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– È morto – rispose lei. E forse morirò anch'io, aggiunsero silenziosamente i suoi strani occhi, prima che le palpebre si abbassassero a nasconderli.

– Nove è il solo nome con cui ti hanno sempre chiamata?

– C'è anche un lungo codice numerico inserito nel biocomputer che costituisce la mia designazione.

– Ecco… tutti abbiamo un numero di riconoscimento – replicò Miles, pensando che in effetti lui ne aveva addirittura due, – ma questo è assurdo… non ti posso chiamare Nove, come se fossi un automa. Hai bisogno di un nome vero, un nome adatto a te – decise, piegando le labbra in un lento sorriso e appoggiandosi contro la spalla nuda e calda di lei… il suo corpo era davvero una fornace, il che significava che il suo metabolismo era proprio come gli era stato descritto. – Taura.

– Taura? – ripeté lei, con un accento un po' distorto ma melodioso provocato dalle sue lunghe labbra. – È un nome troppo bello per me.

– Taura – ribadì Miles, con fermezza. – Un nome bello ma forte, pieno di segreti sottintesi, perfetto. Ah, a proposito di segreti… – Era quello il momento giusto per parlarle di ciò che il Dottor Canaba aveva nascosto nel suo polpaccio sinistro, oppure avrebbe ottenuto soltanto di ferirla, come una donna che scoprisse di essere stata corteggiata soltanto per il suo denaro, o un uomo per il suo titolo? Il dubbio lo indusse ad esitare. – Adesso che ci conosciamo meglio, non credi che sarebbe ora di andarcene da questo posto?

– Come? – chiese Taura, fissando la tetra penombra che li circondava.

– Questo è ciò che dobbiamo stabilire, giusto? Ti confesso che la prima cosa che mi viene in mente sono le condutture.

Naturalmente non si riferiva a quella dell'aria calda, perché avrebbe dovuto restare senza mangiare per un mese per poterci entrare e comunque sarebbe arrostito per il calore. Raccolta la maglietta… aveva già rimesso i pantaloni appena si era svegliato perché quel freddo pavimento di pietra assorbiva spietatamente ogni traccia di calore da qualsiasi corpo con cui veniva in contatto… la scrollò e la indossò, alzandosi faticosamente in piedi. Dio, stava già diventando troppo vecchio per questo genere di cose, mentre quella sedicenne mostrava di possedere le energie fisiche di una divinità minore. Dove si era trovato lui quando aveva avuto la sua prima esperienza di sedicenne? Sulla sabbia… certo, era successo sulla sabbia. Miles sussultò ancora al ricordo dell'effetto che essa aveva avuto su alcune sensibili pieghe del corpo e si disse che forse la pietra fredda non era poi così male come alternativa.

Taura si sfilò di sotto la casacca e i pantaloni verdi, si vestì e lo seguì tenendosi accoccolata fino a quando il soffitto non fu abbastanza alto da permetterle di camminare eretta. Insieme passarono più volte al setaccio quella vasta camera sotterranea, scoprendo quattro scale di accesso a delle botole, che però erano tutte bloccate, oltre ad un'uscita per i veicoli che si trovava sul lato verso valle e che era anch'essa chiusa. Un'evasione diretta sarebbe stata la soluzione più semplice, ma se dopo non fosse riuscito a stabilire il contatto con Thorne per raggiungere la città più vicina avrebbero dovuto marciare per ventisette chilometri nella neve, lui dotato soltanto di calzini e Taura a piedi nudi. E se anche ci fossero arrivati non avrebbero poi comunque potuto utilizzare la rete di comunicazione video perché la carta di credito di Miles era ancora chiusa nella Sala Operativa della sicurezza, alcuni piani più sopra, e chiedere la carità nella città di Ryoval non sembrava una buona alternativa. Di conseguenza bisognava scegliere se evadere subito e partirsene più tardi oppure aspettare e cercare di equipaggiarsi adeguatamente, rischiando di essere catturati e di pentirsi subito. Le decisioni tattiche erano sempre un divertimento di questo tipo.

Alla fine optò per le condutture e indicò in alto verso quella più promettente.

