– Allora un giorno tornerai alla Colonia Beta? – domandò Nicol. – Oppure i Mercenari Dendarii sono la tua casa e la tua famiglia?
– Non sono un tipo così appassionato – affermò Thorne. – Resto con loro soprattutto a causa di una incontrollabile curiosità di vedere cosa succederà la prossima volta.
E nel parlare scoccò uno strano sorriso in direzione di Miles.
Aiutò quindi Nicol a risalire sulla sua poltrona azzurra, e dopo un breve controllo dei sistemi lei si librò di nuovo nell'aria, altrettanto mobile quanto i suoi compagni a due gambe… o forse addirittura di più.
– Raggiungeremo l'orbita di Escobar fra tre giorni soltanto – avvertì quindi Thorne, con rincrescimento. – Comunque sono settantadue ore, equivalenti a 4320 minuti. Quante cose riesci a fare in 4320 minuti?
O quanto spesso? pensò Miles. Soprattutto se si tralascia di dormire? Se non si era sbagliato nel riconoscere i segni, il sonno non era certo quello che Thorne aveva in mente… quindi buona fortuna, ad entrambi.
– Nel frattempo – proseguì Thorne, guidando Nicol verso il corridoio, – lascia che ti mostri la mia nave. È di costruzione illirica… un pianeta alquanto lontano dai tuoi asteroidi, se ben ricordo. Il modo in cui l'Ariel è finita nelle mani dei Mercenari Dendarii costituisce una storia notevole… a quell'epoca eravamo conosciuti come i Mercenari Oserani…
Nicol accompagnò le sue parole con qualche mormorio d'incoraggiamento mentre Miles soffocava un sorriso pieno d'invidia e si allontanava nella direzione opposta per andare in cerca del Dottor Canaba ed organizzare le modalità per espletare il suo ultimo, sgradevole dovere.
Quando la porta dell'infermeria scivolò di lato Miles posò con aria riflessiva l'ipospray che stava rigirando fra le mani e fece ruotare la poltrona su cui sedeva nel momento in cui Taura e il Sergente Anderson facevano il loro ingresso.
– Mio Dio - mormorò.
– A rapporto come ordinato, signore – scandì il Sergente Anderson, accennando un saluto.
Taura contrasse una mano, incerta se tentare di imitare il saluto militare oppure no, e nel guardarla Miles sentì affiorargli sulle labbra un involontario sorriso di soddisfazione, perché la trasformazione che la ragazza aveva subito era ancora superiore a quanto aveva immaginato.
Non sapeva come Anderson fosse riuscita a persuadere il computer della fureria ad alterare i suoi normali parametri, ma in qualche modo lo aveva costretto a fornire una divisa dendarii completa della taglia di Taura: una linda giacca grigia e bianca, calzoni grigi e lucidi stivali fino alla caviglia. Adesso il volto e i capelli di Taura erano talmente puliti da rivaleggiare per lucentezza con gli stivali e la capigliatura tirata all'indietro in una strana treccia che le si raccoglieva sulla nuca senza che si riuscisse a vedere dove terminava, aveva inattesi riflessi mogano.
Sebbene il suo aspetto non fosse pasciuto, la ragazza non era comunque più denutrita e i suoi occhi apparivano luminosi e interessati, diversi dai due bagliori dorati semisepolti nelle orbite cavernose che lui aveva visto inizialmente. Anche da quella distanza, inoltre, era evidente che la reidratazione e la possibilità di lavarsi i denti e le zanne avevano eliminato il fetore causato al suo alito dai numerosi giorni trascorsi nello scantinato di Ryoval nutrendosi soltanto di topi crudi. Le grandi mani erano adesso libere dalla sporcizia che le incrostava e… tocco davvero ispirato… le unghie simili ad artigli erano state pulite, appuntite .e coperte con un iridescente smalto perlaceo che s'intonava perfettamente alla divisa grigio-bianca. Di certo lo smalto doveva essere saltato fuori dalla scorta personale di cosmetici del sergente.
– Impressionante, Anderson – commentò infine Miles, in tono ammirato.
– È quello che lei aveva in mente, signore? – s'informò Anderson, con un sorriso orgoglioso.
– Esattamente – confermò Miles, mentre Taura lo fissava con un'espressione che rivelava una soddisfazione pari alla sua. – Che ne pensi del tuo primo balzo in un corridoio di transito? – chiese quindi.
Le lunghe labbra della ragazza ebbero un tremito, come sempre accadeva quando cercava di atteggiarle ad una smorfia riflessiva.
