– Credi di poterla aprire e issarmi lassù? – chiese a Taura.
Lei osservò la conduttura e annuì lentamente con espressione indecifrabile, poi si protese verso l'alto e si spostò fino a raggiungere una giuntura di metallo tenero, infilando sotto di essa le unghie dure come artigli e strappandola di netto. Per qualche istante esplorò quindi con le dita la fessura così prodotta, appendendosi ad essa come per sollevarsi verso il soffitto, e finalmente la conduttura si aprì sotto l'azione del suo peso.
– Ecco fatto – disse, sollevandolo con facilità come avrebbe fatto con un bambino.
Miles sgusciò nella conduttura, che era particolarmente stretta, anche se era la più ampia che era riuscito ad individuare nel soffitto dello scantinato, e strisciò in avanti sulla schiena, trovandosi costretto ad arrestarsi due volte per sopprimere crisi di riso sfumate di isterismo. La conduttura si piegava verso l'alto, e quando ebbe faticosamente descritto la curva con il proprio corpo scoprì che il percorso si diramava ad Y e che ciascuna diramazione aveva dimensioni che erano la metà di quelle del tratto iniziale. Imprecando, tornò indietro.
Taura lo stava osservando con il volto sollevato verso l'alto con un'angolazione insolita.
– Da quella parte non c'è niente da fare – annaspò Miles, invertendo faticosamente la propria direzione una volta tornato all'apertura e dirigendosi dalla parte opposta; anche quella branca descriveva una curva, ma pochi momenti più tardi incontrò una griglia: una griglia inflessibile, infrangibile e impossibile a tagliarsi a mani nude.
– D'accordo – borbottò, dopo essere rimasto a contemplarla per qualche istante, e tornò di nuovo indietro.
– Questo esclude definitivamente le condutture – riferì a Taura. – Uh… potresti aiutarmi a scendere? Dobbiamo dare ancora un'occhiata in giro.
Taura lo depose al suolo, e dopo che lui ebbe tentato invano di darsi una spolverata lo seguì abbastanza docilmente, anche se la sua espressione faceva supporre che stesse cominciando a perdere la propria fiducia nella sua potenza di ammiraglio; un particolare di una colonna attrasse l'attenzione di Miles, che si avvicinò per osservarla meglio nella tenue luce.
Si trattava di una delle colonne di sostegno antivibrazioni, che misurava due metri di diametro ed era incassata in un pozzo fluido inserito nel letto di roccia; senza dubbio, quella colonna saliva diritta fino ai laboratori per fornire una base ultrastabile a certi progetti per la generazione di cristalli e ad altre procedure. Miles picchiò a titolo di esperimento contro la sua superficie e il rumore che provocò rivelò che l'interno era cavo.
Aveva senso, perché il cemento non galleggiava molto bene. Un solco lungo la parete delineava… un portello di accesso? Miles fece correre le dita intorno ad esso, sondandolo e individuando qualcosa di nascosto; protendendo le braccia trovò un punto identico sul lato opposto e scoprì che i due punti cedevano lentamente sotto l'intensa pressione dei suoi pollici. All'improvviso si sentì uno schiocco seguito da un sibilo e l'intero pannello si staccò in maniera tanto brusca che Miles barcollò e riuscì a stento a impedirsi di lasciarlo cadere nel buco che si era creato. Dopo un momento si girò da un lato e appoggiò per terra il pannello.
– Bene, bene – commentò con un sorriso, poi infilò la testa nel vano che si era creato e guardò in alto e in basso, scorgendo soltanto il buio più assoluto.
Con cautela protese allora un braccio e tastò intorno all'apertura, incontrando una scaletta che saliva dall'umidità sottostante e che serviva per le pulizie e le riparazioni; a quanto pareva l'intera colonna poteva essere riempita di fluido secondo la quantità e la densità necessarie e una volta piena sarebbe stata autosigillata e impossibile ad aprirsi. Esaminò quindi attentamente il lato interno del bordo del portello, appurando che poteva essere aperto da entrambe le parti.
– Andiamo a vedere se più in alto c'è un'altra di queste aperture – decise.
