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L’«Oberkneller» mi corse incontro col menu infilato sotto il braccio, esclamando: — «Mein Herr!». Lusingato di rivedervi. Ho un tavolo per uno con vista sull’Hudson.

Ma in quello stesso momento io avevo scorto una figura giovannile alzarsi da un tavolo in fondo alla sala, mentre una voce nota chiamava: «Hier, Papa!».

— «Nein, Herr Ober» — dissi sorridendo al capocameriere avviandomi — «heute hab ich ein Gesellschafter. Mein Sohn».

E attraversai la sala passando fra i tavoli occupati da eleganti clienti sia bianchi che di colore.

Mio figlio mi diede una forte stretta di mano, sebbene ci fossimo lasciati solo da poche ore, e insisté perché prendessi posto sulla panchetta di cuoio imbottito contro il muro, da cui potevo godere la vista di tutto il ristorante, mentre lui si mise a sedere sulla sedia di fronte.

— Perché mentre mangiamo voglio vedere solo te, caro papà — mi disse con virile tenerezza. — Possiamo stare insieme un’ora e mezzo. Ho già provveduto a far trasportare a bordo i tuoi bagagli. — Che figlio servizievole e premuroso!

— E adesso, papà, cosa prendi? — domandò dopo che ci fummo seduti. — Ho visto che il piatto speciale di oggi è «Sauerbraten mit Spatzel» e cavolo rosso in agrodolce. Ma c’è anche «Paprikahunn» e…

— Lasciamo che la paprika irradi il suo rosso splendore in cucina — risposi. — Va bene il «Sauerbraten».

A un cenno del capocameriere, l’addetto ai vini si era già avvicinato al nostro tavolo. Stavo per impartirgli gli ordini, quando mio figlio mi prevenne con un’autorità e un senso dell’ospitalità che mi riscaldarono il cuore. Scorse rapidamente ma a fondo la lista e: — Zinfandel millenovecentotrentatré — ordinò deciso, non senza però avermi dato un’occhiata per vedere se ero d’accordo. Io annuii con un sorriso.

— E cosa ne diresti di «ein Tropschen Schnapps», tanto per cominciare? — mi propose poi.

— Un brandy? Sì! — risposi. — Ma non una goccia soltanto. Ordinalo doppio. Non capita tutti i giorni di pranzare con un distinto erudito, figliolo mio.

— Oh, papà — protestò lui chinando gli occhi e quasi arrossendo. Poi ordinò al cameriere dai capelli bianchi, fermo in un corretto inchino: — «Schnapps. Doppel».

Ci guardammo con profondo affetto per qualche beato secondo, poi io dissi: — Adesso raccontami più a fondo quello che hai fatto qui a New York nel tuo viaggio-scambio. Abbiamo parlato spesso delle tue ricerche storico-sociali, è vero, ma solo in modo generico e superficiale alla presenza dei tuoi amici e della tua deliziosa mogliettina. Invece vorrei adesso che tu me ne dessi un resoconto più approfondito e particolareggiato, da uomo a uomo. A proposito, nelle biblioteche universitarie di New York hai trovato materiale sufficiente per le tue ricerche? Sono all’altezza di quella dell’università di Baden-Baden e delle altre istituzioni culturali della Federazione Germanica?

— Hanno qualche lacuna — disse mio figlio — tuttavia sono bastate per il mio lavoro. — Tornò ad abbassare gli occhi, confuso. — Ma, papà tu lodi troppo i miei modesti sforzi. Non sono niente in confronto alla vittoria nel campo dei rapporti industriali internazionali che tu hai ottenuto in questi quindici giorni!

— Lavoro normale per la DLG — dissi con aria noncurante, ma mi tastai ancora la giacca per il piacere di sentire sotto le mie dita i documenti infilati nella tasca interna. — Ma adesso smettiamola coi complimenti — proseguii, in tono più gaio. — Raccontami dei tuoi «piccoli sforzi» come li definisci tu.

