– Barrayar aveva quei folli guerrieri Vor – commentò in tono scettico Tris, che sembrava meno colpita di Oliver da quel paragone storico. – Pazzoidi che si precipitavano in battaglia e a cui piaceva la prospettiva di morire. Marilac però non ha quel tipo di tradizione culturale: noi siamo un popolo civile… o almeno lo eravamo, un tempo…
– Lascia che ti dica qualcosa sui Vor barrayarani – la interruppe Miles. – I pazzi che cercavano una morte gloriosa in battaglia l'hanno trovata molto presto, e questo è servito a ripulire la catena di comando dagli idioti che vi si erano accumulati. I superstiti sono stati quelli che hanno imparato a combattere in maniera sporca e a sopravvivere per combattere un altro giorno e per vincere… coloro per i quali né le comodità, né la sicurezza, né la famiglia, gli amici o la loro stessa anima immortale erano più importanti della vittoria. I morti sono perdenti per definizione, e ciò a cui si deve mirare sono la sopravvivenza e la vittoria. Quei Barrayarani non erano superuomini e non erano immuni alla sofferenza: hanno sudato e faticato in preda alla confusione e nell'oscurità ed hanno vinto, senza avere neppure la metà delle risorse fisiche che Marilac possiede ancora adesso. Quando si è un Vor – concluse, in tono più calmo, – non è possibile tirarsi indietro.
– Anche un esercito volontario patriottico deve mangiare – osservò Tris, dopo una pausa, – e non sconfiggeremo i Cetagandani a colpi di sputi.
– Riceverete aiuti finanziari e militari attraverso canali segreti che non passeranno per mio tramite… se ci sarà un Comando della Resistenza a cui farli pervenire.
Tris fissò Oliver negli occhi come per soppesarlo: adesso il fuoco presente in lei ardeva più vicino alla superficie di quanto Miles lo avesse mai visto, scorrendo lungo i suoi muscoli tesi.
– E pensare, sergente – commentò in tono quieto, mentre il sibilo della prima navetta di ritorno trapassava la nebbia, – che ritenevo di essere io l'atea e che fossi tu il credente. Allora, verrai con me… oppure intendi tirarti indietro?
Oliver incurvò un poco le spalle… sotto il peso della storia, non della sconfitta, come indicava il bagliore che gli ardeva negli occhi.
– Vengo – rispose con un grugnito.
– Come procedono le cose? – chiese allora Miles, intercettando lo sguardo di Tung.
Questi scosse il capo e sollevò alcune dita.
– Lassù hanno accumulato un ritardo di circa sei minuti nelle operazioni di scarico – replicò.
– Dunque – proseguì Miles, tornando a girarsi verso Tris ed Oliver, – voglio che risaliate entrambi con quest'ondata e su navette separate, imbarcandovi ciascuno su uno dei due trasporti. Una volta lassù, comincerete ad accelerare le operazioni di scarico della vostra gente. Il tenente Murka vi indicherà le navette a cui siete assegnati – concluse, indicando il tenente, che venne avanti e li portò entrambi con sé.
Beatrice indugiò però accanto a Miles.
– Io sono incline al panico – gli comunicò in tono distaccato, disegnando con il piede nudo cerchi concentrici nella polvere sempre più umida.
– Non ho più bisogno di una guardia del corpo – replicò Miles, con un sorriso, – ma forse mi servirebbe un custode…
Negli occhi di lei affiorò un sorriso che però non si estese alle labbra. Più tardi, si ripromise Miles, più tardi avrebbe fatto ridere quelle labbra.
La seconda ondata di navette cominciò a decollare mentre ancora quelle della prima ondata stavano atterrando e Miles pregò fra sé che tutte avessero i sensori in stato di perfetto funzionamento nell'incrociarsi in quella nebbia, perché da quel momento in avanti i tempi avrebbero potuto soltanto diventare ancora più serrati. Intanto la nebbia si stava trasformando in una gelida pioggia che sferzava la pelle come aghi d'argento.
