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Miles esitò a rispondere, sentendosi la gola improvvisamente arida… dunque anche gli ammiragli potevano mentire, a volte perfino a loro stessi.

– Prima d'ora avevi mai pensato a spezzare quella conduttura per l'acqua? – chiese, dopo una pausa colma di disagio.

– Se si rompono le cose si viene puniti, o almeno questo è ciò che succedeva a me. Forse tu non sarai punito, perché sei umano.

– E non hai mai pensato di fuggire, di evadere? È dovere di un soldato, quando viene catturato dal nemico, di sopravvivere, di fuggire e di sabotare, in quest'ordine.

– Il nemico? – ripeté Nove, sollevando lo sguardo verso il peso della Casa Ryoval che incombeva su di loro. – E chi sono i miei amici?

– Ah, sì. Questo è… il punto. – A chi si sarebbe mai potuto rivolgere quel cocktail genetico munito di zanne e di artigli? Miles trasse un profondo respiro, consapevole di quale dovesse essere la sua prossima mossa: dovere, convenienza, sopravvivenza, tutto lo obbligava a farla. – I tuoi amici sono più vicini di quanto tu creda. Perché pensi che io sia venuto qui?

Già, perché?

Nove lo fissò in silenzio con aria perplessa e accigliata.

– Sono venuto per te, perché ho sentito parlare di te – proseguì Miles. – Sto cercando reclute, o almeno lo stavo facendo, ma qualcosa è andato storto e adesso sto fuggendo. Se venissi con me ti potresti però unire ai Mercenari Dendarii, una squadra di prim'ordine che è sempre alla ricerca di uomini… o quel che sono… in gamba. Ho questo sergente maggiore che… che ha bisogno di una recluta come te.

Questo era verissimo. Il Sergente Dyeb era famoso per il suo atteggiamento orribile nei confronti delle donne che facevano il soldato, in quanto era suo parere che fossero tutte troppo deboli, e per questo motivo ogni recluta femminile che sopravviveva al suo addestramento sviluppava in modo abnorme il suo senso dell'aggressività. Miles immaginò il sergente che pendeva a testa in giù sospeso per i piedi da un'altezza di un paio di metri, e controllò la propria immaginazione sfrenata per cercare di concentrarsi sull'attuale crisi. Nove intanto lo stava guardando, all'apparenza per nulla colpita.

– Molto divertente – commentò con freddezza, al punto che per un assurdo momento Miles si chiese se non fosse stata dotata anche del complesso genetico della telepatia… ma no, lei era stata creata antecedentemente alla sua scoperta. – Io però non sono neppure umana… o forse non lo hai notato?

– È umano chi agisce da umano – replicò Miles, scrollando le spalle con un gesto accuratamente controllato, poi si costrinse a protendere una mano fino a sfiorare la guancia umida di lei. – E gli animali non piangono, Nove.

– Gli animali non mentono – ribatté lei, ritraendosi come da una scossa elettrica. – Gli umani invece sì, di continuo.

– Non di continuo – la corresse Miles, sperando che la luce fosse troppo tenue per permettere a Nove di scorgere il suo rossore nonostante l'intensità con cui lo stava scrutando.

– Dimostramelo – lo sfidò lei, con gli occhi d'oro chiaro pervasi all'improvviso di una rovente luce di curiosità.

– Uh… certo. Come?

– Togliti i vestiti.

– … cosa?

– Togliti i vestiti e giaci con me come fanno gli umani, gli uomini e le donne – spiegò la creatura, protendendo una mano a sfiorargli la gola con una lieve pressione degli artigli che lasciarono sulla pelle leggere strisce di gonfiore, mentre Miles emetteva un verso soffocato e sgranava gli occhi: un'altra leggera pressione degli artigli e le strisce di rossore sarebbero diventate rossi zampilli di sangue. Stava per morire…

Poi le labbra di lei si ritrassero nell'emettere un vago gemito di disperazione.

– Sono brutta – affermò in tono lamentoso, passando gli artigli sulla propria guancia fino a lasciarvi altrettanti solchi arrossati. – Troppo brutta… un animale… tu non pensi che io sia umana.