— Bene, papà — disse guardandomi negli occhi, con un piglio sicuro e professionale. — In questi due anni di lavoro mi sono sempre più convinto della fragilità delle fondamenta su cui si regge il mondo felice e ricco in cui viviamo oggi. Se certi avvenimenti chiave, in apparenza spesso di secondaria importanza, accaduti nel corso dell’ultimo secolo si fossero svolti in modo diverso, se gli eventi avessero seguito un altro corso, oggi tutto il mondo sarebbe forse in preda a guerre e orrori inimmaginabili. È un pensiero agghiacciante, ma ha sempre dominato lo svolgimento del mio lavoro, pagina dopo pagina.

Io sentii in quell’istante l’emozionante tocco dell’ispirazione. Intanto arrivò il cameriere col brandy nei tondi bicchieri di cristallo. Interrompendo il corso dei miei pensieri, levai il bicchiere e dissi: — «Prosit!» — La forza e il calore dell’eccellente «schnapps» rinfocolarono la mia ispirazione: — Credo di comprendere quello che vuoi dire, figliolo __cominciai, indicando le quattro statuette di bronzo che fiancheggiavano l’ingresso del ristorante. — Per esempio — spiegai — se Thomas Edison e Maria Sklodowska non si fossero sposati, e specialmente se non avessero avuto un figlio super-genio, la conoscenza di Edison nel campo dell’elettricità e quella di lei sulla radioattività non avrebbero forse avuto mai modo di entrare in contatto. Non sarebbe mai stata creata l’impareggiabile batteria T.S.Edison che è il principale motore dell’odierno traffico terrestre ed aereo. I prototipi di veicoli elettrici introdotti dal «Saturday Evening Post» di Filadelfia sarebbero rimasti costose rarità. E il gas elio non sarebbe mai stato prodotto dalle industrie per poter compensare la scarsità delle risorse naturali.

— Papà — disse con calore mio figlio — anche tu sei un genio! Hai alluso al più importante degli avvenimenti di cui parlavo prima. Proprio ora sto terminando le ricerche necessarie per stendere una lunga relazione sull’argomento. Lo sai, papà, che ho scoperto con assoluta certezza attraverso alcuni documenti francesi, che nel milleottocentonovantaquattro Maria Sklodowska stava per sposare il suo collega Pierre Curie, e avrebbe potuto quindi diventare Madame Currie, se l’audace e brillante Edison non fosse opportunamente arrivato a Parigi nel dicembre di quell’anno a soffiargliela sotto il naso e a portarla a New York, dove l’attendeva ben altra gloria che non le soddisfazioni dei suoi lavori di ricerca con Curie e Becquerel?

«E poi pensa, papà» continuò cogli occhi accesi — cosa sarebbe successo se il loro figlio non avesse inventato la sua batteria, il più difficile traguardo tecnico, che ha addirittura del miracoloso, raggiunto in tutta la storia dell’industria! Pensa… Henry Ford avrebbe dotato le sue automobili di motore a scoppio funzionanti a gas naturali o a benzina liquida evaporata, invece che a motore elettrico. Non ci sarebbero state le attuali automobili silenziose e pulite, ma altre rumorose, sporche, che avrebbero prodotto gas di scarico velenosi. Auto che funzionano grazie alla pericolosa e nociva combustione della benzina! Ma te lo immagini? Rabbrividisco solo a pensarci.

Solo allora mi accorsi che il tetro ebreo vestito di nero stava seduto a due tavoli dal nostro. Chissà come era riuscito a introdursi nell’esclusivo «Krahenest». Strano che non l’avessi visto entrare, forse in quel momento io non avevo occhi che per mio figlio. La sua presenza, comunque, gettò un’ombra scura anche se passeggera sul mio ottimo umore. «Poveretto» pensai però generosamente «lasciamogli godere il buon cibo e il buon vino tedesco, lo sazieranno e forse porteranno un po’ di sorriso, di sano sorriso tedesco, su quella sua faccia smunta di yiddish». Mi lisciai i baffetti con l’unghia del pollice e scostai la ciocca che mi era ricaduta sulla fronte.