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Miles rispose con un distratto borbottio di assenso. Si stavano avvicinando al punto del circuito più distante dal campo delle donne, accanto ai cui confini ora permeabili lui e Suegar tenevano le loro stuoie per dormire.

Due uomini che stavano camminando lungo la cupola nella direzione opposta si unirono ad un secondo paio in tenuta grigia, e nello stesso momento altri tre si alzarono dalle loro stuoie alla destra di Miles, con mosse casuali e noncuranti. Sebbene non potesse esserne certo senza voltare la testa, Miles ebbe inoltre l'impressione di notare un movimento periferico anche alle sue spalle.

I quattro che stavano avanzando verso di loro si fermarono a qualche metro di distanza, cosa che indusse Miles e Suegar ad esitare davanti a quegli uomini vestiti di grigio di taglia svariata ma tutti più grandi di Miles… e chi non lo era? I membri del gruppetto li stavano fissando con espressione accigliata e piena di una tensione che arrivò fino a Miles e che gli fece stridere i nervi quando riconobbe fra i quattro uno dei grossi e cupi compari che aveva visto insieme a Pitt. Non si prese neppure la briga di distogliere lo sguardo da quell'uomo per guardarsi intorno alla ricerca dei sorveglianti, anche perché era certo che uno degli individui che avevano di fronte fosse un sorvegliante.

E la cosa peggiore di tutte era che era colpa sua se ora si trovavano con le spalle al muro… ammesso che si potesse usare una definizione del genere in quel luogo… perché aveva permesso che i suoi movimenti quotidiani assumessero una routine prevedibile. Uno stupido, basilare, imperdonabile errore da principiante.

Il luogotenente di Pitt venne avanti mordicchiandosi il labbro inferiore e fissando Miles con occhi infossati.

Sta cercando di darsi la carica, si rese conto questi. Se il suo unico intento fosse quello di pestarmi fino a ridurmi in poltiglia potrebbe farlo anche dormendo.

Mentre lo fissava, l'uomo giocherellava con una corda fatta di stracci intrecciati con cura, un laccio per strangolare… no, non si trattava di un'altra battuta, questa volta avevano in programma un vero e proprio omicidio premeditato.

– Tu – ringhiò con voce rauca il luogotenente di Pitt, – all'inizio non ero riuscito a inquadrarti, perché non sei uno di noi, non avresti mai potuto esserlo. Mutante… sei stato tu stesso a fornirmi l'indizio giusto: Pitt non era una spia dei Cetagandani, ma tu lo sei!

E scattò in avanti.

Miles schivò, sopraffatto dall'attacco verbale e da un'improvvisa comprensione. Dannazione, aveva saputo fin dall'inizio che ci doveva essere un valido motivo per cui marchiare Pitt in quel modo gli era parso un errore sebbene si trattasse di una soluzione tanto efficiente; il valido motivo era che quella falsa accusa costituiva un'arma a doppio taglio, pericolosa tanto per chi la brandiva quanto per chi la subiva. Era evidente che il luogotenente di Pitt era convinto che la propria accusa fosse vera, e dal momento che era stato lo stesso Miles a dare il via alla caccia alle streghe, c'era una certa giustizia poetica nel fatto che lui ne fosse la prima vittima, ma dove sarebbe finita quella storia? Non c'era da meravigliarsi che i loro catturatori non avessero interferito, ultimamente: i loro silenziosi osservatori cetagandani dovevano in quel momento essere piegati in due dal ridere… un errore accumulato sull'altro, e quella catena di errori sarebbe culminata ora con la sua morte per mano di quei vermi in quella tana di vermi…

Delle mani lo afferrarono e lui si contorse in maniera spasmodica, scalciando, ma riuscì a spezzare soltanto in parte la presa che lo tratteneva; al suo fianco, Suegar si voltò di scatto e prese a colpire con pugni e calci, urlando come un indemoniato. Suegar aveva le braccia lunghe, ma non era abbastanza massiccio, mentre Miles era carente tanto nella lunghezza di braccia quanto nel peso; nonostante il suo fisico sparuto, comunque, Suegar riuscì per un momento a infrangere la presa che l'assalitore aveva stretto intorno a Miles.

