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I due uomini rimasero seduti in silenzio per qualche momento. «Vado a vedere se il servizio riesce ad organizzarci una colazione,» disse Osborne; Geers annuì, ma non si mosse per accompagnarlo.

Era una giornata calda in modo anormale, per quella stagione dell’anno. L’aria era satura di umidità e la nebbia si stava mutando in fitta pioggia. Il mare, verso il largo, era visibilmente più burrascoso. Persino per la Western Scotland, il tempo era eccezionalmente cattivo. Di solito, Fleming si disinteressava del clima, ma adesso lo trovava stranamente in carattere con il dramma in corso e con la crisi di Thorness.

Arrampicandosi sulle rocce dell’isola, udiva di tanto in tanto l’impaziente ululato della sirena di un cacciatorpediniere ed il battito regolare dei motori diesel delle lance, che incrociavano lentamente nei dintorni. Una volta o due, una voce rauca imprecò allegramente, nel tentativo di immettere un poco di buon umore nel compito noioso ed inutile dei ricercatori.

Aveva detto a Preen che aveva bisogno di esercizio, e che avrebbe raccolto della legna per il fuoco. Non aveva parlato della possibilità di ricerche in grande stile dedicate a lui e ad André. Preen appariva evidentemente ansioso di non indagare troppo a fondo nei motivi di quella fuga, e, tuttavia, Fleming riteneva che un uomo con un passato di marciatore della pace non poteva ignorare Thorness o la possibilità che un uomo ed una ragazza, in fuga per salvare la propria vita durante una notte d’inverno, potessero in qualche modo essere collegati a quel posto, ed avere ragioni abbastanza gravi per abbandonarlo.

Ma Fleming non si preoccupava troppo per Preen. La venatura di anarchia che c’era nel comportamento dell’uomo garantiva con una certa sicurezza che non avrebbe pomposamente blaterato sui doveri del cittadino e cose simili. Per un colpo di fortuna addirittura straordinario, essi avevano trovato a poca distanza un alleato perfetto.

Fleming era molto più preoccupato per André. Egli temeva che persino quella costituzione prefabbricata, e scevra di ogni difetto ereditario, che è il peccato originale di tutti gli esseri umani, non riuscisse a combattere la pericolosa setticemia delle mani. A qualunque costo, avrebbe dovuto procurarle un’assistenza competente.

Per tutto il giorno, le imbarcazioni della marina incrociarono nei pressi dell’isola. Nel pomeriggio, la nebbia si alzò tanto da permettere a due elicotteri della R.A.F. di mettere il naso nella zona. Fleming era all’aperto, quando li udì. Allarmato, corse in casa. Afferrò due legni verdi che fumavano nel caminetto, e li immerse in un recipiente che serviva a raccogliere l’acqua piovana, vicino alla porta posteriore della casa.

«Gli elicotteri potrebbero venire a ficcare il naso qui,» spiegò frettolosamente a Preen, «per quanto, io ne dubito. È piuttosto pericoloso gironzolare a bassa quota con questa schifosa visibilità, ed una massa di roccia come questa sotto. Comunque, non è il caso di svegliare la loro curiosità con un camino che fuma.»

Per tutta risposta Preen borbottò qualcosa di incomprensibile e si ritirò in un cantuccio caldo, ad annotare un oscuro volume di testi in Middle English. Aveva fatto del suo meglio per nascondere la propria scontentezza per la presenza continua dei suoi visitatori, ma non intendeva lasciare dubbi a Fleming sul fatto che sarebbe stato felice quando se ne fossero andati.

André sedeva placidamente sul sofà. Dopo una colazione preparata alla meglio da Preen, era uscita con Fleming ed aveva fatto qualche passo. Lo sforzo l’aveva subito stancata, ed ella sembrava temere la solitudine. Così Fleming l’aveva riportata in casa.

Egli era ogni momento più in ansia per lei; non soltanto appariva fisicamente esausta ed in preda a forti sofferenze, ma anche la sua mente sembrava essersi più o meno svuotata. Fleming aveva notato come fosse incapace di fare il minimo sforzo spontaneo, ad eccezione di quelli fondamentali, come mangiare, bere e camminare.

