Munito della lampada portatile, effettuò un'ulteriore perquisizione del laboratorio controllando di nuovo il contenuto dei cassetti. Non trovò nessun modo di accedere ai computer, ma scoprì una grossa cesoia in un cassetto pieno di bulloni e di morse, e quell'attrezzo gli fece venire in mente la griglia della conduttura che in precedenza lo aveva sconfitto: a quanto pareva, il tragitto fino a quel laboratorio era stato soltanto un'illusione di progresso verso la fuga.
– Non c'è nulla di vergognoso in una ritirata strategica verso una posizione migliore – sussurrò a Taura quando lei si ribellò all'idea di entrare di nuovo nella buia colonna di sostegno. – Questa è una strada senza uscita… forse addirittura alla lettera.
Il dubbio che lesse nei suoi occhi dorati ebbe l'effetto di sconvolgerlo stranamente e gli fece sentire il cuore pesante. Ancora non ti fidi di me, vero? Bene, forse coloro che sono stati vittima di grandi tradimenti hanno bisogno di prove altrettanto grandi.
– Resta con me, ragazza – mormorò sottovoce, entrando nel condotto, – e arriveremo da qualche parte.
Taura si limitò a mascherare i propri dubbi abbassando le palpebre ma lo seguì senza più protestare, richiudendo il portello alle loro spalle.
Adesso che disponevano della lampada portatile la discesa risultò meno difficile e sgradevole di quanto lo fosse stata l'ascesa verso l'ignoto; non individuarono comunque altre aperture e ben presto si ritrovarono sul pavimento di pietra da cui erano partiti. Mentre Taura beveva di nuovo, Miles controllò il progresso dell'accumularsi dell'acqua che scaturiva dal tubo rotto: il getto scorreva in un flusso costante sul pavimento in pendenza, ma a causa delle vaste dimensioni della camera sarebbero trascorsi alcuni giorni prima che la polla che si andava lentamente accumulando contro la parete più bassa potesse acquisire qualche importanza strategica.
Ancora una volta Taura lo issò nella conduttura.
– Augurami buona fortuna – le disse, con voce soffocata dallo spazio angusto che lo circondava.
– Addio – rispose lei. Da dove si trovava Miles non poteva vedere l'espressione del suo volto, e di certo la sua voce era priva di qualsiasi intonazione.
– Arrivederci – la corresse con fermezza.
Qualche minuto di vigorose contorsioni fu sufficiente a riportarlo alla griglia, che si apriva su un ambiente pieno di oggetti che faceva parte dello scantinato e che appariva silenzioso e privo di occupanti. Il rumore delle cesoie che tagliavano il metallo della griglia gli parve tanto forte da attirare immediatamente tutto il contingente di sicurezza di Ryoval, ma non apparve nessuno… forse il capo della sicurezza stava dormendo per smaltire gli effetti della droga che gli era stata iniettata. Poi un rumore strisciante che non era stato prodotto da lui risuonò alle sue spalle e lo indusse ad immobilizzarsi e a puntare il raggio della lampada lungo una diramazione della conduttura: il raggio fece brillare due rosse gemme identiche… gli occhi di un grosso ratto. Per un momento Miles prese in considerazione l'idea di stordirlo e di portarlo a Taura ma poi la scartò: non appena fossero arrivati a bordo dell'Ariel le avrebbe fatto preparare un pasto a base di bistecche. Il ratto comunque provvide a mettersi in salvo allontanandosi di scatto.
Finalmente la griglia cedette e Miles sgusciò all'interno del magazzino, chiedendosi che ora fosse e decidendo che doveva essere tardi, molto tardi. La stanza si affacciava su un corridoio, ad una delle cui estremità uno dei portelli di accesso allo scantinato spiccava opaco sul pavimento. A quella vista il cuore di Miles fu pervaso dal primo serio barlume di speranza: una volta che avesse tirato fuori Taura avrebbero dovuto cercare di raggiungere un veicolo…
Come quella del primo portello, la serratura era manuale e di semplice funzionamento, senza sofisticati congegni elettronici da disattivare, ma scattava automaticamente nel richiudersi, quindi Miles ebbe cura di bloccarla prima di scendere la scaletta.