– In un primo tempo mi sono sentita improvvisamente in preda alle vertigini ed ho temuto di sentirmi male, finché il Sergente Anderson non mi ha spiegato di cosa si trattava.
– Niente piccole allucinazioni o effetti di distorsione temporale?
– No, ma non è stato… in ogni caso è passato in fretta.
– Hmm. Non sembra che tu sia uno di quei fortunati… o sfortunati… che vengono esaminati per evidenziare un'eventuale attitudine come piloti di Balzo. A giudicare dalle doti che hai dimostrato ieri mattina sulla piattaforma di atterraggio di Ryoval, la Sezione Tattica detesterebbe di doverti perdere a vantaggio della Navigazione e Comunicazioni. – Miles fece una pausa, poi aggiunse: – Grazie, Laureen. La mia chiamata ha interrotto qualcosa?
– Il controllo dei sistemi di routine sulle navette di atterraggio, prima di disattivarle. Taura stava guardando sopra la mia spalla mentre lavoravo.
– D'accordo, prosegua pure. Le rimanderò Taura quando avremo finito qui.
Anderson, che era manifestamente curiosa, uscì con riluttanza e Miles attese che le porte si fossero richiuse prima di parlare ancora.
– Siediti, Taura. Quindi le tue prime ventiquattr'ore con i Dendarii sono state soddisfacenti?
La ragazza sorrise e si adagiò con cautela su un'altra poltroncina, che scricchiolò.
– Più che soddisfacenti.
– Ah – fece Miles, esitando. – Devi capire che quando arriveremo a Escobar ti resterà sempre aperta la possibilità di andare per la tua strada: non sei obbligata ad unirti a noi ed io potrei provvedere a trovarti una sistemazione iniziale di qualche tipo, laggiù.
– Cosa? – esclamò lei, sgranando gli occhi con sgomento. – No! Voglio dire… mangio troppo?
– Per nulla. Combatti come quattro uomini e possiamo permetterci di darti da mangiare per tre. Però… voglio mettere subito in chiaro alcune cose prima che tu pronunci il tuo giuramento di recluta – replicò Miles, schiarendosi la gola. – Non sono venuto nel Complesso Biologico Ryoval per reclutarti. Ricordi che qualche settimana prima che la Casa Bharaputra ti vendesse a Ryoval, il Dottor Canaba ti ha iniettato qualcosa in una gamba? Con un ago, non con un'hypospray.
– Ah, sì – confermò lei, massaggiandosi distrattamente il polpaccio. – Ha formato una specie di gonfiore.
– E lui ti ha… ti ha detto di cosa si trattava?
– Un'immunizzazione.
Miles rifletté che Taura aveva avuto ragione nell'affermare che gli umani mentivano spesso.
– Ecco, non si è trattato di un'immunizzazione. Canaba ti ha usata come un contenitore vivente per materiale biologico elaborato con l'ingegneria genetica. Vincolato molecolarmente è latente – si affrettò ad aggiungere, nel vedere come lei si era contorta per scrutare la gamba con disagio. – Canaba mi ha garantito che non si può attivare spontaneamente. La mia missione originale era soltanto quella di prelevare il Dottor Canaba, ma lui si è rifiutato di partire senza quei complessi genetici.
– Aveva intenzione di portarmi con lui? – domandò Taura, con eccitata sorpresa. – Allora lo dovrei ringraziare per averti mandato da me!
Miles desiderò che lo facesse, per poter vedere l'espressione del volto di Canaba nell'ascoltarla.
– Sì e no. Per l'esattezza, no – replicò, proseguendo di getto prima di perdere il coraggio. – Non hai nulla di cui ringraziare lui, e neppure me. Canaba intendeva portare con sé soltanto i campioni di tessuti e mi ha mandato a prelevarli.
– Avresti preferito lasciarmi là… è per questo che hai parlato di Escobar… – Taura era ancora sconcertata.
– La tua fortuna – proseguì Miles, – è stata che io abbia perso i miei uomini e che fossi disarmato quando infine ci siamo incontrati. Canaba ha mentito anche a me: per difendersi ha affermato di aver avuto la confusa idea di salvarti da una vita brutale come schiava di Ryoval, ma in effetti mi ha mandato ad ucciderti, Taura. Mi ha mandato ad uccidere un mostro mentre avrebbe dovuto implorarmi di salvare una principessa sotto mentite spoglie. Non sono contento di come ha agito Canaba, e non lo sono neppure di me stesso. Ti ho mentito spudoratamente in quello scantinato, perché pensavo di doverlo fare per poter sopravvivere e vincere.