– Suegar.
– Suegar… d'accordo. A proposito, io mi chiamo Miles.
– Uh – commentò Suegar, con una smorfia che indicava una sorta di compiaciuta ironia. – Sai che il tuo nome significa «soldato»?
– Sì, me lo hanno detto.
– Ma tu non sei un soldato…
Miles arrossì: qui non c'era nessun sottile e costoso trucco nel taglio degli abiti con cui potesse nascondere a se stesso, se non agli altri, le stranezze del suo corpo.
– Verso la fine hanno cominciato ad accettare di tutto e mi hanno preso come impiegato addetto al reclutamento… non ho avuto modo di sparare neppure un colpo. Senti, Suegar, come fai a sapere di essere l'Uno, o almeno uno dei due Uno? È una cosa che hai sempre saputo?
– Me ne sono reso conto a poco a poco – confessò Suegar, cambiando posizione e mettendosi a sedere a gambe incrociate. – Vedi, io qui sono il solo a possedere le parole – proseguì, accarezzando di nuovo lo straccio intrecciato. – Ho cercato in lungo e in largo per il campo, ma gli altri mi hanno soltanto deriso. È stato una specie di processo di eliminazione… si sono arresi tutti tranne me.
Miles si sollevò a sedere con un leggero sussulto di dolore, consapevole che quelle costole incrinate lo avrebbero fatto soffrire per alcuni giorni, e annuì in direzione del bracciale intrecciato.
– È lì che custodisci le tue scritture? Posso vederle? – domandò, chiedendosi come diavolo avesse fatto Suegar a procurarsi un modulo di plastica o una vera pagina di carta in un posto come quello.
Suegar però si strinse le braccia al petto in un gesto protettivo e scosse il capo.
– Stanno cercando di prendermele da mesi e devo stare attento finché non avrai dimostrato di essere l'Uno – replicò. – Sai, anche il diavolo può citare le scritture.
Già, ed è più o meno quello che io avevo in mente… pensò Miles. Chi poteva infatti sapere quali opportunità fossero racchiuse nelle «scritture» di Suegar? Bene, forse le avrebbe viste in seguito… per ora doveva limitarsi a continuare a stare al gioco.
– Ci sono altri segni? – domandò. – Vedi, io non so se sono l'altro Uno, ma al tempo stesso non sono neppure certo di non esserlo. Dopo tutto, sono appena arrivato.
Di nuovo Suegar scosse il capo.
– Sono soltanto cinque o sei frasi, e bisogna interpolare parecchio.
Ci scommetto, commentò fra sé Miles, astenendosi però dal dirlo ad alta voce.
– Come te le sei procurate? O le hai trovate qui?
– Le ho trovate a Porto Lisma, appena prima di essere catturato – spiegò Suegar. – Era in corso un combattimento di casa in casa e uno dei tacchi dei miei stivali si era allentato, ticchettando ad ogni passo. È strano come un rumore tanto insignificante possa dare sui nervi anche in mezzo al fragore che si stava abbattendo sui miei orecchi. In una casa c'era una libreria chiusa con ante di vetro e contenente veri libri antichi fatti di carta… ho fracassato il vetro con il calcio del mio fucile ed ho strappato una pagina da un volume, piegandola e infilandola nel tacco per bloccarlo e impedire che continuasse a ticchettare. Non ho neppure guardato il titolo del libro e ho scoperto soltanto più tardi che era un testo di scritture… o almeno credo che siano scritture. Dato che dal contenuto sembrano tali devono esserlo.
Suegar si tormentò i peli della barba con un gesto nervoso, arrotolandoli intorno ad un dito.
– Mentre stavamo aspettando di essere immessi nel campo ho sfilato quel pezzo di carta dal tacco, così, tanto per fare qualcosa, e lo avevo in mano quando mi hanno prelevato. La guardia che si è occupata di me lo ha visto ma non me lo ha preso, probabilmente perché ha pensato che fosse soltanto un innocuo pezzo di carta, quindi lo avevo ancora in mano allorché mi hanno scaricato qui. Sai che è il solo foglio scritto che ci sia in tutto il campo? – concluse, con una sfumatura di orgoglio. – Devono essere scritture.
– Ecco… allora abbine cura – consigliò gentilmente Miles. – Se le hai preservate tanto a lungo, è evidente che eri destinato a farlo.
