– Ieri – rispose Tung, affrettandosi a calare una mano sul braccio di Miles per bloccare un suo istintivo balzo in avanti. – Non puoi fare niente di meglio delle mie tre pattuglie, e non ne ho altre da impiegare per cercare te.
– Già, certo. – Miles picchiò il pugno destro sul palmo della sinistra in un gesto di frustrazione prima di ricordare che non era una buona idea. I suoi due agenti, il suo legame vitale fra la cupola e i Dendarii erano dispersi… e i Cetagandani avevano l'abitudine di fucilare le spie con deprimente costanza, in genere dopo un interrogatorio tale da rendere la morte una prospettiva piacevole… Cercò di trovare rassicurazione nella logica: se le due donne fossero state scoperte come tecnici di monitoraggio fasulli e fossero state interrogate, Tung sarebbe andato incontro ad un massacro quando avesse attaccato, e dal momento che non era successo era evidente che loro non erano state prese. Questo, naturalmente, non escludeva l'eventualità che fossero state uccise poco prima dal fuoco dei loro stessi amici. Amici… lui ne aveva troppi per rimanere sano di mente in quel suo folle mestiere.
– Tu! – Miles si rivolse al soldato che stava ancora aspettando con i suoi abiti, togliendoglieli di mano. – Va' laggiù e trova una ragazza dai capelli rossi che si chiama Beatrice e un uomo ferito di nome Suegar. Portali da me e trasporta il ferito con cautela, perché ha lesioni interne.
Il soldato salutò e si affrettò ad allontanarsi. Era un vero piacere poter dare di nuovo ordini senza doverli accompagnare con una giustificazione teologica… Miles si lasciò sfuggire un sospiro, sentendo lo sfinimento che attendeva di fagocitarlo e che si annidava al limitare della sua bolla di iperconsapevolezza alimentata dall'adrenalina; tutti i fattori… i tempi delle navette, l'avvicinarsi del nemico, la distanza fino al punto di balzo che avrebbe permesso la fuga… si formavano e riformavano nella sua mente in tutte le loro possibili combinazioni e le piccole variazioni nei tempi si trasformavano di volta in volta in guai enormi, ma del resto aveva saputo che sarebbe stato così quando aveva dato inizio al tutto. Fino a questo momento avevano già avuto un miracolo… no, non un miracolo, si corresse nel lanciare un'occhiata in direzione di Tung e di Thorne, ma qualcosa dovuto alla straordinaria intuitività e devozione dei suoi uomini. Ben fatto, oh, davvero ben fatto…
Thorne gli venne in aiuto notando la sua difficoltà a vestirsi con una mano sola.
– Dove diavolo è la mia cuffia di comando? – gli domandò Miles.
– Ci era stato detto che eri ferito e in uno stato di sfinimento, quindi eri stato catalogato fra coloro da evacuare subito.
– Dannatamente presuntuoso da parte di qualcuno… – cominciò Miles, ma poi si costrinse a tenere a freno la propria ira, perché sapeva che in quel programma così serrato non c'era tempo per piccole commissioni come quella di procurargli una cuffia. Inoltre, sapeva che se ne avesse avuta una sarebbe stato tentato di impartire degli ordini mentre non era ancora abbastanza informato sulle complessità interne dell'operazione dal punto di vista della flotta dendarii per poterlo fare. Accettò quindi senza ulteriori commenti la sua condizione di osservatore anche perché lo lasciava libero di fungere da retroguardia.
Il soldato da lui mandato a cercarla tornò con Beatrice e con quattro prigionieri reclutati per trasportare Suegar, che venne adagiato insieme alla sua stuoia ai piedi di Miles.
– Chiama il mio medico – ordinò questi e il soldato si allontanò di corsa per andarlo a cercare.
Di lì a poco il dottore era inginocchiato accanto al semisvenuto Suegar e gli stava estirpando i numeri stampati sulla schiena; un momento più tardi il sibilo di un'ipospray di synergina ebbe l'effetto di allentare la tensione che attanagliava lo stomaco di Miles.
– Quanto è grave? – chiese.
