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Arrampicarsi di nuovo sulla scala non sarebbe servito a nulla perché la creatura avrebbe potuto afferrarlo e fargli fare la fine di quel ratto. E se si fosse alzato levitando lungo un pilastro? Oh, perché non aveva le dita delle mani e dei piedi a ventosa, qualcosa a cui il comitato bioingegneristico chissà come non aveva ancora pensato? E se invece si fosse immobilizzato, fingendosi invisibile? Alla fine Miles scelse quell'ultima soluzione per il semplice motivo che era paralizzato dal terrore.

I grossi piedi, che poggiavano nudi sulla fredda roccia, sfoggiavano anch'essi unghie simili ad artigli, ma a parte i piedi la creatura era vestita di indumenti fatti con la stoffa sterile di colore verde che si usava in laboratorio… una casacca simile ad un chimono trattenuta da una cintura e un paio di larghi calzoni. E poi c'era anche un'altra cosa.

Non lo avevano avvertito che si trattava di una femmina.

La creatura aveva quasi finito di divorare il topo quando sollevò lo sguardo e si accorse della sua presenza: con le mani e la faccia sporche di sangue si fece subito immobile quanto lui.

Con un movimento reso contratto dalla tensione Miles tirò fuori di tasca la barra nutrizionale un po' schiacciata che aveva nei calzoni e l'offrì con la mano protesa.

– Vuoi il dolce? – chiese, con un sorriso isterico.

La creatura abbandonò la carcassa del topo e gli tolse di mano la barra, strappandone la copertura e divorandola in quattro morsi; quando ebbe finito venne avanti e afferrò Miles per un braccio e per il davanti della maglietta nera, sollevandolo all'altezza della propria faccia: i piedi gli dondolavano nel vuoto e le dita munite di artigli gli premevano contro la pelle, l'alito della creatura era esattamente come lo aveva immaginato e gli occhi erano roventi.

– Acqua! – gracchiò la creatura.

Non mi avevano detto neppure che era capace di parlare, pensò Miles.

– Uh… acqua – ripeté, con voce stridula. – Certamente. Ci dovrebbe essere dell'acqua da queste parti… guarda tutti quei tubi che corrono lungo il soffitto. Se mi metti giù… brava ragazza… cercherò di trovare una conduttura dell'acqua o qualcosa del genere.

Lentamente la creatura lo abbassò fino a fargli toccare di nuovo terra con i piedi e lo lasciò andare. Miles indietreggiò piano, tenendo le mani aperte e abbandonate lungo i fianchi e schiarendosi la gola per cercare di trovare un tono di voce sommesso e suadente.

– Proviamo laggiù, dove il soffitto si abbassa, o meglio dove il fondo roccioso si alza… là vicino a quel pannello luminoso, quel sottile tubo di plastica composita… il bianco è di solito il colore usato per l'acqua. Non c'interessano i tubi grigi che indicano le fognature o quelli rossi, che corrispondono ai cavi di fibre ottiche… – Era impossibile stabilire se le sue parole venivano comprese, ma con gli animali il tono aveva un'importanza fondamentale. – Se tu… potessi sollevarmi sulle spalle come il Guardiamarina Murka, potrei tentare di allentare quella giuntura laggiù… – proseguì, mimando con i gesti nel dubbio di non essere riuscito a raggiungere l'eventuale intelligenza che si poteva celare dietro quei terribili occhi.

Le mani insanguinate, grandi almeno il doppio delle sue, lo afferrarono improvvisamente per i fianchi e lo sollevarono verso l'alto. Aggrappatosi al tubo bianco, Miles si spostò in direzione di una giuntura avvitata, sentendo sotto i piedi le spalle robuste della creatura che si spostavano con lui… i muscoli di quelle spalle stavano tremando, non era possibile che il tremito fosse soltanto una sua impressione; la giuntura risultò difficile da allentare al punto che gli sarebbero serviti degli attrezzi, ma non disponendone fece appello a tutte le sue forze, con il rischio di spezzare le fragili ossa delle dita. All'improvviso la giuntura cedette con uno stridio, la guarnizione di plastica scivolò un poco e qualche goccia cominciò a filtrargli fra le dita… un'ultima torsione fu sufficiente a separare del tutto le due metà e l'acqua scaturì in un vivido zampillo arcuato che andò a cadere sulla roccia sottostante.

