– Beatrice! – esclamò, agitando un braccio. – Comincia a passare parola! Stiamo eseguendo l'esercitazione per la distribuzione del cibo, solo che invece di una barra nutritiva ciascuna persona otterrà un posto su una navetta. Bada che lo capiscano bene e che nessuno si allontani nel buio, perché altrimenti perderà il passaggio, poi torna qui e resta con Suegar, perché non voglio che venga lasciato indietro o calpestato. Sorveglialo, hai capito?
– Non sono un dannato cane. Quali navette?
In quel momento il suono che gli orecchi di Miles stavano aspettando da tempo di sentire, un multiforme sibilo che si faceva sempre più intenso, trapassò il frastuono circostante, e dalle nubi rossastre e ribollenti scaturirono delle sagome incombenti simili a mostruosi scarafaggi alati e forniti di corazza, con le zampe che si protendevano verso il terreno: navette da prelevamento corazzate e attrezzate per combattere… due, tre, sei, sette, otto… le labbra di Miles si mossero silenziosamente nel contarle fino ad arrivare a quattordici. Per Dio, erano riusciti ad approntare il B-7 in tempo utile.
– Le mie navette – rispose, indicando.
Beatrice rimase ferma a guardare verso l'alto con la bocca aperta.
– Mio Dio, sono splendide – mormorò, e Miles ebbe l'impressione di vedere la sua mente che cominciava a funzionare a velocità frenetica. – Però non sono nostre e neppure cetagandane. Chi diavolo…?
– Questo è un salvataggio politico a pagamento – spiegò Miles, inchinandosi.
– Mercenari?
– Non siamo una cosa strisciante e dotata di troppe zampe che tu abbia trovato nel tuo sacco a pelo. Il giusto tono di voce è un grido di gioia, così… Mercenari!
– Ma… ma… ma…
– Ora va', dannazione. Potrai discutere più tardi.
Beatrice sollevò le mani in un gesto di frustrazione e spiccò la corsa mentre Miles continuava a bloccare ogni persona che gli passava vicino, trasmettendo gli ordini del giorno. In questo modo riuscì a catturare anche uno degli alti commandos di Oliver e si fece issare sulle sue spalle: una rapida occhiata circolare gli rivelò quattordici capannelli di persone che si stavano coagulando in mezzo alla folla disordinata più o meno nelle posizioni giuste stabilite lungo il perimetro. Sopra di essi le navette si librarono nell'aria ancora per un momento prima di posarsi ad una ad una al suolo intorno al campo.
– Così dovrà bastare – borbottò Miles fra sé. – Giù – ordinò poi, battendo un colpetto sulla spalla del commando.
Si costrinse quindi a camminare con calma in direzione di una delle navette per dare il buon esempio… una folle corsa di massa verso di esse era infatti lo scenario per evitare il quale lui aveva sparso sangue, ossa e orgoglio durante le ultime… tre, quattro?… settimane.
Quattro soldati armati e in attrezzatura completa da combattimento furono i primi a scendere la rampa della navetta per assumere la posizione di guardia, e Miles notò con approvazione che gli uomini avevano le armi puntate nella direzione giusta, verso i prigionieri che stavano cercando di salvare. Un'altra pattuglia più numerosa e armata fino ai denti seguì a ruota le prime guardie e si allontanò di corsa, zigzagando per evitare il fuoco di copertura dei compagni e puntando verso le installazioni cetagandane che cingevano il cerchio della cupola. Era difficile stabilire quale fosse la direzione più pericolosa… a giudicare dal protrarsi della pioggia di colpi le navette da combattimento stavano fornendo un abbondante fuoco di copertura con cui distrarre i Cetagandani.
Finalmente dalla navetta sbucò anche l'uomo che più Miles desiderava vedere, l'ufficiale addetto alle comunicazioni.
– Tenente… – chiamò, poi riuscì a collegare il nome alla faccia e aggiunse: – Tenente Murka! Da questa parte!
Murka lo individuò subito e prese ad armeggiare con aria eccitata con il suo equipaggiamento.
– Commodoro Tung! – gridò nel proprio ricevitore. – Lui è qui! L'ho trovato!