Procedettero con lentezza, cercando a tentoni altri solchi a mano a mano che salivano nell'oscurità mentre Miles cercava di non pensare alla caduta a cui sarebbe andato incontro se gli fosse sfuggita la presa nell'oscurità e traeva al tempo stesso un certo conforto dal respiro profondo di Taura che risuonava sotto di lui. Avevano superato forse tre piani quando le dita gelate e intorpidite di Miles trovarono un'altra scanalatura; per poco essa non gli sfuggì, perché era sul lato opposto della scala rispetto alla prima, e anche quando l'ebbe individuata appurò ben presto che l'ampiezza delle sue braccia non era sufficiente a permettergli di tenersi agganciato intorno alla scala e di premere al tempo stesso i due pulsanti di apertura. Il primo tentativo gli fruttò uno spaventoso scivolone che lo indusse ad aggrapparsi spasmodicamente alla scala fino a quando il cuore non smise di battergli a precipizio.
– Taura? – chiamò con voce rauca. – Prova tu, non appena mi sarò spostato più in alto.
In effetti non rimaneva più molto spazio per salire, perché la colonna terminava circa un metro al di sopra della sua testa.
La notevole ampiezza di braccia di Taura risultò essere esattamente quello che ci voleva… un momento più tardi i pulsanti cedettero sotto la pressione delle sue grandi mani con uno stridio di protesta.
– Che cosa vedi? – sussurrò Miles.
– Una grande stanza buia. Forse è un laboratorio.
– Un'ipotesi sensata. Torna giù e rimetti a posto il pannello che abbiamo rimosso in basso, perché non ha senso rivelare a tutti dove siamo andati.
Mentre Taura eseguiva l'incarico assegnatole, Miles scivolò oltre il portello e nel laboratorio buio; non osava accendere una luce nonostante la stanza fosse priva di finestre, ma i quadranti di alcuni strumenti disposti sui tavoli e lungo le pareti emettevano un bagliore sufficiente perché i suoi occhi ormai abituati al buio gli evitassero almeno di inciampare in qualcosa. Una porta di vetro dava accesso ad un corridoio strettamente controllato da un sistema di monitoraggio elettronico. Premendo il naso contro il pannello di vetro Miles vide una sagoma vestita di rosso passare nel corridoio: c'erano delle guardie… ma cosa sorvegliavano?
In quel momento Taura emerse con difficoltà dal portello di accesso alla colonna e si sedette pesantemente sul pavimento, con la testa fra le mani; preoccupato, Miles le si avvicinò.
– Stai bene? – le chiese.
– No – rispose lei, scuotendo il capo. – Ho fame.
– Cosa? Di già? Quel ratto… er… quella barra nutritiva avrebbe dovuto essere sufficiente per ventiquattr'ore. – Per non parlare dei due o tre chili di carne che Taura si era mangiata come aperitivo.
– Per te, forse – ansimò lei, tremando.
Miles cominciò allora a capire perché Canaba avesse definito il proprio progetto un fallimento. Anche Napoleone sarebbe sbiancato al pensiero di nutrire un esercito di soldati dotati di un simile appetito, e forse quella ragazzina stava ancora crescendo… un pensiero sgomentante.
In fondo al laboratorio c'era un frigorifero, e se lui conosceva bene i tecnici di laboratorio… ah! Fra le provette spiccava un pacchetto contenente mezzo tramezzino e una pera decisamente grossa anche se ammaccata. Quando porse entrambe le cose a Taura lei si mostrò enormemente impressionata, come se le avesse materializzate per magia, e le divorò immediatamente, perdendo quasi subito il suo pallore.
Miles si mise quindi alla ricerca di altro cibo per la sua nuova recluta, ma purtroppo le altre sostanze organiche contenute nel frigorifero erano piccoli piatti di roba gelatinosa in cui crescevano muffe multicolori. A parte il frigorifero comune, però, c'erano anche tre grosse celle frigorifere disposte in fila lungo una parete: dopo aver sbirciato attraverso il pannello di vetro inserito nella porta di una di esse, Miles decise di correre il rischio e premette il pulsante che attivava la luce all'interno della cella. All'interno c'erano file e file di cassetti contrassegnati da etichette e pieni di vassoi di plastica trasparente: campioni congelati… chissà di cosa. Migliaia di campioni, anzi centinaia di migliaia, come Miles calcolò ad un'occhiata più attenta prima di rivolgersi al pannello di controllo luminoso adiacente la cella frigorifera… la temperatura all'interno era quella dell'azoto liquido. Tre celle frigorifere… milioni di… Di colpo si lasciò cadere a sua volta a sedere sul pavimento.