Finalmente, Miles mise il registratore di dati in comunicazione con tutte e tre le scatole di controllo, con le prese effettive che pendevano staccate. Avrebbe funzionato? I secondi trascorsero senza che suonassero allarmi o si sentisse il tonante sopraggiungere delle furenti guardie di sorveglianza…
– Taura, vieni qui – chiamò Miles.
Lei gli si avvicinò con espressione sconcertata.
– Hai mai incontrato il Barone Ryoval? – le chiese allora Miles.
– Sì, una volta… quando è venuto a comprarmi.
– Lo hai trovato simpatico?
Per tutta risposta Taura lo fissò come se pensasse che fosse impazzito.
– Già, non posso dire che piaccia molto neppure a me – commentò allora Miles. In effetti si era trattenuto a stento dall'ucciderlo, e adesso era grato di quello sforzo di autocontrollo. – Se potessi, ti piacerebbe strappargli i polmoni?
– Mettimi alla prova – ringhiò Taura, serrando i pugni.
– Bene! – approvò Miles, con un allegro sorriso. – Adesso ti impartirò la tua prima lezione di tattica. Vedi quel comando? – domandò, indicando lo strumento in questione. – La temperatura in queste celle frigorifere può essere elevata fino a duecento gradi centigradi per la sterilizzazione a caldo quando vengono pulite. Ora dammi un dito, uno solo, con delicatezza… più delicatezza di così – ordinò, guidandole la mano. – Applica la minima pressione possibile che puoi esercitare sul cursore e tuttavia continua a muoverlo… adesso il prossimo – aggiunse, spingendola verso il pannello successivo, – e l'ultimo.
A quel punto trasse un profondo respiro, incapace di credere a quello che erano riusciti a fare.
– La lezione – concluse, in un sussurro, – è che la cosa importante non è quanta forza applichi, ma dove la applichi.
Soffocò quindi l'impulso di scrivere qualcosa come La Vendetta del Nano con un pennarello indelebile sul davanti delle celle frigorifere, perché quanto più tempo il barone furente avrebbe impiegato a stabilire chi inseguire e tanto meglio sarebbe stato per lui. Di certo ci sarebbero volute parecchie ore per portare quella massa dalla temperatura dell'azoto liquido a quella di una bistecca ben cotta, ma se nessuno fosse entrato nel laboratorio prima dell'inizio del turno di giorno la distruzione sarebbe stata assoluta.
Si decise allora a lanciare un'occhiata all'orologio a muro, rendendosi infine conto di aver trascorso molto tempo in quello scantinato… tempo speso bene, e tuttavia…
– Ora – disse a Taura, che stava ancora fissando i pannelli e la propria mano con un'espressione riflessiva negli occhi dorati, – dobbiamo fuggire di qui. Adesso dobbiamo davvero andare via. – Se non vuoi che la tua prossima lezione di tattica verta su come evitare di far saltare in aria il ponte su cui ci si trova, aggiunse nervosamente fra sé.
Dopo aver esaminato con maggiore attenzione il meccanismo di bloccaggio della porta e ciò che si trovava al di là di essa… fra le altre cose, i monitor a parete erano ad attivazione sonora ed erano anche dotati di laser automatici… Miles quasi tornò a ripristinare la temperatura delle celle frigorifere. I suoi attrezzi elettronici di fabbricazione dendarii ora rinchiusi nella Sala Operativa della sicurezza avrebbero forse potuto disattivare i complessi circuiti della scatola di controllo da lui aperta, ma non poteva accedere a quegli attrezzi senza di essi… un simpatico paradosso. Naturalmente non era sorpreso che Ryoval avesse utilizzato i più sofisticati sistemi di allarme per l'unica porta di quel laboratorio, ma questo rendeva la stanza in cui erano una trappola ancora più mortale dello scantinato.
Munito della lampada portatile, effettuò un'ulteriore perquisizione del laboratorio controllando di nuovo il contenuto dei cassetti. Non trovò nessun modo di accedere ai computer, ma scoprì una grossa cesoia in un cassetto pieno di bulloni e di morse, e quell'attrezzo gli fece venire in mente la griglia della conduttura che in precedenza lo aveva sconfitto: a quanto pareva, il tragitto fino a quel laboratorio era stato soltanto un'illusione di progresso verso la fuga.
