Выбрать главу

Fritz Leiber

L’ingegner Dolf

Quest’anno, quando sono andato a New York a trovare mio figlio, che insegna storia sociale in una delle principali università municipali, mi è capitata un’esperienza sconvolgente. Nei momenti neri (e alla mia età succede di averne qualcuno) ripensandoci mi viene da dubitare che i confini fra Spazio e Tempo, nostra unica protezione contro il Caos, siano davvero assoluti, e temo che la mia mente, no, tutta la mia esistenza individuale, possa di punto in bianco e senza preavviso esser travolta da una folata di Vento Cosmico e trasportata in un punto completamente diverso nell’Universo delle Infinite Possibilità. O, meglio, addirittura in un altro universo. E che la mia mente e la mia individualità cambino, per potercisi adattare. In altri momenti, invece, e per fortuna sono più numerosi, penso che la mia sconvolgente esperienza sia stata uno di quei sogni a occhi aperti così vividi e netti a cui spesso cedono le persone anziane; sogni in cui rivive il passato, e specialmente quelle occasioni cruciali del proprio passato in cui una persona avrebbe potuto fare una scelta completamente diversa e migliore di quella che fece, o in cui il mondo intero avrebbe dovuto prendere una decisione diversa da cui sarebbe risultato un altro futuro. Bellissimi, allettanti avrebbe potuto essere turbano spesso la mente di molte persone anziane.

Accettando questa interpretazione, devo ammettere che tutta quella mia sconvolgente esperienza nel suo complesso aveva le caratteristiche di un sogno. Cominciò con sorprendenti, rapide visioni di un mondo cambiato, proseguì per un periodo più lungo durante il quale io accettavo senza riserve quel mondo e ne godevo, e, nonostante alcuni brevi momenti di disagio, avrei voluto che durasse per sempre, e si concluse con orrori e incubi che, fin quando non ne sia costretto, preferisco non menzionare, figuriamoci poi discuterne.

In contrasto con questa interpretazione in chiave di sogno, ci sono momenti in cui invece sono profondamente convinto che quanto mi accade a Manhattan e in un certo famoso grattacielo non fu per niente un sogno, ma un avvenimento reale e che io venni effettivamente a trovarmi su un altro Flusso Temporale.

Da ultimo debbo avvertire che quanto sto per raccontarvi deve, per necessità di cose, essere descritto in retrospettiva, pur essendo consapevole dei cambiamenti connessi, con deduzioni e commenti che in quell’epoca non mi passò mai per la mente di fare.

No, quando accadde, ed ora, mentre sto scrivendo, sono convinto che accadde realmente, un attimo seguì al precedente nel modo più naturale possibile e io non ci trovai nulla di strano.

Quanto al perché accadde proprio a me e quale particolare meccanismo fu il responsabile dell’avvenimento, ebbene sono convinto che tutti, uomini e donne, hanno dei brevi attimi di estrema sensibilità, o, meglio, di vulnerabilità, durante i quali la mente e tutta l’esistenza individuale possono essere travolti dal Vento Cosmico per essere trasportati Altrove. E in seguito, a causa di quella che io definisco Legge della Coservazione della Realtà, riportati al punto di partenza.

Stavo scendendo Broadway, all’altezza pressappoco della 34a Strada. Era una giornata fresca e soleggiata nonostante lo smog, una giornata limpida, e io mi ritrovai senza volerlo a camminare con piglio più vivace del solito, sollevando i piedi davanti a me in quello che poteva sembrare un accenno al passo dell’oca. Inoltre allargai le spalle e aspirai a fondo ignorando i gas che mi pizzicavano il naso. Al mio fianco il traffico rombava e ringhiava, levandosi a volte in una rata-tata di mitraglia, mentre i pedoni si agitavano con quell’andatura da topi affannati caratteristica delle grandi città americane, e in modo particolare di New York. Io ignoravo allegramente tutto questo, e arrivai perfino a sorridere alla vista di uno straccione e di una matura signora impellicciata che attraversavano la strada schivando le macchine con la fredda abilità che si ritrova solo nelle maggiori metropoli americane.

Proprio in quel momento mi accorsi che dall’altra parte della strada si stendeva una lunga ombra. Non poteva esser l’ombra di una nuvola perché era immobile. Alzai la testa fino a torcermi il collo per guardare il cielo, vera immagine del «Hans-Kopf-in-die-Luft» (Giannino Guarda-in-aria) della poesiola tedesca.