– Credi di poterla aprire e issarmi lassù? – chiese a Taura.

Lei osservò la conduttura e annuì lentamente con espressione indecifrabile, poi si protese verso l'alto e si spostò fino a raggiungere una giuntura di metallo tenero, infilando sotto di essa le unghie dure come artigli e strappandola di netto. Per qualche istante esplorò quindi con le dita la fessura così prodotta, appendendosi ad essa come per sollevarsi verso il soffitto, e finalmente la conduttura si aprì sotto l'azione del suo peso.

– Ecco fatto – disse, sollevandolo con facilità come avrebbe fatto con un bambino.

Miles sgusciò nella conduttura, che era particolarmente stretta, anche se era la più ampia che era riuscito ad individuare nel soffitto dello scantinato, e strisciò in avanti sulla schiena, trovandosi costretto ad arrestarsi due volte per sopprimere crisi di riso sfumate di isterismo. La conduttura si piegava verso l'alto, e quando ebbe faticosamente descritto la curva con il proprio corpo scoprì che il percorso si diramava ad Y e che ciascuna diramazione aveva dimensioni che erano la metà di quelle del tratto iniziale. Imprecando, tornò indietro.

Taura lo stava osservando con il volto sollevato verso l'alto con un'angolazione insolita.

– Da quella parte non c'è niente da fare – annaspò Miles, invertendo faticosamente la propria direzione una volta tornato all'apertura e dirigendosi dalla parte opposta; anche quella branca descriveva una curva, ma pochi momenti più tardi incontrò una griglia: una griglia inflessibile, infrangibile e impossibile a tagliarsi a mani nude.

– D'accordo – borbottò, dopo essere rimasto a contemplarla per qualche istante, e tornò di nuovo indietro.

– Questo esclude definitivamente le condutture – riferì a Taura. – Uh… potresti aiutarmi a scendere? Dobbiamo dare ancora un'occhiata in giro.

Taura lo depose al suolo, e dopo che lui ebbe tentato invano di darsi una spolverata lo seguì abbastanza docilmente, anche se la sua espressione faceva supporre che stesse cominciando a perdere la propria fiducia nella sua potenza di ammiraglio; un particolare di una colonna attrasse l'attenzione di Miles, che si avvicinò per osservarla meglio nella tenue luce.

Si trattava di una delle colonne di sostegno antivibrazioni, che misurava due metri di diametro ed era incassata in un pozzo fluido inserito nel letto di roccia; senza dubbio, quella colonna saliva diritta fino ai laboratori per fornire una base ultrastabile a certi progetti per la generazione di cristalli e ad altre procedure. Miles picchiò a titolo di esperimento contro la sua superficie e il rumore che provocò rivelò che l'interno era cavo.

Aveva senso, perché il cemento non galleggiava molto bene. Un solco lungo la parete delineava… un portello di accesso? Miles fece correre le dita intorno ad esso, sondandolo e individuando qualcosa di nascosto; protendendo le braccia trovò un punto identico sul lato opposto e scoprì che i due punti cedevano lentamente sotto l'intensa pressione dei suoi pollici. All'improvviso si sentì uno schiocco seguito da un sibilo e l'intero pannello si staccò in maniera tanto brusca che Miles barcollò e riuscì a stento a impedirsi di lasciarlo cadere nel buco che si era creato. Dopo un momento si girò da un lato e appoggiò per terra il pannello.

– Bene, bene – commentò con un sorriso, poi infilò la testa nel vano che si era creato e guardò in alto e in basso, scorgendo soltanto il buio più assoluto.

Con cautela protese allora un braccio e tastò intorno all'apertura, incontrando una scaletta che saliva dall'umidità sottostante e che serviva per le pulizie e le riparazioni; a quanto pareva l'intera colonna poteva essere riempita di fluido secondo la quantità e la densità necessarie e una volta piena sarebbe stata autosigillata e impossibile ad aprirsi. Esaminò quindi attentamente il lato interno del bordo del portello, appurando che poteva essere aperto da entrambe le parti.

– Andiamo a vedere se più in alto c'è un'altra di queste aperture – decise.