– Non c'è nulla di vergognoso in una ritirata strategica verso una posizione migliore – sussurrò a Taura quando lei si ribellò all'idea di entrare di nuovo nella buia colonna di sostegno. – Questa è una strada senza uscita… forse addirittura alla lettera.
Il dubbio che lesse nei suoi occhi dorati ebbe l'effetto di sconvolgerlo stranamente e gli fece sentire il cuore pesante. Ancora non ti fidi di me, vero? Bene, forse coloro che sono stati vittima di grandi tradimenti hanno bisogno di prove altrettanto grandi.
– Resta con me, ragazza – mormorò sottovoce, entrando nel condotto, – e arriveremo da qualche parte.
Taura si limitò a mascherare i propri dubbi abbassando le palpebre ma lo seguì senza più protestare, richiudendo il portello alle loro spalle.
Adesso che disponevano della lampada portatile la discesa risultò meno difficile e sgradevole di quanto lo fosse stata l'ascesa verso l'ignoto; non individuarono comunque altre aperture e ben presto si ritrovarono sul pavimento di pietra da cui erano partiti. Mentre Taura beveva di nuovo, Miles controllò il progresso dell'accumularsi dell'acqua che scaturiva dal tubo rotto: il getto scorreva in un flusso costante sul pavimento in pendenza, ma a causa delle vaste dimensioni della camera sarebbero trascorsi alcuni giorni prima che la polla che si andava lentamente accumulando contro la parete più bassa potesse acquisire qualche importanza strategica.
Ancora una volta Taura lo issò nella conduttura.
– Augurami buona fortuna – le disse, con voce soffocata dallo spazio angusto che lo circondava.
– Addio – rispose lei. Da dove si trovava Miles non poteva vedere l'espressione del suo volto, e di certo la sua voce era priva di qualsiasi intonazione.
– Arrivederci – la corresse con fermezza.
Qualche minuto di vigorose contorsioni fu sufficiente a riportarlo alla griglia, che si apriva su un ambiente pieno di oggetti che faceva parte dello scantinato e che appariva silenzioso e privo di occupanti. Il rumore delle cesoie che tagliavano il metallo della griglia gli parve tanto forte da attirare immediatamente tutto il contingente di sicurezza di Ryoval, ma non apparve nessuno… forse il capo della sicurezza stava dormendo per smaltire gli effetti della droga che gli era stata iniettata. Poi un rumore strisciante che non era stato prodotto da lui risuonò alle sue spalle e lo indusse ad immobilizzarsi e a puntare il raggio della lampada lungo una diramazione della conduttura: il raggio fece brillare due rosse gemme identiche… gli occhi di un grosso ratto. Per un momento Miles prese in considerazione l'idea di stordirlo e di portarlo a Taura ma poi la scartò: non appena fossero arrivati a bordo dell'Ariel le avrebbe fatto preparare un pasto a base di bistecche. Il ratto comunque provvide a mettersi in salvo allontanandosi di scatto.
Finalmente la griglia cedette e Miles sgusciò all'interno del magazzino, chiedendosi che ora fosse e decidendo che doveva essere tardi, molto tardi. La stanza si affacciava su un corridoio, ad una delle cui estremità uno dei portelli di accesso allo scantinato spiccava opaco sul pavimento. A quella vista il cuore di Miles fu pervaso dal primo serio barlume di speranza: una volta che avesse tirato fuori Taura avrebbero dovuto cercare di raggiungere un veicolo…
Come quella del primo portello, la serratura era manuale e di semplice funzionamento, senza sofisticati congegni elettronici da disattivare, ma scattava automaticamente nel richiudersi, quindi Miles ebbe cura di bloccarla prima di scendere la scaletta.
– Taura, dove sei? – sussurrò, puntando di qua e di là la luce della lampada.
Non ci fu una risposta immediata, né la luce fece brillare un paio di occhi dorati in mezzo a quella foresta di pilastri, ma Miles era riluttante a gridare, quindi scese lungo i gradini e si avviò di corsa attraverso lo scantinato, sentendo il freddo della pietra che gli penetrava attraverso i calzini e desiderando di poter riavere i suoi stivali.