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Miles si lanciò un'occhiata intorno: naturalmente era stato circondato.

– Tu comunque hai degli amici – osservò.

– E tu no – ribatté il suo interlocutore, arrivando quasi a sorridere.

A questo punto Miles si chiese se forse non fosse stato prematuro scartare l'opzione della fuga.

– Non ci conterei se fossi in… uh!

Un calcio ai reni sferratogli alle spalle gli troncò a mezzo la frase… così bruscamente che per poco non si staccò la lingua con un morso… e lo scagliò a terra, facendogli sfuggire di mano la stuoia e la tazza.

Grazie a Dio questa volta si era trattato di un calcio assestato con un piede nudo e non con stivali da combattimento… e secondo le regole della fisica newtoniana adesso il piede del suo aggressore avrebbe dovuto dolere quanto la sua schiena. Ottimo. Splendido. Forse si sarebbero anche ammaccati le nocche nel prenderlo a pugni…

Uno dei membri del gruppo raccolse la sua tazza e la stuoia.

– Vuoi anche i suoi vestiti? – chiese ad un compagno. – Per me sono troppo piccoli.

– No.

– Sì – intervenne l'uomo che aveva parlato per primo. – Prendili lo stesso. Forse potremo usarli per adescare una delle donne.

Miles si sentì sfilare la tunica e i pantaloni, ma era troppo occupato a proteggersi la testa dai calci che piovevano di tanto in tanto… cercando di intercettarli obliquamente con il ventre o la cassa toracica e non con le braccia, le gambe o la mascella… per tentare di lottare per conservare i vestiti. Una costola incrinata era la lesione più grave che si poteva permettere in quel posto, all'inizio della missione, mentre la frattura della mascella sarebbe stata il danno peggiore.

I suoi assalitori desistettero soltanto quando erano ormai ad un passo dallo scoprire con la pratica quanto fossero fragili le sue ossa.

– È così che vanno le cose qui, mutante – dichiarò quello dei cinque che gli aveva parlato in precedenza, con il respiro un po' ansante.

– Sono nato nudo – ansimò Miles, steso nella polvere, – ma questo non mi ha fermato.

– Un dannato galletto sfrontato – commentò l'uomo.

– E lento ad imparare – aggiunse un altro dei cinque.

La seconda battuta fu peggiore della prima e gli fruttò almeno due costole incrinate… la mascella riuscì a stento a salvarsi da una frattura a prezzo di un imprecisato e doloroso danno al polso sinistro, sollevato di scatto a schermarla. Questa volta Miles soffocò l'impulso di salutare i suoi aggressori con un'ultima frecciata e rimase disteso in silenzio nella polvere, desiderando di perdere i sensi.

Restò raggomitolato in preda al dolore per un tempo molto lungo, anche se non avrebbe saputo dire per quanto. L'illuminazione della cupola di forza era uniforme, priva di ombre, immutevole e senza tempo come l'eternità… del resto l'inferno era eterno, giusto? E di certo questo posto aveva troppe dannate somiglianze con l'inferno.

Ed ecco che stava sopraggiungendo un altro demone… Miles sbatté le palpebre per mettere a fuoco la figura che si stava avvicinando, quella di un uomo nudo e ammaccato come lui, talmente emaciato che gli si potevano contare le costole, che s'inginocchiò nella polvere a qualche metro di distanza; il suo volto ossuto era invecchiato prematuramente dalla tensione e non permetteva di stabilire la sua età, che avrebbe potuto essere di quarant'anni come di venticinque.