– Non è in buone condizioni – ammise il dottore, controllando il visore diagnostico. – Ha il fegato leso e un accenno di emorragia nello stomaco… sarà meglio mandarlo sull'ammiraglia per essere operato. Tecnico medico…
Il dottore si girò verso un Dendarii che insieme alle guardie stava aspettando il ritorno della sua navetta e gli impartì una serie di istruzioni in seguito alle quali il tecnico si affrettò ad avvolgere Suegar in una sottile pellicola termica.
– Provvederò io perché ci arrivi – garantì Miles con un brivido, e invidiò un poco la pellicola termica nel sentire la nebbia acida che gli gocciolava fra i capelli e gli penetrava nelle ossa.
In quel momento l'attenzione di Tung fu bruscamente assorbita da un messaggio proveniente dalla cuffia di comunicazione e Miles, che aveva restituito a Murka quella che gli aveva sottratto perché lui potesse portare avanti i suoi compiti, non poté fare altro che fissarlo dondolandosi da un piede all'altro nell'agonia dell'attesa.
Elena, Elli, se ho causato la vostra morte…
– Bene – disse infine Tung, nel suo microfono. – Ben fatto. Presentatevi a rapporto nel punto di prelevamento A7. – Cambiò quindi canale con un movimento del mento e aggiunse: – Sim, Nout, tornate con le vostre pattuglie alla posizione perimetrale assegnata alle vostre navette. Le hanno trovate.
Miles si ritrovò piegato in avanti, con la mano sana puntellata contro le ginocchia gelide in attesa che la mente gli si schiarisse e che il cuore smettesse di sussultare con violenza.
– Elli ed Elena? Stanno bene?
– Non hanno chiesto un medico… sei certo di non averne bisogno tu? Sei verde.
– Sto bene – garantì Miles, raddrizzandosi ora che il cuore gli si era calmato, e incontrando così lo sguardo interrogativo di Beatrice. – Beatrice, per favore, vorresti andare a cercare Tris e Oliver per me? Ho bisogno di parlare con loro prima che la prossima navetta di prelevamento decolli.
La ragazza scosse il capo con aria impotente e si girò di scatto, senza salutare ma senza neppure discutere i suoi ordini, cosa che assurdamente rallegrò Miles.
Intanto il frastuono imperversante intorno al perimetro della cupola si era ridotto all'occasionale sibilo di qualche arma di piccolo calibro, misto ad urla umane e a comandi amplificati; in lontananza si vedevano fuochi che ardevano e tingevano di bagliori fra il rosso e l'arancione il velo di nebbia soffocante. Quella non era certo stata un'operazione di una precisione chirurgica, e i Cetagandani si sarebbero infuriati notevolmente quando avrebbero contato le perdite, quindi il momento di andarsene era arrivato da un pezzo; nel seguire quelle riflessioni, Miles cercò di tenere a mente la questione del veleno nei numeri di serie come antidoto contro l'immagine di impiegati e tecnici cetagandani schiacciati sotto le macerie degli edifici in fiamme, ma quei due incubi parvero amplificarsi a vicenda anziché annullarsi reciprocamente.
Finalmente arrivarono Tris e Oliver, che avevano entrambi un aspetto un po' sconcertato, e Beatrice si fermò insieme a loro, alla destra di Tris.
– Congratulazioni – esordì Miles, prima che uno qualsiasi dei tre avesse il tempo di aprire bocca, perché aveva molte cose da dire e pochissimo tempo per farlo. – Siete riusciti ad ottenere un esercito.
Nel parlare, abbracciò con un cenno della mano le file ordinate di prigionieri… ex-prigionieri… raccolte nei diversi gruppi d'imbarco nei punti prestabiliti: tutti aspettavano con calma, i più seduti per terra… era disciplina, oppure erano stati i Cetagandani a instillare in loro una simile pazienza? Comunque non importava.
– Temporaneamente – replicò Tris. – Credo che questo sia soltanto un momento di pausa. Se però le cose dovessero scaldarsi, se una o più navette dovessero andare perdute o se qualcuno cedesse al panico, diffondendolo…
– Puoi dire a chiunque si senta propenso a cedere al panico che potrà imbarcarsi con me, se questo lo farà sentire meglio. Ah… è però opportuno che lo avverta anche del fatto che io salirò con l'ultimo carico – puntualizzò Miles.