Nel complesso la creatura sembrava caricarsi per arrivare a chissà quale decisione distruttiva.

– No, no, no! – farfugliò Miles, sollevandosi in ginocchio e trattenendole le mani in modo da allontanargliele dal volto. – Non si tratta di questo, è solo che… a proposito, quanti anni hai?

– Sedici.

Sedici anni! Oh, Dio… Miles ricordava ancora i suoi sedici anni, quando era stato ossessionato dal sesso e si era sentito morire dentro ad ogni minuto, perché quella era un'età orribile per trovarsi intrappolato in un corpo distorto, fragile e abnorme. Dio solo sapeva come fosse riuscito allora a sopravvivere all'odio che provava per se stesso… no, ricordava cosa era successo: lui era stato salvato da qualcuno che lo amava.

– Non sei un po' troppo giovane per questo genere di avventure? – tentò, speranzoso.

– Quanti anni avevi tu quando lo hai fatto?

– Quindici – confessò Miles, prima di pensare a mentire, – ma è stato… traumatico, e a lungo andare non ha funzionato affatto.

Nove tornò a sollevare gli artigli verso il proprio volto.

– Non lo fare! – gridò Miles, trattenendola a forza. Quell'atteggiamento gli ricordava in maniera un po' troppo vivida l'episodio del coltello che il Sergente Bothari gli aveva tolto di mano a viva forza… un'opzione a cui adesso non poteva però ricorrere a sua volta. – Ti vuoi calmare? – urlò ancora.

Nove esitò e lui ne approfittò per distrarla.

– C'è anche il fatto che un ufficiale e un gentiluomo non si getta sulla sua dama sul terreno spoglio. Prima ci si siede, ci si mette a proprio agio, si conversa e si beve un po' di vino, suonando della musica. Non ti sei ancora scaldata… avanti, siediti qui dove il calore è maggiore – consigliò, spingendola più vicina alla conduttura infranta e sollevandosi poi sulle ginocchia alle spalle di lei per tentare di massaggiarle il collo e le spalle: i muscoli erano tesi e sembravano rocce sotto i suoi pollici, denunciando la futilità di qualsiasi tentativo da parte sua di cercare di strangolarla.

Non riesco a crederci. Intrappolato nelle cantine di Ryoval insieme ad un lupo mannaro teenager assetato di sesso. Non c'era niente del genere sul manuale di addestramento dell'Accademia Imperiale… pensò, ricordando la propria missione di far arrivare vivi sull'Ariel i tessuti del polpaccio sinistro di lei. Dottor Canaba, se sopravviverò lei ed io dovremo fare una piccola chiacchierata riguardo a tutto questo…

– Pensi che sono troppo alta? – aggiunse intanto Nove, con voce soffocata dal suo dolore e dalla strana forma della bocca.

– Per nulla. – Adesso che aveva ritrovato il controllo Miles riusciva a mentire con maggiore scioltezza. – Adoro le donne alte, lo puoi chiedere a tutti quelli che mi conoscono… e poi molto tempo fa ho fatto la bella scoperta che la differenza d'altezza conta soltanto quando si sta in piedi, mentre costituisce un problema… ah… minore quando si è sdraiati.

Mentre parlava, Miles stava ripassando mentalmente tutto quello che aveva appreso sul conto delle donne andando per tentativi: era una situazione tormentosa… cosa volevano le donne?

Spostandosi in modo da esserle di fronte le prese una mano con atteggiamento serio e lei lo fissò con altrettanta serietà, aspettando… istruzioni. Soltanto a questo punto Miles si rese infine conto di avere di fronte la sua prima vergine, e per parecchi secondi riuscì soltanto a sorriderle, pieno com'era di sorpresa.

– Nove… tu non hai mai fatto nulla del genere prima d'ora, vero?

– Ho visto dei video – rispose lei, aggrondandosi. – Di solito cominciano con i baci, ma… ma forse tu non vuoi baciarmi – concluse, accennando alla propria bocca deforme.