Dovetti risalire con lo sguardo lungo tutti e 102 i piani del più alto edificio del mondo, l’Empire State. Chissà perché, mentre lo risalivo con lo sguardo, mi pareva di vedere l’immagine di una gigantesca scimmia dalle lunghe zanne, che si arrampicava tenendo stretta in una zampa una bella ragazza… ma sì, mi tornava alla mente quel divertente film fantastico americano, King Kong, che gli svedesi chiamano invece Kong King.

Poi il mio sguardo si arrampicò più in alto fino alla sommità del grattacielo dove era ormeggiato l’enorme, bellissimo, aerodinamico dirigibile la cui ombra si proiettava sulla strada.

A questo punto è necessario sottolineare che, in quel momento, non fui per niente stupito di vederlo tutto con una sola occhiata — dello Zeppelin tedesco Ostwald, così battezzato in onore del grande pioniere tedesco della chimica-fisica e dell’elettrochimica, il più grande e lussuoso dei più-leggeri-dell’aria che facevano regolare servizio dalle basi di Berlino, Baden-Baden e Bremerhaven. Quel!’ineguagliata e ineguagliabile Armada della Pace, dove ogni componente portava il nome di un famoso scienziato tedesco: Mach, Nernst, Humboldt, Fritz Haber, e poi di uno scienziato francese, Henry Becquerel, di uno americano Edison, della polacco-americana Sklodwska e dell’americano-polacco Sklodowski-Edison. E ce n’era perfino uno che portava il nome di uno scienziato ebreo: l’Einstein! Era la grande compagnia di navigazione in cui io ricoprivo un importante incarico come ingegnere aeronautico ed esperto dei mercati esteri. Mi si gonfiò il cuore di orgoglio per quell’edel-nobile-impresa compiuta dal Vaterland.

Senza bisogno di pensarci, e senza sorpresa, sapevo che l’Ostwald era lungo circa la metà dell’altezza dell’Empire State Building, compresa la torre grande abbastanza da contenere un ascensore. E il mio cuore tornò a esultare al pensiero che la Zeppelinturm (torre dei dirigibili) di Berlino era alta quasi altrettanto. La Germania, pensavo, non ha bisogno di cifre record, le sue conquiste tecniche e scientifiche parlano da sole in tutto il mondo.

Tutto questo durò solo un secondo, e io intanto continuavo a camminare. Mentre riabbassavo lo sguardo, canterellavo fra me «Deutschland, Deutschland über Alles».

La Broadway in cui mi trovavo era completamente diversa, anche se allora mi pareva normalissima come la presenza dell’Ostwald, enorme elissoide tenuta sospesa dall’elio. Argentei camion e autobus elettrici e auto private a non finire passavano col loro ronzio appena percettibile, come pochi attimi prima passavano i rumorosi veicoli a benzina di cui in quel momento mi ero completamente dimenticato. Pochi isolati più avanti un’auto elettrica scivolò silenziosamente sotto l’arcata di una stazione di rapido-cambio-batterie, mentre altre ne uscivano per immettersi nel flusso silenzioso del traffico.

L’aria che aspiravo a pieni polmoni era fresca e pura, senza la minima traccia di smog.

I pedoni, stranamente pochi, camminavano in fretta ma con un’aria dignitosa e beneducata che prima mancava del tutto, e i numerosi negri erano altrettanto benvestiti e sicuri di sé dei caucasici.

L’unica nota un pochino stridente era data da un uomo alto, pallido, emaciato, vestito di nero e con inconfondibili lineamenti ebrei. L’abito era liso anche se pulito, e teneva incurvate le spalle sottili. Mi parve che mi guardasse intenzionalmente, per distogliere subito lo sguardo appena i suoi occhi incontrarono i miei. Chissà perché mi venne in mente che mio figlio, alludendo al City College di New York, CCNY, mi aveva raccontato che adesso lo chiamavano City College Now Yddish (Adesso Ebreo), e non potei far a meno di sorridere alla battuta, anche se era detta e pensata senza malizia. La ben nota tolleranza e larghezza di vedute tedesca ha completamente vinto il vergognoso anti-semitismo di un tempo, tanto più che, ammettiamolo, almeno un terzo dei nostri grandi uomini sono ebrei o hanno sangue ebreo nelle vene. Fra gli altri, tanto per citare i primi che mi vengono in mente, Haber e Einstein. Talvolta nel subconscio delle persone più anziane, come me per esempio, la vista di un paio di occhi neri o di un naso a uncino può suscitare pensieri poco ortodossi, ma sono cose di un attimo, che subito tornano a scomparire nel passato dove sono sepolte.