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«Per favore, mamma, non attiriamo l’attenzione,» mormorò, «mi dispiace se questo ti ferisce, ma… ecco, ho le mie buone ragioni.» Spense una sigaretta fumata a metà.

«Certamente, ragazzo mio,» disse la madre, tentando di sorridere, «lo capisco. Ma almeno sei qui; ti vedo. È passato tanto tempo!»

L’amore che traspariva dagli occhi di lei lo irritò. «Mamma,» cominciò, piegandosi verso di lei al di sopra del tavolino, «devo parlare, e forse non avrò molto tempo. Vedi, sto fuggendo. No,» cercò di sorridere, «non sono un criminale. La faccenda è proprio il contrario. Sono criminali quelli che mi corrono dietro.»

Fece una pausa, mentre il cameriere prendeva l’ordinazione. Chiese un doppio whisky, e ricominciò subito a parlare, frettolosamente ed un poco incoerentemente, come se il tempo gli stesse sfuggendo.

Neilson ed Osborne arrivarono poco dopo; i due uomini si erano incontrati fuori del caffè. Neilson salutò il figlio con aria felice, dandogli delle manate sulla schiena e ghignando soddisfatto. «Celebreremo questo incontro con la bistecca più grossa che uno svizzero riesca ad immaginare. E champagne.» Rammentò che Osborne era rimasto silenzioso al suo fianco.

«Le mie scuse, Osborne,» disse, «sono felice di farle conoscere mio figlio… Jan, il professor Osborne è un amico di John Fleming.»

Osborne aveva appena teso la mano per stringere quella di Jan, quando davanti a loro si parò un giovane munito dell’apparecchio per i lampi al magnesio e di una macchina fotografica antiquata ed ingombrante.

«Professor Neilson!» gridò. «Un moment, s’il vous plaît. Una foto, prego. Per la stampa americana.»

Si affaccendò intorno a loro, spingendoli nelle posizioni che desiderava per la posa. Mise Jan in piedi tra suo padre e sua madre seduti, ed Osborne abbastanza scostato, da una parte. Soddisfatto, arretrò verso l’uscita del caffè, guardando nell’obiettivo.

«Bon!» esclamò. Per un attimo il lampo accecò tutti, con la sua violenta luce bianca.

Immediatamente dopo, Jan cadde dal lato di suo padre, gemendo. Il fotografo era già scomparso in strada, e un signore, che fino allora aveva letto il giornale ad un tavolo vicino alla porta, fece scivolare qualcosa di nero e lucido nella tasca interna della giacca, mise il cappello ed il soprabito, ed uscì senza fretta dietro di lui.

I Neilson erano curvi sul figlio, ma Osborne aveva osservato i movimenti metodici e cauti dell’uomo vicino all’uscita. Egli sapeva cosa fosse la cosa nera fatta scivolare nella tasca della giacca ed aveva notato il tozzo cilindro del silenziatore, applicato alla canna della pistola. Si lanciò verso la porta, appena in tempo per vedere una Citroën, con la targa coperta di ghiaccio, raccogliere il fotografo e l’uomo con la pistola ed allontanarsi lungo la strada che costeggia il lago, verso Vevey e la frontiera.

Ritornò verso i Neilson. «Non ci sono riuscito,» disse con tono sollecito, «sono scappati.»

I Neilson non lo udirono. Il loro dolore li aveva isolati, curvi ai lati del figlio morto, come stranamente intenti a cullarlo.

La signora Neilson guardò disperata il marito. «Jan… Jan mi stava dicendo che temeva questo,» gemette, «erano mesi che gli davano la caccia. Prima lo avevano tenuto prigioniero, ma era riuscito a fuggire. Lo facevano lavorare.»

«Ma chi?» esclamò il marito, «dove potevano tenerlo prigioniero?»

La signora cominciò a carezzare i capelli del figlio, sfiorandogli le palpebre. «Ha detto che il nome del paese è: Azaran.»

In una casa discreta, nei dintorni di Berna, Kaufmann stava aggiungendo gli ultimi dettagli al rapporto che avrebbe mandato ai suoi padroni. Il gunman, al lato della scrivania, sogguardava il fascio di dollari americani che si era guadagnato.

«E così, il fotografo è arrivato in ritardo,» disse Kaufmann, «al momento opportuno ce ne ricorderemo. Ma lei è sicuro di aver sparato al figlio dei Neilson prima che parlasse?»