– Già – convenne Suegar, sbattendo le palpebre… aveva forse le lacrime agli occhi? – Qui io sono il solo ad avere uno scopo, vero? Quindi devo essere l'Uno… uno dei due.
– Pare anche a me – assentì Miles, guardandosi intorno nella cupola uniforme. – Senti, come si fa ad orientarsi in questo posto? – chiese poi.
Il campo era decisamente privo di punti di riferimento e gli ricordava più di ogni altra cosa una colonia di pinguini. I pinguini erano però capaci di ritrovare la strada che portava al loro nido roccioso, il che significava che lui avrebbe dovuto cominciare a pensare come un pinguino… o trovare un pinguino che gli desse indicazioni. Questo pensiero lo indusse a studiare più attentamente il suo uccello guida, che aveva assunto un atteggiamento assente e stava disegnando qualcosa nella polvere… cerchi, naturalmente.
– Dov'è la sala mensa? – domandò, alzando il tono di voce. – E dove prendete l'acqua?
– I rubinetti dell'acqua sono sulle pareti esterne delle latrine – spiegò Suegar, – ma funzionano a intervalli, e non c'è una sala mensa… otteniamo soltanto sbarre nutritive. A volte.
– A volte? – ripeté Miles, con rabbia. Sul torace di Suegar era possibile contare il numero esatto delle costole. – Dannazione, i Cetagandani stanno proclamando in lungo e in largo che trattano i loro prigionieri di guerra secondo le regole stabilite dalla Commissione di Giustizia Interstellare… un certo numero di metri quadri per persona, 3000 calorie al giorno, almeno cinquanta grammi di proteine, due litri di acqua potabile… dovreste ricevere ogni giorno almeno due razioni standard ciascuno secondo le norme della Commissione, e invece vi stanno facendo patire la fame.
– Dopo un po' – sospirò Suegar, – ottenere o meno la tua razione smette di avere importanza.
L'animazione destata in lui dal suo interesse per Miles come per un oggetto nuovo e latore di speranza piovuto nel suo mondo stava cominciando ad abbandonarlo: il suo respiro si era fatto più lento, il suo atteggiamento più accasciato, al punto che sembrava prossimo a sdraiarsi in mezzo alla polvere. Nel guardarlo, Miles si chiese se la stuoia per dormire di Suegar avesse subito la stessa sorte della sua, e decise che questo doveva essere probabilmente accaduto molto tempo prima.
– Senti, Suegar… credo che da qualche parte in questo campo ci sia un mio parente, un cugino da parte di mia madre. Potresti aiutarmi a trovarlo?
– Avere qui un parente potrebbe essere un vantaggio per te – convenne Suegar. – Non è bene essere soli, in questo posto.
– Sì, l'ho già scoperto… ma come si fa a trovare qualcuno? Non mi sembrate molto organizzati.
– Oh… ci sono gruppi e gruppi, e dopo un po' ciascuno resta sempre nello stesso posto.
– Mio cugino era con il 14° Commandos. Dove sono?
– Non rimane granché di nessuno dei vecchi gruppi.
– Si tratta del Colonnello Tremont, Guy Tremont.
– Oh, un ufficiale – osservò Suegar, aggrottando la fronte in un'espressione preoccupata. – Questo rende le cose più difficili. Tu non eri un ufficiale, vero? Se lo eri è meglio che eviti di dirlo in giro…
– Ero un impiegato – ripeté Miles.
– … perché qui ci sono gruppi che non hanno simpatia per gli ufficiali. Un impiegato. Allora probabilmente non corri rischi.
– Tu eri un ufficiale, Suegar? – domandò Miles, incuriosito.
Suegar si accigliò e tormentò ancora i peli superstiti della sua barba.
– L'Esercito di Marilac è scomparso. Come ci possono essere ufficiali se non c'è più un esercito? – ribatté.
Per un momento Miles si chiese se non avrebbe fatto più progressi e più in fretta allontanandosi da Suegar e cercando di avviare una conversazione con il prossimo prigioniero in cui si fosse imbattuto. Gruppi e gruppi… e presumibilmente gruppi come quei cinque grossi e cupi compari… alla fine decise di restare con Suegar ancora per un po'. Se non altro, si sentiva meno nudo se non era il solo ad essere in quello stato.