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«Mein Frend Kaufmann,» lo canzonò Fleming, ignorando la mano. «Com’è riuscito ad infilarsi in questo posto?»

Kaufmann si raddrizzò. «Rappresento il legale del signor Osborne. Tutto è così difficile, in questa storia. Ma so di aver fortuna: ho incontrato lei.»

Sbirciò attraverso le lenti con aria miope André, sempre seduta in poltrona. «E così, questa è la famosa signorina!» Andò verso di lei, le prese la mano e la sfiorò con le labbra.

«Vedi, mia cara, come sono galanti questi viennesi,» disse Fleming.

Kaufmann si accigliò. «Non vengo da Vienna, ma da Düsseldorf, mein liebe Doktor!»

«Non è passato molto tempo da quando ha fatto il tiro al bersaglio sul suo liebe Doktor,» fece notare Fleming, «non lei, naturalmente. Lei ingaggia altra gente, perché prema il grilletto e faccia spiacevoli viaggi in isole private.»

Kaufmann sembrò genuinamente imbarazzato. «Non sono un operatore libero,» disse, «e non posso agire come vorrei.»

«Ma solo come vogliono i suoi capi della Intel.»

Vi fu, inaspettatamente, qualcosa di triste e amaro nella risposta di Kaufmann. «Alcuni di noi non possono fare quello che vorrebbero.»

Fleming annuì. «Perché l’hanno mandata dietro a noi?»

«Voi avete qualcosa che i miei direttori desiderano.» Kaufmann non riusciva a stare fermo. Andò in punta di piedi alla finestra, e scostò le pesanti tende di cinta. Per un attimo, una luce in movimento illuminò il suo volto. Nello stesso momento, si sentì il rumore sommesso di un motore messo in moto, ed il debole stridore di ruote che frenavano sulla ghiaia.

«Forse è il suo cliente, il signor Osborne,» suggerì Fleming.

Kaufmann scosse il capo. «Il signor Osborne dovrebbe essere già in questa casa. No, professor Fleming, è un furgone. Si fermerà sul retro, nel cortile interno.» La sua voce divenne secca e tagliente. «E ora, prego, verrete tutti e due con me.» Tirò in parte le tende, ed aprì la lunga finestra bassa.

«Non fare caso a quello che dice,» mormorò Fleming tranquillamente ad André. «Resta solo seduta lì.»

«Per favore,» supplicò Kaufmann, «la settimana scorsa ho dovuto far uccidere un giovane, un bravo giovane. Non lo conoscevo nemmeno. A me non piacciono queste cose.»

Si udì un rumore, dal di fuori, ed una figura avvolta nell’impermeabile scavalcò con leggerezza il davanzale. Era un giovanotto sottile, dalla faccia pallida, appena uscito dall’adolescenza. I suoi occhi stretti saettarono per tutta la stanza. La rivoltella nella sua mano era salda come la roccia.

«Muovetevi,» ordinò con una voce sottile e rabbiosa, «fa un freddo del diavolo ed è umido, a stare lì fuori. Cominciamo ad andare.»

Kaufmann si mosse, seguendo il gunman. «Lei la desideriamo vivo, Herr Doktor,» disse, «ma siamo pronti a fare un’eccezione per la signorina.» L’uomo con il revolver lo puntò contro André. Ebbe un movimento studiato del pollice, mentre alzava la sicura. Fleming sapeva che era un puro gesto teatrale, anche se pieno di intenzione. Arretrò fino ad André. Con la mano di lei nella propria, si diresse verso la finestra.

Kaufmann la scavalcò per primo, voltandosi per aiutare André. Il gunman chiudeva la marcia, con la pistola puntata contro la schiena di Fleming. Improvvisamente si volse, sentendo il rumore della porta del soggiorno che si apriva. Gli altri erano già sul terrazzo. Fleming si fermò di colpo, e guardò indietro.

Osborne era fermo sulla soglia, e guardava sbalordito il gunman. Proprio dietro di lui stava un soldato, con le bande rosse della polizia militare.

«Che accidente… chi diavolo…?» tentò di dire Osborne, mentre il soldato lo spingeva bruscamente da un lato. Ma era troppo tardi. L’uomo con la pistola aveva fatto fuoco, una sola volta. Per l’urto del proiettile, Osborne batté contro la porta. Il gunman si volse verso la finestra, e fece di nuovo fuoco a casaccio, mentre si arrampicava per scavalcarla. I proiettili non colpirono il soldato, che si era lanciato in avanti, ma lo obbligarono a gettarsi a terra per cercare un riparo.