Poi il braccio sinistro di Suegar venne afferrato e bloccato mentre lui lo tirava indietro per sferrare un colpo di rovescio, e Miles sussultò in anticipazione del previsto e familiare crepitio soffocato dell'osso che si rompeva… ma l'uomo si limitò invece a strappargli dal polso il bracciale di stracci intrecciati.

– Ehi, Suegar – beffò l'assalitore, saltellando all'indietro, – guarda cos'ho preso!

Suegar girò la testa di scatto, dimenticando di colpo la determinazione con cui fino a quel momento aveva cercato di difendere Miles, e nel vedere l'uomo che tirava fuori il malconcio pezzo di carta dalla sua protezione di stoffa e lo agitava nell'aria si gettò in avanti con un urlo soffocato, venendosi però a trovare bloccato da altri due corpi. L'uomo strappò il foglio di carta in due ed esitò per un momento come se non sapesse come liberarsi dei frammenti… poi sogghignò improvvisamente e s'infilò i due pezzi in bocca, mettendosi a masticare. Suegar urlò.

– Dannazione! – gridò Miles, furioso. – Era me che volevate! Non era necessario fare questo… – E sferrò con tutte le sue forze un pugno contro la faccia sogghignante del suo più vicino assalitore, che era stato temporaneamente distratto dalla reazione di Suegar.

Immediatamente sentì le ossa che gli si rompevano fino al polso: era così dannatamente stanco di quelle ossa, stanco di soffrire ancora, e ancora…

Urlando e singhiozzando, Suegar stava cercando di arrivare all'uomo che era ancora intento a masticare il pezzo di carta, ma adesso il suo attacco aveva perso ogni scientificità e lui si agitava come un ossesso. Miles lo vide cadere al suolo, poi la sua attenzione fu interamente reclamata dalle spire della corda che gli si stava avvolgendo intorno al collo come un'anaconda. Riuscì a infilare una mano fra la corda e il proprio collo, ma si trattava di quella fratturata ed elettriche fitte di dolore gli salirono lungo il braccio e diedero l'impressione di affondargli sotto la pelle all'altezza della spalla. La pressione nella sua testa andò crescendo fino a quando gli parve che stesse per esplodere; macchie color porpora scuro punteggiate di giallo presero ad offuscargli la vista come nembi di tempesta, poi una chiazza di capelli rossi saettò davanti al suo campo visivo sempre più ristretto…

Un momento più tardi Miles si ritrovò steso al suolo, con il sangue che tornava a fluire meravigliosamente nel suo cervello affamato di ossigeno, e per un momento rimase passivo dove si trovava senza curarsi di niente altro: sarebbe stato così bello non doversi rialzare…

Quella dannata cupola, fredda, bianca e uniforme, fu la prima immagine che salutò beffarda lo schiarirsi della sua vista, e per reazione lui si sollevò di scatto in ginocchio, guardandosi intorno con espressione sconvolta: Beatrice, alcuni sorveglianti e qualche commando di Oliver stavano inseguendo gli aspiranti assassini per il campo, il che significava che lui doveva aver perso i sensi soltanto per pochi secondi. Suegar giaceva al suolo ad un paio di metri di distanza.

Miles strisciò fino a raggiungerlo e vide che era raggomitolato su se stesso con le braccia strette intorno allo stomaco: il suo volto era verdastro e madido di sudore gelido, mentre tremiti incontrollati gli correvano lungo il corpo. Era evidente che era in stato di shock, e in questi casi il paziente doveva essere tenuto al caldo e gli doveva essere somministrata della synergina… lì però non c'era synergina. Goffamente, Miles si sfilò la tunica e la stese addosso all'amico.

– Suegar? Stai bene? Beatrice ha messo in fuga quei barbari…

Suegar sollevò lo sguardo e gli rivolse un fugace sorriso che fu però quasi immediatamente riassorbito e soffocato dal dolore.

Qualche tempo dopo Beatrice tornò indietro, arruffata e con il respiro affannoso.

– Voi due svitati – commentò, squadrandoli spassionatamente, – non avete bisogno di una guardia del corpo ma di un dannato custode.

Si lasciò quindi cadere in ginocchio accanto a Miles e fissò per un momento Suegar con le labbra serrate in una sottile linea bianca; quando infine spostò lo sguardo su Miles, i suoi occhi si erano fatti cupi e aggrondati.