«Non ha certo potuto chiacchierare, dopo che l’ho colpito,» rise l’uomo, «ma ha parlato parecchio prima. A sua madre. E lei può aver parlato con suo marito… e con quell’inglese che il vecchio ha portato con sé. È stato presentato al giovanotto come Osborne.»

Kaufmann sospirò. «Osborne. Doveva succedere. Tutti questi omicidi. Non mi piacciono. Una morte… e bisogna subito organizzarne un’altra. Va sempre avanti così.»

Spinse il denaro verso l’angolo della scrivania; il gunman lo prese e lo infilò nella tasca interna della giacca, a far da cuscino alla pistola.

«Esca dal paese immediatamente,» disse Kaufmann; «quanto a me, dovrò ritornare in Inghilterra.»

André e Fleming furono dirottati verso l’aeroporto della R.A.F., a Northolt, per evitare il problema della pubblicità che avrebbe presentato un arrivo a Londra. Una macchina del governo li aspettava sulla pista, e li portò direttamente al Ministero della Scienza.

Il ministro aveva deciso di occuparsi personalmente dell’interrogatorio, fiancheggiato da Geers, che gli avrebbe riassunto tutti i lati tecnici. Aveva il presentimento che, un giorno o l’altro, alla Camera, sarebbero state fatte delle domande, se il segreto fosse trapelato, e non aveva nessuna intenzione di ammettere delle inefficienze. Ma egli era anche un uomo giusto, e perciò aveva chiamato un avvocato dell’ufficio del procuratore generale, il quale avrebbe garantito che venissero rispettati i normali diritti di un cittadino inglese. A questo punto, per quanto preoccupato, non aveva potuto fare a meno di notare il lato umoristico di tutta la faccenda. La ragazza doveva considerarsi cittadina inglese? Non aveva certificato di nascita, né genitori. Per quello che riguardava l’anagrafe, non esisteva. Sarebbe stata una questione interessante, se questo affare fosse arrivato ad un processo vero e proprio. Il ministro, comunque, sperava ardentemente che ciò non accadesse.

Sua Eccellenza salutò i suoi visitatori con tono gelido. Tuttavia, insistette anche più di quanto non avrebbe voluto sul fatto che il colloquio non era in nessun modo un processo; si trattava soltanto di un’inchiesta non formale.

Fleming, con gli abiti in disordine, e teso a nascondere l’ansia che provava, rise sardonicamente. «Molto poco formale; non ho potuto fare a meno di notare tutti i piedipiatti poco formalmente vestiti in borghese che gironzolavano intorno alla porta, per il caso che mi fossi dato alla fuga. Oh, e c’è anche il mio caro Geers!»

Il ministro lo ignorò e si volse ad André: «Si accomodi, mia cara,» le disse gentilmente, «deve essere molto stanca. Purtroppo tutto ciò è necessario.»

Sedette quindi alla scrivania, e rilesse il breve rapporto del primo interrogatorio fatto da Quadring, giunto per telescrivente.

«Mi hanno informato che lei soffre di un’amnesia,» cominciò, facendo un cenno a Geers. Questi lasciò la sua sedia, alla destra del ministro, e si mise di fronte alla ragazza. «Andromeda,» disse duramente, «certo non avrà dimenticato i fattori connessi con la sintesi dei tessuti viventi? Intende forse dire che non sa nulla delle formule ottenute dal calcolatore, sulle quali ha lavorato, e che hanno permesso alla professoressa Dawnay di costituire della materia viva in laboratorio? E del fatto che il prodotto di quel lavoro è lei stessa?»

André lo guardò ad occhi spalancati, ma tranquilla; con la calma di un bambino. Scosse lentamente il capo…

La faccia di Geers divenne paonazza per la rabbia e la disillusione. «Non vorrà insistere sul fatto che non ricorda niente del suo lavoro con il calcolatore?»

L’avvocato tossì discretamente. «Credo che ora basti, dottor Geers,» disse placidamente. «Non deve preoccuparsi di rispondere a tutte queste domande sul momento,» mormorò quindi ad André.

«Sono d’accordo,» intervenne il ministro, fissando Geers; «la ragazza è sconvolta e sfinita. Forse potremo spiegarle tutta la sua storia in modo più adeguato, e in un’atmosfera più tranquilla.»