Gli occhi erano prominenti in maniera innaturale a causa dell'eccessiva magrezza e il bianco sembrava brillare di un bagliore febbrile sullo sfondo della pelle scurita dalla sporcizia che vi si era accumulata. Sporcizia, non accenni di barba, perché ad ogni prigioniero presente nel campo, maschio o femmina che fosse, erano stati tagliati i capelli e le radici erano state trattate in modo da impedire la ricrescita, il che significava che tutti erano perpetuamente rasati e con i capelli in ordine. Anche Miles aveva subito lo stesso procedimento appena poche ore prima, ma chiunque si era occupato di quell'uomo doveva aver avuto premura perché il repressore di crescita aveva mancato un punto della guancia dove adesso una dozzina di peli crescevano come un ciuffo d'erba su un prato tagliato male, e anche se erano ricci era evidente che erano ormai lunghi parecchi centimetri, al punto che pendevano dalla mascella dello sconosciuto. Osservandoli, Miles pensò che se avesse saputo con quale velocità crescevano i peli della barba avrebbe anche potuto calcolare da quanto tempo quel tizio era stato rinchiuso lì.

Un tempo troppo lungo, quali che siano le cifre effettive, si disse con un silenzioso sospiro.

L'uomo teneva in mano la parte inferiore di una tazza di plastica rotta, che spinse con cautela verso di lui con il respiro che sibilava ansante attraverso i denti ingialliti, un affanno dovuto alla fatica fisica, all'eccitazione o forse ad una malattia… no, non ad una malattia, perché tutti qui erano stati ben immunizzati, al punto che la fuga era molto difficile anche attraverso la morte.

Miles rotolò su un fianco e si puntellò con fatica su un gomito, scrutando il suo visitatore attraverso la cortina sempre meno intensa del dolore causatogli dalle varie ammaccature.

L'uomo si ritrasse leggermente ed esibì un sorriso nervoso, accennando con la testa in direzione della tazza.

– Acqua. Farai meglio a bere, perché il fondo è crepato e se aspetti troppo l'acqua cola tutta fuori.

– Grazie – gracchiò Miles. Appena una settimana prima… o in una vita precedente, a seconda di come si contava il passare del tempo… lui aveva avuto la possibilità di scegliere fra una selezione di vini, scartando quelli che non lo soddisfacevano per le loro sfumature di sapore; quel ricordo gli strappò un sorriso che gli provocò una crepa in un labbro. Raccolta la tazza bevve quella che era comunissima acqua, tiepida e intrisa di un leggero sapore di cloro e di zolfo.

Un'ottima corposità, ma il bouquet lascia po' a desiderare…

L'uomo rimase accoccolato in un atteggiamento di studiata cortesia finché lui non ebbe finito di bere, poi si protese in avanti appoggiandosi sulle nocche delle mani con urgenza a stento trattenuta.

– Sei tu l'Uno? – chiese.

– Sono cosa? – fece Miles, sbattendo le palpebre.

– L'Uno. L'altro uno, dovrei dire, considerato che secondo le scritture ce ne dovrebbero essere due.

– Uh… – Miles esitò con cautela, poi domandò: – E cosa dicono esattamente le scritture?

L'uomo, che teneva la mano destra stretta intorno all'ossuto polso sinistro e allo straccio intrecciato in una sorta di corda che portava legato intorno ad esso, chiuse gli occhi e prese a recitare ad alta voce:

– … ma i pellegrini salirono quella collina con facilità, perché avevano questi due uomini a guidarli per la mano; si erano inoltre lasciati alle spalle i loro indumenti, perché anche se erano entrati nel fiume con essi ne uscivano poi senza di essi… – Arrivato a questo punto l'uomo riaprì gli occhi e fissò Miles con espressione speranzosa.

Comincio a capire perché questo tizio sembri essere del tutto isolato… rifletté questi, fra sé.

– Si dà il caso che tu sia l'altro Uno? – azzardò quindi. L'uomo annuì con timidezza.

– Capisco. Hmm…

Raccogliendo con la lingua le ultime gocce d'acqua che aveva sulle labbra Miles si chiese perché gli capitava sempre di attirare i casi da manicomio. Quel tizio poteva avere qualche rotella fuori posto ma costituiva comunque un miglioramento rispetto al gruppo precedente, sempre supponendo che nella sua testa non ci fossero due o tre personalità di tipo omicida nascoste da qualche parte. No, in quel caso l'uomo si sarebbe presentato come i Due Prescelti e non avrebbe cercato un aiuto esterno.

– Come ti chiami? – domandò infine.