Quella vista rese la creatura così frenetica che per poco non fece cadere Miles nel deporlo a terra, tanta era la sua premura di mettere la bocca spalancata sotto quel getto, lasciando che l'acqua vi cadesse dentro e le si riversasse sul volto, tossendo e trangugiando quel liquido prezioso con maggiore avidità di quanta ne avesse dimostrata nel divorare il topo. Bevve per un tempo apparentemente interminabile, poi lasciò che l'acqua le scorresse sulle mani, sulla faccia e sulla testa in modo da lavare via il sangue e bevve ancora. Miles cominciava ormai a pensare che non avrebbe più smesso quando infine essa si ritrasse dallo zampillo e spinse lontano dagli occhi i capelli umidi, abbassando lo sguardo su di lui e fissandolo per quello che gli parve un intero minuto.

– Freddo – ruggì poi. Miles sussultò.

– Ah… freddo… hai ragione, ne ho anch'io, ed ho anche i calzini bagnati. Caldo, vuoi del caldo. Dunque, vediamo, potremmo tentare di nuovo da questa parte, dove il soffitto si abbassa… no, non serve, perché il calore si raccoglierebbe tutto in alto…

La creatura lo stava seguendo con la stessa intensità di un gatto che stesse pedinando un… ecco… un topo, mentre lui sì aggirava fra i pilastri fino ad arrivare ad un punto dove il soffitto era tanto basso che si poteva passare soltanto strisciando, in quanto lo spazio disponibile era poco più di un metro. Sì, quella era la conduttura più bassa che avrebbe potuto trovare.

– Se riusciremo ad aprire questo – spiegò, indicando un tubo di plastica il cui diametro era quasi uguale alla circonferenza della sua vita, – otterremo un getto di aria calda, che viene pompata all'interno sotto pressione… ma questa volta non ci sono comode giunture a disposizione – concluse, fissando l'oggetto in questione e cercando di riflettere. Quella plastica composita era estremamente forte.

La creatura gli si accoccolò accanto e provò a tirare, poi si distese sulla schiena e scalciò contro il tubo, girandosi infine verso di lui con aria avvilita.

– Tentiamo così – suggerì allora Miles. Con un certo nervosismo, prese la mano della creatura e la guidò fino al tubo, utilizzando i robusti artigli per tracciare lunghi solchi intorno alla sua circonferenza.

La creatura grattò e grattò, infine si girò verso di lui e lo fissò come per dirgli che la cosa non stava funzionando.

– Adesso prova di nuovo a scalciare e a tirare – consigliò Miles.

La creatura doveva pesare qualcosa come centocinquanta o duecento chili e concentrò tutto quel notevole peso nel suo sforzo successivo: dapprima scalciò, poi passò le braccia intorno al tubo e puntellò i piedi contro il soffitto, inarcandosi e premendo con tutte le sue forze. Finalmente il tubo si spezzò là dove erano stati tracciati i graffi e lei cadde a terra insieme ad esso mentre l'aria calda cominciava a fuoriuscire con un sibilo. La creatura protese entrambe le mani verso il calore, espose ad esso la faccia e giunse quasi ad avvolgersi intorno al tubo, limitandosi poi ad inginocchiarsi in modo da lasciare che l'aria calda le soffiasse sul corpo. Accanto a lei Miles si accoccolò al suolo e si tolse i calzini bagnati, gettandoli sul tubo caldo perché si asciugassero e pensando che quello sarebbe stato il momento buono per fuggire, se soltanto ci fosse stato un luogo dove fuggire e se non fosse stato riluttante a perdere di vista la sua preda… preda? Stava considerando l'incalcolabile valore del polpaccio sinistro di quella creatura quando essa nascose improvvisamente il volto contro le ginocchia.

Non mi avevano avvertito che poteva piangere, pensò, tirando fuori il fazzoletto regolamentare, un arcaico pezzo di stoffa… non aveva mai capito il perché di quello stupido fazzoletto, a meno che non fosse da cercare nel fatto che dove andavano i soldati presto c'era chi piangeva… e glielo porse.

– Prendi, asciugati gli occhi con questo.