Miles strappò spietatamente la cuffia per le comunicazioni dalla testa del tenente, che si piegò docilmente per permettere quel furto, e la piantò sulla propria con la mano sinistra, in tempo per sentire la flebile risposta di Tung.
– Bene, Murka, per l'amore di Dio non lo perda di nuovo. Si sieda su di lui, se sarà necessario.
– Voglio il mio staff – disse Miles nel ricevitore. – Ha già recuperato Elli ed Elena? Quanto tempo abbiamo per quest'operazione?
– Sì, signore, no, e circa due ore, se siamo fortunati – rispose secca la voce di Tung. – È bello riaverla a bordo, Ammiraglio Naismith.
– Mi sta dicendo… recuperi Elli ed Elena, con priorità uno!
– Ci stiamo lavorando. Chiudo.
Girandosi Miles scoprì che il caposquadra per la distribuzione delle barre nutritive addetto a quella sezione era riuscito a radunare il primo gruppo di 200 prigionieri e stava costringendo i 200 successivi a restare indietro in attesa del loro turno… eccellente. I prigionieri da imbarcare venivano incanalati uno alla volta lungo la rampa attraverso una strana strettoia: un mercenario tagliava il dietro di ciascuna tunica grigia con un rapido colpo di vibrolama, un secondo mercenario applicava alla schiena del prigioniero un paralizzatore medico ed un terzo passava su di essa un trattore medico manuale, strappando via rozzamente i numeri di serie cetagandani impressi sotto la pelle senza poi prendersi il disturbo di applicare una fasciatura.
– Andate a prua e sedetevi in fila per cinque, andate a prua e sedetevi in fila per cinque, andate a prua… – ripeteva quest'ultimo mercenario, con la voce uniforme che echeggiava a tempo con il movimento ipnotico del trattore medico.
Il Capitano Thorne, che a volte fungeva da aiutante di campo di Miles, emerse con passo affrettato dal miscuglio di bagliori e di ombre cupe, fiancheggiato da uno dei medici di bordo e… a Dio piacendo… da un soldato che portava gli abiti e gli stivali di Miles. Questi si tuffò verso gli stivali, ma fu invece catturato dal medico prima di raggiungerli.
Il dottore gli passò un paralizzatore medico fra le scapole nude e ineguali e lo fece seguire da un trattore manuale.
– Accidenti! – strillò Miles. – Non poteva aspettare un dannato secondo perché avesse inizio l'effetto del paralizzatore? E cosa significa tutto questo? – chiese, palpandosi il danno con la mano sinistra mentre il dolore cominciava già a svanire.
– Mi dispiace, signore – replicò il medico, senza eccessiva sincerità. – La smetta di toccarsi… ha le mani sporche – aggiunse, applicando una plastibenda… il rango aveva i suoi privilegi, dopo tutto. – Il Capitano Bothari-Jasek e il Comandante Quinn hanno appreso dagli altri controllori Cetagandani addetti ai monitor della prigione qualcosa che non sapevamo prima che lei entrasse nel campo, e cioè che questi numeri sono permeati da gocce di una sostanza le cui membrane lipidiche sono tenute allineate da un campo magnetico a bassa potenza che i Cetagandani generano nella cupola. Se si trascorre un'ora fuori della cupola le membrane cominciano a cedere e a liberare un veleno, e circa quattro ore più tardi il soggetto muore… in maniera molto sgradevole. Suppongo fosse una piccola garanzia ulteriore contro eventuali fughe.
– Capisco – mormorò Miles, con un brivido, poi si schiarì la gola e aggiunse, in tono più deciso: – Capitano Thorne, registri una nota di merito… con i massimi onori… per il Comandante Elli Quinn e il Capitano Elena Bothari-Jasek. Il servizio segreto del nostro… datore di lavoro ignorava questo particolare, anzi pare che i dati da esso raccolti fossero carenti sotto numerosi aspetti. Dovrò parlare con i responsabili… e in tono deciso… quando presenterò il conto spese per quest'operazione. Prima di mettere via il paralizzatore, dottore, mi anestetizzi la mano, per favore – concluse, protendendo là destra perché il medico la esaminasse.