Lei lo accettò, si soffiò il grosso naso piatto e accennò a restituirlo.
– Tienilo – la fermò Miles. – Uh… mi chiedo con quale nome siano soliti chiamarti.
– Nove – ringhiò lei. Non era un suono ostile, era soltanto il modo in cui la sua voce tesa scaturiva dalla grande gola. – E com'è che chiamano te?
Buon Dio, una frase completa! Miles era sconcertato.
– Sono l'Ammiraglio Miles Naismith – rispose, sedendosi a gambe incrociate.
– Un soldato? – domandò lei, affascinata. – Un vero ufficiale? Tu? – concluse poi, con una sfumatura di dubbio nella voce, quasi lo stesse vedendo nei dettagli per la prima volta.
– Assolutamente autentico – confermò Miles, schiarendosi la voce, – anche se sto attraversando un momento piuttosto sfortunato.
– Anch'io – commentò la creatura, in tono brusco, tirando su con il naso. – Non so per quanto tempo sono rimasta in questa cantina, ma quella è stata la prima acqua che ho bevuto da quando vi sono giunta.
– Credo che siano passati tre giorni – replicò Miles. – E non ti hanno dato neppure del… ah… del cibo?
– No – confermò lei, accigliandosi… un effetto intensificato dalle zanne e davvero impressionante. – Questo è stato peggio di tutto quello che mi hanno fatto in laboratorio… e quelle mi erano già parse cose sgradevoli.
A ferirti non è ciò che non sai, ma ciò che sai essere diverso da come appare, sosteneva il vecchio detto. Miles guardò il cubo della mappa olografica e poi fissò Nove, immaginando di prendere fra pollice e indice quella missione dal piano strategico elaborato con tanta cura e di gettarla in un'unità per la distruzione dei rifiuti. Il pensiero delle condutture presenti nel soffitto continuava a tormentarlo, ma Nove non sarebbe mai potuta passare da una conduttura…
Mentre lui formulava quel pensiero Nove si allontanò dagli occhi i capelli arruffati e lo fissò con una rinnovata intensità che le accese gli occhi di una strana e chiara tonalità nocciola che contribuì ad accentuare il suo aspetto da lupo.
– Cosa stai esattamente facendo qui? – chiese. – Questo è un altro test?
– No, questa è la vita reale – rispose Miles, contraendo le labbra in un accenno di sorriso. – Io ho… commesso un errore.
– Suppongo di averlo fatto anch'io – commentò lei, abbassando il capo.
Tormentandosi un labbro, Miles la scrutò attraverso le palpebre socchiuse.
– Mi domando che razza di vita tu abbia condotto finora – osservò infine.
– Come tutti i cloni, fino all'età di nove anni ho vissuto presso gente pagata per allevarmi – spiegò lei, interpretando la sua domanda in senso letterale. – Poi ho cominciato a diventare troppo grossa e goffa e a rompere gli oggetti… così mi hanno portata a vivere nel laboratorio, ma la cosa non mi dispiaceva, perché stavo al caldo e avevo mangiare in abbondanza.
– Non ti possono aver semplificata troppo se avevano intenzione di fare di te un soldato – rifletté Miles. – Qual è il tuo quoziente intellettivo?
– Centotrentacinque.
– Capisco… – mormorò Miles, lottando per liberarsi dalla paralisi della sorpresa. – Hai mai ricevuto… qualsiasi forma di addestramento?
– Sono stata sottoposta ad una quantità di test – replicò lei, scrollando le spalle. – Sono andati tutti bene, tranne gli esperimenti di aggressività. Non mi piacciono le scosse elettriche. – Nove si interruppe con aria pensierosa e aggiunse: – E non mi piacciono gli psicologi sperimentali, perché mentono spesso. In ogni caso – concluse, accasciando le spalle, – ho fallito. Abbiamo fallito tutti.
– Come possono sapere che hai fallito se non hai mai ricevuto un addestramento adeguato? – ribatté Miles, in tono sprezzante. – Essere soldati significa adottare il più complesso comportamento acquisito di collaborazione interattiva che sia mai stato inventato… io sto studiando strategia e tattica da anni e tuttavia non so ancora neppure la metà di quello che c'è da imparare. È tutto qui – aggiunse, premendosi una mano contro la testa. Nove gli lanciò un'occhiata penetrante.
