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– È cominciato tutto in maniera così semplice – iniziò Miles, accigliandosi, – quasi come quel lavoro sul Gruppo Jackson… poi le cose sono andate storte, molto storte…

– Allora inizia dal principio.

– Il principio. D'accordo…

I confini dell'infinito

Com'è possibile che sia morto e sia finito all'inferno senza accorgermi della transizione?

L'opalescente cupola di forza sovrastava un paesaggio surreale e alieno, immobilizzato per un momento agli occhi di Miles dal proprio senso di disorientamento e di sgomento. La cupola descriveva un cerchio perfetto di mezzo chilometro di diametro e lui si trovava appena oltre il suo limitare, là dove la lucente superficie concava penetrava nel suolo di terra battuta e scompariva; con l'immaginazione lui ne seguì l'arco sepolto sotto i suoi piedi fino al punto in cui emergeva di nuovo a completare la sfera. Era come essere intrappolato dentro un guscio d'uovo impossibile a rompersi, il cui interno sembrava una scena di un antico limbo.

Uomini e donne dall'aria avvilita sedevano, stavano in piedi o per lo più giacevano sdraiati, da soli o in gruppetti sparsi in maniera irregolare attraverso l'intera ampiezza della cupola e Miles cercò invano di notare in loro qualche residuo di ordine o di raggruppamenti militari… gli abitanti della cupola sembravano spruzzati qua e là come un liquido sparso al suo interno.

Forse era morto poco prima, al suo ingresso nel campo di prigionia, forse i suoi catturatori lo avevano ucciso con l'inganno, come quegli antichi soldati della Terra che attiravano le loro vittime sotto docce avvelenate, distraendole e blandendo i loro sospetti consegnando a ciascuna un pezzo di sapone, fino a quando la comprensione ultima esplodeva in loro insieme ad una nube soffocante. Forse l'annientamento del suo corpo era stato rapido, al punto che i neuroni non avevano avuto il tempo di trasportare l'informazione fino al cervello… altrimenti, perché mai tanti antichi miti avrebbero concordato nell'affermare che l'inferno era un luogo circolare?

Dagoola IV, Campo di Prigionia di Massima Sicurezza N°3… era dunque questo? Questo piatto spoglio? Miles aveva supposto vagamente di trovare alloggiamenti, guardie che marciavano, un conteggio quotidiano dei prigionieri, gallerie scavate in segreto e comitati di fuga.

Adesso si rese conto che era la cupola a rendere tutto tanto semplice. Infatti che bisogno c'era di alloggiamenti per riparare i prigionieri dagli elementi? Ci pensava già la cupola. E a che sarebbero servite le guardie visto che la cupola era generata dall'esterno e che nulla che si trovasse all'interno poteva aprirvi un varco? Di conseguenza non servivano le guardie e il conteggio quotidiano dei prigionieri, le gallerie erano inutili e i comitati di fuga un'assurdità. Tutto a causa della cupola.

Le uniche strutture visibili erano una specie di grossi funghi di plastica grigia disposti lungo il perimetro della cupola a intervalli di circa cento metri uno dall'altro, intorno ai quali erano focalizzate le uniche tracce di attività. Dopo un momento Miles capì che si trattava di latrine.

Lui e altri tre prigionieri erano entrati nel campo attraverso un portale temporaneo che si era richiuso alle loro spalle prima che il momentaneo rigonfiamento della cupola di forze che conteneva l'accesso si aprisse davanti a loro. Il più vicino abitante della cupola, un uomo che giaceva a qualche metro di distanza su una stuoia per dormire identica a quella che Miles stringeva adesso fra le mani, sollevò il capo per fissare il gruppetto dei nuovi venuti, esibì un acido sorriso e si girò su un fianco in modo da dare loro le spalle. Nessun altro si prese la briga anche soltanto di alzare lo sguardo.

– Dannazione – borbottò uno dei compagni di Miles, stringendosi inconsciamente agli altri due.

