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– Potresti accompagnarmi da qualcuno che faceva parte del 14°? – insistette. – Chiunque che possa conoscere Tremont di vista.

– Tu non lo conosci?

– Non ci siamo mai incontrati di persona. Ho visto la sua immagine in alcuni video, ma ho paura che il suo aspetto possa essere cambiato… adesso.

– Già, è probabile – assentì Suegar, toccandosi pensosamente la faccia.

Miles si issò faticosamente in piedi, notando che la temperatura della cupola era un po' troppo fresca per qualcuno privo di vestiti… una corrente d'aria appena percepibile gli faceva rizzare i peli delle braccia. Se avesse potuto riavere un solo capo di vestiario, cosa avrebbe scelto… i pantaloni per decenza oppure la camicia per coprire la schiena storta? Non c'era però tempo per indugiare in simili riflessioni, quindi le accantonò e tese una mano per aiutare Suegar ad alzarsi.

– Andiamo.

– Si riconosce sempre un nuovo venuto dal fatto che ha ancora fretta – commentò Suegar, fissandolo. – Qui si impara a rallentare, anche il cervello rallenta il suo funzionamento…

– Le tue scritture dicono qualcosa al riguardo? – ribatté Miles, con impazienza.

– … e di conseguenza essi salirono lassù con grande agilità e velocità, attraverso le fondamenta della città… – recitò Suegar, aggrottando la fronte e fissando Miles con espressione riflessiva.

Grazie tante, basta così, pensò questi, issando in piedi il suo compagno.

– Andiamo, allora – ripeté.

Non c'era né agilità né velocità, ma almeno stavano facendo qualche progresso. Con passo lento e strascicato Suegar lo guidò attraverso un quarto del campo, passando in mezzo ad alcuni gruppi e descrivendo ampi giri per evitarne altri; da lontano, Miles scorse i cupi compari che sedevano sulla loro collezione di stuoie e modificò la sua valutazione delle dimensioni della loro tribù elevandone il numero di membri da cinque a una quindicina. Dappertutto c'erano uomini che sedevano in gruppetti di due, tre o anche sei elementi, mentre altri sedevano soli e il più lontano possibile da chiunque… una distanza comunque molto ridotta.

Il gruppo più numeroso era costituito interamente da donne, e Miles lo studiò con interesse elettrizzato non appena notò le dimensioni del loro territorio, privo peraltro di qualsiasi delimitazione visibile. Le donne erano almeno qualche centinaio e nessuna di loro era priva di stuoia, anche se alcune ne usavano una in comune; il loro perimetro era pattugliato da squadre di sei elementi che lo descrivevano a passo lento e a quanto pareva il gruppo aveva requisito due latrine per il suo uso esclusivo.

– Parlami delle ragazze, Suegar – chiese al suo compagno, accennando in direzione di quel gruppo.

– Scordatele – ribatté questi, con un sorriso quasi sardonico. – Non socializzano.

– Cosa? Per nulla? Nessuna di loro? Voglio dire, siamo tutti qui, senza altro da fare che tenerci compagnia a vicenda, e ci sarebbe da pensare che almeno qualcuna di loro sia interessata a fraternizzare con l'altro sesso.

Mentre parlava, Miles arrivò però a dedurre da solo il perché di quell'isolamento autoimposto prima che Suegar gli rispondesse, e si chiese quanto le cose potessero diventare sgradevoli in quel posto.

Per tutta risposta Suegar accennò in direzione della volta della cupola.

– Sai che qui siamo tenuti tutti sotto controllo: se lo vogliono, possono vedere ogni nostro gesto, sentire ogni parola… cioè, ammesso che là fuori ci sia ancora qualcuno. Potrebbero essersene andati tutti e aver dimenticato di disattivare la cupola. A volte faccio sogni del genere, sogno di essere chiuso in questa cupola per sempre, poi mi sveglio e mi trovo qui… ci sono momenti in cui non so neppure con certezza se sono sveglio o sto dormendo. Le sole indicazioni che ci sia ancora qualcuno sono il cibo che continua ad arrivare e il fatto che di tanto in tanto… anche se ormai accade sempre più di rado… appare qualcuno nuovo, come te. Però suppongo che il cibo potrebbe essere immesso automaticamente, e che tu potresti essere un sogno…

– Sono ancora là fuori – garantì Miles, cupo.