– Se è così – replicò, girando le grandi mani munite di artigli e fissandole, – perché mi hanno fatto questo?
Miles esitò a rispondere, sentendosi la gola improvvisamente arida… dunque anche gli ammiragli potevano mentire, a volte perfino a loro stessi.
– Prima d'ora avevi mai pensato a spezzare quella conduttura per l'acqua? – chiese, dopo una pausa colma di disagio.
– Se si rompono le cose si viene puniti, o almeno questo è ciò che succedeva a me. Forse tu non sarai punito, perché sei umano.
– E non hai mai pensato di fuggire, di evadere? È dovere di un soldato, quando viene catturato dal nemico, di sopravvivere, di fuggire e di sabotare, in quest'ordine.
– Il nemico? – ripeté Nove, sollevando lo sguardo verso il peso della Casa Ryoval che incombeva su di loro. – E chi sono i miei amici?
– Ah, sì. Questo è… il punto. – A chi si sarebbe mai potuto rivolgere quel cocktail genetico munito di zanne e di artigli? Miles trasse un profondo respiro, consapevole di quale dovesse essere la sua prossima mossa: dovere, convenienza, sopravvivenza, tutto lo obbligava a farla. – I tuoi amici sono più vicini di quanto tu creda. Perché pensi che io sia venuto qui?
Già, perché?
Nove lo fissò in silenzio con aria perplessa e accigliata.
– Sono venuto per te, perché ho sentito parlare di te – proseguì Miles. – Sto cercando reclute, o almeno lo stavo facendo, ma qualcosa è andato storto e adesso sto fuggendo. Se venissi con me ti potresti però unire ai Mercenari Dendarii, una squadra di prim'ordine che è sempre alla ricerca di uomini… o quel che sono… in gamba. Ho questo sergente maggiore che… che ha bisogno di una recluta come te.
Questo era verissimo. Il Sergente Dyeb era famoso per il suo atteggiamento orribile nei confronti delle donne che facevano il soldato, in quanto era suo parere che fossero tutte troppo deboli, e per questo motivo ogni recluta femminile che sopravviveva al suo addestramento sviluppava in modo abnorme il suo senso dell'aggressività. Miles immaginò il sergente che pendeva a testa in giù sospeso per i piedi da un'altezza di un paio di metri, e controllò la propria immaginazione sfrenata per cercare di concentrarsi sull'attuale crisi. Nove intanto lo stava guardando, all'apparenza per nulla colpita.
– Molto divertente – commentò con freddezza, al punto che per un assurdo momento Miles si chiese se non fosse stata dotata anche del complesso genetico della telepatia… ma no, lei era stata creata antecedentemente alla sua scoperta. – Io però non sono neppure umana… o forse non lo hai notato?
– È umano chi agisce da umano – replicò Miles, scrollando le spalle con un gesto accuratamente controllato, poi si costrinse a protendere una mano fino a sfiorare la guancia umida di lei. – E gli animali non piangono, Nove.
– Gli animali non mentono – ribatté lei, ritraendosi come da una scossa elettrica. – Gli umani invece sì, di continuo.
– Non di continuo – la corresse Miles, sperando che la luce fosse troppo tenue per permettere a Nove di scorgere il suo rossore nonostante l'intensità con cui lo stava scrutando.
– Dimostramelo – lo sfidò lei, con gli occhi d'oro chiaro pervasi all'improvviso di una rovente luce di curiosità.
– Uh… certo. Come?
– Togliti i vestiti.
– … cosa?
– Togliti i vestiti e giaci con me come fanno gli umani, gli uomini e le donne – spiegò la creatura, protendendo una mano a sfiorargli la gola con una lieve pressione degli artigli che lasciarono sulla pelle leggere strisce di gonfiore, mentre Miles emetteva un verso soffocato e sgranava gli occhi: un'altra leggera pressione degli artigli e le strisce di rossore sarebbero diventate rossi zampilli di sangue. Stava per morire…