure del… ah… del cibo?
– No – confermò lei, accigliandosi… un effetto intensificato dalle zanne e davvero impressionante. – Questo è stato peggio di tutto quello che mi hanno fatto in laboratorio… e quelle mi erano già parse cose sgradevoli.
A ferirti non è ciò che non sai, ma ciò che sai essere diverso da come appare, sosteneva il vecchio detto. Miles guardò il cubo della mappa olografica e poi fissò Nove, immaginando di prendere fra pollice e indice quella missione dal piano strategico elaborato con tanta cura e di gettarla in un'unità per la distruzione dei rifiuti. Il pensiero delle condutture presenti nel soffitto continuava a tormentarlo, ma Nove non sarebbe mai potuta passare da una conduttura…
Mentre lui formulava quel pensiero Nove si allontanò dagli occhi i capelli arruffati e lo fissò con una rinnovata intensità che le accese gli occhi di una strana e chiara tonalità nocciola che contribuì ad accentuare il suo aspetto da lupo.
– Cosa stai esattamente facendo qui? – chiese. – Questo è un altro test?
– No, questa è la vita reale – rispose Miles, contraendo le labbra in un accenno di sorriso. – Io ho… commesso un errore.
– Suppongo di averlo fatto anch'io – commentò lei, abbassando il capo.
Tormentandosi un labbro, Miles la scrutò attraverso le palpebre socchiuse.
– Mi domando che razza di vita tu abbia condotto finora – osservò infine.
– Come tutti i cloni, fino all'età di nove anni ho vissuto presso gente pagata per allevarmi – spiegò lei, interpretando la sua domanda in senso letterale. – Poi ho cominciato a diventare troppo grossa e goffa e a rompere gli oggetti… così mi hanno portata a vivere nel laboratorio, ma la cosa non mi dispiaceva, perché stavo al caldo e avevo mangiare in abbondanza.
– Non ti possono aver semplificata troppo se avevano intenzione di fare di te un soldato – rifletté Miles. – Qual è il tuo quoziente intellettivo?
– Centotrentacinque.
– Capisco… – mormorò Miles, lottando per liberarsi dalla paralisi della sorpresa. – Hai mai ricevuto… qualsiasi forma di addestramento?
– Sono stata sottoposta ad una quantità di test – replicò lei, scrollando le spalle. – Sono andati tutti bene, tranne gli esperimenti di aggressività. Non mi piacciono le scosse elettriche. – Nove si interruppe con aria pensierosa e aggiunse: – E non mi piacciono gli psicologi sperimentali, perché mentono spesso. In ogni caso – concluse, accasciando le spalle, – ho fallito. Abbiamo fallito tutti.
– Come possono sapere che hai fallito se non hai mai ricevuto un addestramento adeguato? – ribatté Miles, in tono sprezzante. – Essere soldati significa adottare il più complesso comportamento acquisito di collaborazione interattiva che sia mai stato inventato… io sto studiando strategia e tattica da anni e tuttavia non so ancora neppure la metà di quello che c'è da imparare. È tutto qui – aggiunse, premendosi una mano contro la testa. Nove gli lanciò un'occhiata penetrante.
– Se è così – replicò, girando le grandi mani munite di artigli e fissandole, – perché mi hanno fatto questo?