Una volta che Preen era riuscito a trovare alcuni dolci in scatola e glieli aveva offerti, lei aveva semplicemente fissato la scatola, non riconoscendone l’uso. Fleming aveva dovuto mettersene in bocca uno, succhiandolo rumorosamente, perché la ragazza afferrasse l’idea.

Ora, con un orecchio teso ad ascoltare l’eventuale rumore di un elicottero, Fleming sedeva accanto a lei, con un braccio protettivamente allungato sulla spalliera del sofà, e la mano che le toccava la spalla. «Che cosa ricordi di tutto quello che è successo?» le domandò gentilmente.

Essa lo guardò come una bambina stupefatta. «È tutto confuso,» mormorò. «Ho corso. Sono caduta. Nell’acqua.»

Provò a congiungere le mani, e rimase di colpo senza fiato, alla fitta di dolore che la colse.

Fleming si alzò a rovistare sulla mensola del caminetto, alla ricerca di un paio di forbici che Preen teneva lì, in mezzo ad un mucchio di altri oggetti utili. «Non credo che questi stracci con cui ti ho fasciato ieri sera siano stati una buona idea. Temo che le ferite siano in suppurazione. Bisogna che tagli la fasciatura.»

Con delicatezza quasi femminile, cominciò a tagliare la stoffa, cercando di portarla via. Si era chinato sulle mani di lei in modo che non potesse vederlo, e parlava velocemente per distrarla dal dolore.

«Prima della corsa… non ricordi nulla?»

André parlò con aria esitante, non solo perché stava cercando qualche ricordo, ma anche nello sforzo di non gridare per le fitte del terribile dolore. «C’era un campo, una specie di campo, con delle basse costruzioni di cemento e baracche. Eravamo lì, con molta altra gente.»

Fleming aveva ormai tolto la maggior parte delle bende da una mano. Quello che apparve non era bello da vedere. «La macchina… ricordi una macchina?»

«Sì,» disse, come annuendo a se stessa, «era grande e grigia. C’era sempre una specie di ronzio sordo, e spesso molti ticchettii. Erano le cifre che venivano fuori. Ogni cosa era fatta con dei numeri.» Aggrottò la fronte e la sua bocca si piegò, come se stesse per cominciare a piangere per la propria impotenza. «Sono i numeri, che non riesco a ricordare.»

«Bene,» disse Fleming, «possiamo anche andare avanti senza i numeri. Non significano più niente, né per te né per gli altri; quei numeri erano maledetti; sono loro che…»

Si fermò di colpo. La benda dell’altra mano era venuta via facilmente, troppo facilmente. Un intero strato di materia si era staccato con essa. Al di sotto non vi era più la rossa carne viva, ma l’orribile, violaceo colore della cancrena. Egli non era in grado di riconoscerlo, ma aveva qualche idea di come appare una setticemia. Disse ad André di stendere il braccio. La manica del vestito non riusciva a salire oltre il gomito. Il braccio era gonfio, e l’arteria principale spiccava nera sotto la pelle bianca.

«Preen,» egli disse sottovoce, «venga un attimo a vedere, vuole?»

Il loro ospite posò riluttante il libro, e si avvicinò. Dette un’occhiata e poi chiuse di colpo gli occhi, barcollando un poco per la nausea.

«Dio mio!» mormorò, «come può sopportarlo?» Fleming si alzò e condusse Preen accanto alla finestra. Fuori c’era silenzio; la nebbia, ormai familiare, continuava a salire turbinando dal mare. Nessun rumore di elicottero rompeva il silenzio.

«Detesto doverle chiedere un altro favore,» disse Fleming, «ma potrebbe prestarmi la sua barca?»

«Perché?» domandò sospettosamente Preen, «dove vuol andare?»

«A terra.»

«Non reggerebbe il mare fino lì.»

«Va bene, fino all’isola di Skye, allora,» disse Fleming, impaziente, «cercherò di prendere un appuntamento là.»

«Vuol trovare un medico, suppongo. Lo porterà qui? Le mani di quella povera ragazza…» inghiottì, assalito di nuovo dalla nausea.

«Non porterò un dottore, ma qualcosa di meglio. Non porterò nessuno qui, glielo prometto.»