Da dove si trovava, soffiò nel fischietto per chiedere aiuto, mentre Osborne scivolava lentamente al suolo, con la mano sinistra aggrappata alla sua spalla, e lo sguardo di sorpresa congelato negli occhi.

«Che cosa maledettamente ridicola…» disse Osborne lentamente e distintamente, poi cadde in avanti.

Fuori, nell’oscurità e sotto raffiche di pioggia, mani invisibili afferrarono Fleming e André. Furono alzati di peso e spinti nell’interno di un furgone. Le porte posteriori vennero chiuse con fracasso, ed il motore messo in moto. Poi, con uno stridore di gomme sforzate, il furgone schizzò via, sobbalzando così violentemente, che a Fleming riuscì impossibile reggersi in piedi. La macchina prese velocità sulla strada diritta che portava al cancello principale. Fleming udì ordini confusi, gridati mentre passavano davanti al posto di guardia, ed entravano nella strada principale. Parecchie volte stettero per rovesciarsi per la velocità con la quale l’autista prendeva le curve senza rallentare affatto, obbligando André e Fleming a giacere sul fondo della macchina e a puntare i piedi contro le pareti d’acciaio per resistere agli scossoni.

Dopo un poco, si misero ad una velocità alta ma regolare. Fleming capì che erano arrivati ad un’autostrada. Maledisse il fatto di non avere orologio, ma giudicò che la corsa durasse da circa mezz’ora… diciamo una sessantina di chilometri dal punto in cui erano partiti.

Il furgone rallentò, piegò verso destra, e di nuovo vi furono tratti veloci, alternati a curve secche. I violenti sobbalzi facevano pensare ad una cattiva strada di campagna o ad una carreggiata.

Cautamente, Fleming si alzò in piedi, e, con l’aiuto della debole luce del suo accendisigari, si guardò rapidamente intorno. Sapeva che era soltanto un gesto. L’interno era tutto di solido metallo; la porta era sbarrata dalla solita saracinesca dal di fuori. Non si vedevano aperture, a parte un piccolo foro, chiuso da una rete, dalla parte del guidatore, che era stato anche coperto.

Il furgone rallentò ansimando, e prese ad avanzare lentamente sul terreno ineguale. Ora sobbalzava violentemente, mentre le gomme non producevano più alcun rumore. Evidentemente, correvano su dell’erba. Poi si fermarono.

Vi fu un attimo di attesa, prima che le porte posteriori venissero aperte. La pioggia stava cadendo fitta. Kaufmann era lì, sorridente, nella luce incerta di una torcia velata e tenuta da qualcuno dietro di lui. Al fianco di Kaufmann stava il gunman.

«Bene, Doktor, vuol essere così gentile da scendere, e la signorina con lei?»

Con tutta calma, Fleming saltò a terra; poi sollevò André. «Il suo amico ha fatto fuori Osborne, che era assolutamente innocuo,» disse a Kaufmann. «Quanto a noi, non direi che siamo proprio innocui; così, mi piacerebbe sapere che programma avete, nel caso nostro, e dove siamo.»

«In un aeroporto appartenuto ai nostri grandi alleati americani,» disse Kaufmann, «le piste sono enormi ed ancora in stato eccellente. Le stiamo risparmiando uno spiacevole processo e la prigione per sabotaggio. Sono sicuro che il suo governo la considera un traditore.» Si tolse gli occhiali, e asciugò le gocce di pioggia cadute sulle lenti.

«Non c’è più tempo per parlare,» aggiunse. Sembrava piuttosto dispiaciuto. «L’aeroplano deve partire immediatamente; andiamo!»

Il gunman si mosse al fianco di Fleming, e Kaufmann aprì la strada. Presto, Fleming poté vedere la superficie lucida e bagnata di un fusto d’aeroplano.

«Benvenuta a bordo, signora — e anche lei, signore,» disse una voce di donna.

Fleming rise a questa follia. La ragazza in cima alla scaletta dell’aereo indossava una perfetta uniforme blu scuro. Era il solito tipo di hostess, agghindata, in ordine, graziosa. Al riflesso rosso delle luci notturne, nella cabina d’emergenza, Fleming vide che si trattava di un’orientale. Svelta, condusse i passeggeri ad una coppia di sedili molto avanti, aiutandoli a fermare le cinture di sicurezza. Ignorò completamente l’uomo con la rivoltella, che andò verso un posto dall’altro lato del passaggio, e si sedette, mezzo voltato verso di loro, con la pistola ancora in mano.