Stando a quanto avevano affermato, quei tre avevano fatto parte un tempo della stessa unità, e Miles li aveva conosciuti appena pochi minuti prima, durante la fase finale della procedura d'immissione nel campo, nella quale erano stati consegnati a ciascuno di loro tutti i beni terreni che gli sarebbero serviti per vivere su Dagoola IV.

Tali beni erano costituiti da un solo paio di larghi calzoni grigi, una tunica grigia a maniche corte, una stuoia rettangolare arrotolata, una tazza di plastica… e basta. Soltanto questo e i numeri stampigliati sulla loro pelle. A Miles dava immensamente fastidio il fatto che i loro catturatori avessero scelto di apporre quei numeri nel centro della loro schiena, dove non li potevano vedere, e doveva lottare di continuo contro l'impulso di torcere il collo per cercare di vederli comunque, anche se spesso infilava la mano sotto la casacca per grattare un prurito che era esclusivamente psicosomatico in quanto non era possibile neppure avvertire la presenza dei numeri stampigliati.

D'un tratto nella scena apparve una traccia di movimento, costituita da quattro o cinque uomini che si stavano avvicinando: era forse finalmente arrivato il comitato di benvenuto? Miles aveva un disperato bisogno d'informazioni. Dove poteva trovare ciò che stava cercando, in mezzo a quegli innumerevoli uomini e donne vestiti di grigio? No, non innumerevoli, si corresse con fermezza: qui tutto era numerato.

Quelli erano i resti malconci del 3° e del 4° Battaglione di Rangers Corazzati, gli ingegnosi e tenaci difensori della Stazione di Trasferimento Garson; c'erano anche gli uomini del 2° Battaglione di Winoweh, che era stato catturato quasi intatto, e i superstiti del 14° Commandos, coloro che si erano salvati dopo la caduta della fortezza tecnologica di Nucleo Fallow… per l'esattezza diecimiladuecentoquattordici in tutto, i migliori combattenti del pianeta Marilac. Diecimiladuecentoquindici, adesso, contando anche lui stesso… ma doveva contarsi?

Il comitato di ricevimento si arrestò in una linea irregolare a qualche metro di distanza: i suoi componenti apparivano tutti alti, muscolosi, duri e non particolarmente amichevoli, con occhi spenti e incupiti, pieni di una noia letale che non era attenuata neppure dal loro attuale aspetto calcolatore.

I due gruppi, quello di tre uomini e quello di cinque, si valutarono a vicenda, poi i tre si girarono e cominciarono prudentemente ad allontanarsi. In ritardo Miles si rese conto che non appartenendo a nessuno dei due schieramenti si era venuto così a trovare isolato.

Isolato e fin troppo visibile. L'imbarazzante consapevolezza di sé e del proprio corpo, solitamente tenuta a freno dal semplice fatto che non aveva tempo da sprecare con essa tornò ad assalirlo all'improvviso. Era troppo basso, con un aspetto troppo strano… dopo l'ultima operazione le sue gambe avevano adesso la stessa lunghezza, ma di certo non erano abbastanza lunghe da permettergli di distanziare quei cinque. E poi, dove sarebbe potuto fuggire, in questo posto? Di conseguenza, cancellò la fuga dalle alternative possibili.

La fuga? Era meglio che cercasse di essere serio.

Non funzionerà, comprese tristemente, nel momento stesso in cui si avviava verso i cinque, ma d'altro canto questo era pur sempre più dignitoso che essere inseguito per poi arrivare allo stesso risultato.

Cercò di rendere il proprio sorriso austero anziché stupido ma non ebbe modo di stabilire se era riuscito nell'intento.

– Salve – esordì. – Sapreste dirmi dove posso trovare la Divisione del 14° Commandos del Colonnello Guy Tremont?

Uno dei cinque sbuffò in maniera sardonica e altri due si spostarono alle spalle di Miles.

Uno sbuffo era quasi un'espressione verbale, e comunque era pur sempre un'espressione… un punto di partenza, un appiglio. Di conseguenza Miles focalizzò la propria attenzione su quell'individuo in particolare.

– Dimmi il tuo nome, grado e compagnia di appartenenza, soldato.

– Non ci sono gradi qui, mutante, e neppure compagnie o soldati. Niente.