Adesso il punto focale dell'operazione si andava restringendo rapidamente, ridotto com'era ad una questione di macchine, di numeri e di tempi più che di fedeltà, di anime e di spaventosi obblighi; pensando che una mente patologica dal punto di vista emotivo, del tutto priva di amore e di paura, avrebbe perfino potuto definirla divertente, Miles prese a tracciare nella polvere con la mano sinistra numeri relativi alle persone trasportate, in transito e da prelevare… ma il terreno polveroso era ormai ridotto ad un nero fango appiccicaticcio che non conservava a lungo i suoi segni.
– Dannazione – sibilò improvvisamente Tung, mentre l'aria davanti alla sua faccia si faceva indistinta per il rapido susseguirsi di informazioni proiettate olograficamente che i suoi occhi seguivano con la velocità derivante dalla pratica; al tempo stesso, la mano destra del commodoro si contraeva e si serrava come se lui fosse stato tentato di strapparsi dalla testa la cuffia e di calpestarla per dare sfogo alla propria frustrazione. – Questo taglia la testa al toro: abbiamo appena perso due navette nel corso della seconda ondata.
Quali navette? urlò la mente di Miles. Oliver? Tris?
– In che modo? – si costrinse però a chiedere innanzitutto. Giuro che se sono andate a sbattere una contro l'altra andrò a cercare un muro per picchiarvi contro la testa fino a stordirmi…
– Una navetta da combattimento cetagandana ha infranto il nostro cordone. Il suo obiettivo erano le navi da trasporto, ma per fortuna l'abbiamo bloccata in tempo… o quasi.
– Hai l'identificazione delle due navette distrutte? Erano a pieno carico o stavano tornando qui?
– A-4 a pieno carico – rispose Tung, ripetendo le informazioni che gli venivano fornite, – B-7 di ritorno vuota. Perdita totale del carico, nessun superstite. La navetta da combattimento 5 della Triumph è stata danneggiata dal fuoco nemico e il recupero del pilota è ancora in corso.
Non aveva perso i suoi due comandanti: i successori del Colonnello Tremont, che lui aveva scelto e allevato con tanta cura erano al sicuro. Nel riaprire gli occhi, che aveva serrato per l'angoscia, Miles si accorse che Beatrice… per la quale i numeri di identificazione delle navette non avevano nessun significato… stava aspettando con ansia una sua decifrazione.
– Duecento morti? – sussurrò la ragazza.
– Duecentosei – la corresse Miles, mentre i volti, i nomi e le voci dei sei Dendarii in questione gli affioravano nella memoria. Anche i 200 passeggeri dovevano aver avuto un volto, ma lui si rifiutò di pensarvi per non creare nella propria mente un pericoloso sovraccarico emotivo.
– Sono cose che succedono – mormorò ancora Beatrice, in tono stordito.
– Stai bene?
– È ovvio che sto bene. Sono cose che succedono, inevitabili, e non sono una piagnucolosa mezza cartuccia che si terrorizza sotto il fuoco del nemico. – La ragazza sbatté in fretta le palpebre e sollevò il mento di scatto. – Dammi… qualcosa da fare. Qualsiasi cosa.
In fretta, aggiunse tacitamente Miles, al suo posto. D'accordo.
– Raggiungi Pel e Liant – disse, indicando la parte opposta del campo, – dividi i loro restanti gruppi in blocchi di trentatré e aggiungili ai gruppi previsti per la terza ondata, che dovrà salire in sovraccarico, poi torna da me a fare rapporto. Va', presto, perché gli altri saranno di ritorno entro pochi minuti.
– Sissignore – rispose Beatrice, eseguendo un saluto… per se stessa, non per lui: ordine, struttura, razionalità erano adesso una corda di salvataggio. Miles ricambiò il saluto con espressione grave.
– Le navette erano già sovraccariche – protestò Tung, non appena la ragazza fu fuori portata di udito. – Con duecentotrentatré persone stipate a bordo voleranno con la leggerezza di altrettanti mattoni, senza contare che ci vorrà più tempo per caricare qui e per scaricare in orbita.
– Sì. Dio… – Miles rinunciò infine a cercare di tracciare numeri nella fanghiglia: – Analizza queste cifre al computer per me, Ky, perché in questo momento non mi fido di riuscire a sommare in maniera esatta neppure due più due. Quanto saremo in ritardo quando il grosso delle truppe cetagandane arriverà a portata di tiro? Per favore, dammi la valutazione più precisa possibile, senza addolcire la pillola.