– Taura, dove sei? – sussurrò, puntando di qua e di là la luce della lampada.
Non ci fu una risposta immediata, né la luce fece brillare un paio di occhi dorati in mezzo a quella foresta di pilastri, ma Miles era riluttante a gridare, quindi scese lungo i gradini e si avviò di corsa attraverso lo scantinato, sentendo il freddo della pietra che gli penetrava attraverso i calzini e desiderando di poter riavere i suoi stivali.
Finalmente la trovò, seduta in silenzio alla base di un pilastro, con la testa girata da un lato e appoggiata alle ginocchia. Il suo volto aveva un'aria pensosa e triste… non ci voleva molto a imparare a decifrare le sfumature di espressione di quella creatura dai lineamenti di lupo.
– Tempo di mettersi in marcia, soldato – le disse.
– Sei tornato! – esclamò Taura, sollevando la testa di scatto.
– Cosa pensavi che avrei fatto? Certo che sono tornato. Sei la mia recluta, giusto?
Lei si sfregò la faccia con il dorso di una grossa zampa… mano, si corresse severamente Miles… e si alzò in piedi.
– Suppongo di sì – rispose, con un accenno di sorriso sulla bocca allungata. Se non se ne conosceva il significato, quella era un'espressione davvero allarmante.
– Ho aperto una botola, e adesso dobbiamo cercare di uscire da questo edificio e di tornare al cortile di servizio, dove ho visto parcheggiati parecchi veicoli quando sono entrato qui. Dopo tutto, cos'è un piccolo furto dopo…
Con un sibilo improvviso la porta esterna per l'accesso dei veicoli, che si trovava più in basso alla loro destra, cominciò a sollevarsi verso l'alto. Una folata di aria fredda e secca fendette l'oscurità insieme ad un sottile raggio di gialla luce dell'alba che tinse le ombre di azzurro e costrinse tanto Miles quanto Taura a ripararsi gli occhi dall'inatteso bagliore mentre dalla nebbia luminescente emergevano una mezza dozzina di sagome vestite di rosso con le armi spianate.
La mano di Taura si serrò intorno a quella di Miles, che accennò a gridarle di correre ma si trattenne appena in tempo: non era infatti possibile correre più in fretta del raggio di un distruttore neuronico, arma di cui almeno due di quelle guardie erano fornite. Troppo infuriato anche per imprecare, Miles si lasciò sfuggire fra i denti un respiro sibilante: erano stati così vicini a riuscire…
– Come, Naismith, sei ancora tutto intero? – commentò il capo della sicurezza, venendo avanti con un sorriso sgradevole sulle labbra. – Nove si deve infine essere resa conto che è arrivato il momento di cominciare a collaborare… vero, Nove?
Miles serrò con maggior forza la mano di Taura, nella speranza che lei interpretasse quel gesto come un ordine di aspettare.
– Suppongo di sì – ribatté la ragazza, in tono freddo, sollevando il mento.
– Era ora – approvò Moglia. – Comportati da brava ragazza e quando questa faccenda sarà finita ti riporteremo di sopra e ti daremo la colazione.
Brava, segnalò ancora Miles con la mano, consapevole che adesso Taura stava aspettando le sue imbeccate. Intanto Moglia lo pungolò con il manganello.
– È ora di andare, nano. I tuoi amici ti hanno riscattato, cosa che mi sorprende.
Sorpreso lui stesso, Miles si mosse verso l'uscita, continuando a tirare Taura con sé senza però guardarla e cercando di evitare il più possibile di attirare l'attenzione sulla loro… vicinanza, fintanto che essa permaneva. Non appena ebbero acquisito una sufficiente sincronizzazione le lasciò andare la mano.
Cosa diavolo…? pensò, quando sbucarono all'aperto sotto l'ancora incerta luce dell'alba e salirono una rampa per arrivare ad un cerchio di tarmac ancora lucente di condensa mattutina. Su quel cerchio era raccolto un gruppo davvero particolare.