– Sai – sospirò Suegar, – in un certo senso ne sono quasi lieto.

Tenuti sotto controllo, certo… Miles, che sapeva tutto su quel controllo mediante monitor, lottò per soffocare l'improvviso impulso di agitare una mano e di gridare «ciao, mamma!» Quello di gestire i monitor doveva essere un lavoro monotono per gli idioti addetti ad esso, e lui si augurò che finissero per morire di noia.

– Ma questo cosa c'entra con le ragazze, Suegar? – domandò.

– Ecco, all'inizio tutti erano decisamente inibiti da quello… – spiegò lui, indicando verso l'alto, – ma dopo un po' abbiamo scoperto che loro non interferivano, qualsiasi cosa facessimo. Non interferivano affatto. Ci sono stati alcuni stupri, e da allora le cose si sono… deteriorate…

– Allora devo supporre che l'idea di scatenare una rissa e di aprirsi un varco nella cupola quando i Cetagandani mandassero delle truppe a riportare l'ordine è da scartare in partenza, giusto?

– È una cosa che è stata provata una volta, molto tempo fa… non so quanto – spiegò Suegar, torcendosi ancora la barba. – I Cetagandani non sono obbligati a venire dentro per porre fine ad una rissa, si limitano a ridurre il diametro della cupola, e quella volta lo hanno ridotto a circa duecento metri. Se volessero, nulla potrebbe impedire loro di ridurlo ad un solo metro, con tutti noi ancora dentro. In ogni caso, questo ha posto fine alla rissa. Un'altra cosa che possono fare è ridurre a zero la permeabilità ai gas della cupola e lasciare che finiamo tutti in coma per mancanza di ossigeno. Questo è accaduto due volte.

– Capisco – commentò Miles, sentendo i peli che gli si rizzavano alla base del collo.

In quel momento a circa cento metri di distanza da loro la parete della cupola cominciò a gonfiarsi verso l'interno come un'aneurisma.

– Cosa sta succedendo laggiù? – s'informò Miles, battendo un colpetto sul braccio di Suegar. – Vengono introdotti altri nuovi prigionieri?

– Uh oh – borbottò Suegar, guardandosi intorno. – Qui non siamo in una buona posizione.

E per un momento restò fermo, come incerto se andare avanti o tornare indietro.

Intanto un'onda di movimento si stava diffondendo per il campo, allargandosi a partire dal rigonfiamento a mano a mano che tutti si alzavano in piedi e si giravano verso quel lato della cupola come attratti da una forza magnetica. Piccoli capannelli di uomini si raccolsero qua e là e alcuni velocisti spiccarono la corsa, mentre altri non si alzarono affatto. Lanciando un'occhiata in direzione del gruppo delle donne, Miles vide che una metà di loro stava formando in fretta una sorta di falange.

– Siamo così vicini… dannazione, forse abbiamo una possibilità – disse infine Suegar. – Vieni!

E si avviò verso il rigonfiamento della cupola al passo più rapido di cui era capace, un lento trotto, cosa che costrinse Miles a spiccare a sua volta la corsa, cercando di far sobbalzare le costole il meno possibile; ben presto cominciò però ad avere il respiro affannoso e l'accelerarsi della respirazione aggiunse un dolore intollerabile a quello che già gli attanagliava il torso.

– Cosa stiamo facendo? – cercò di dire a Suegar, ma prima che avesse finito il rigonfiamento si dissolse in un leggero tremolio e lui vide finalmente cosa stavano facendo… vide tutto.

Adesso davanti alla lucente barriera della cupola di forza c'era una pila marrone scuro alta circa un metro, profonda due e larga tre, formata senza ombra di dubbio da barre nutritive, le cosiddette barre RAT indicate convenzionalmente con le iniziali di quelli che avrebbero dovuto essere i loro principali ingredienti. Ciascuna ammontava a millecinquecento calorie e conteneva venticinque grammi di proteine e il cinquanta per cento del fabbisogno umano di vitamine A, B, C e così via… e pur avendo il sapore di un ciottolo ricoperto di zucchero poteva mantenere in vita e in salute una persona a tempo indefinito, a patto che si riuscisse a tollerare di continuare a nutrirsene.