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Kaufmann era sparito attraverso la porta per l’equipaggio. Il motore d’avviamento cominciò a vibrare. Poi, uno dei motori cominciò a ululare, subito seguito dall’altro.

«Un jet!» mormorò Fleming a se stesso. «Bisogna affidarsi alla Intel, per vedere le cose fatte come si deve. Senza risparmio di spesa.»

Il rumore non aumentò. I jet furono portati al massimo ancora frenati; poi smisero con un lungo sospiro il loro crescendo, e ricominciarono ad ululare. L’aereo si mosse lentamente sulla pista.

Appena si furono alzati da terra, salirono impennandosi. Di certo il pilota intendeva stare bene alla larga dai vari campi commerciali, con i loro controlli radar inquisitori. Poco dopo traversarono le nubi, e si trovarono immersi nella fredda luce della luna. Fleming giudicò, dalle poche stelle visibili, che si stessero dirigendo verso sud.

Quando Kaufmann emerse dalla cabina, lo confermò. «Abbiamo appena passato le coste inglesi,» disse raggiante, «ed ora siamo su acque internazionali. Va tutto bene. Vi consiglio di cercare di dormire un poco, dopo che la hostess avrà servito qualcosa. Fra circa quattro ore atterreremo in Nord Africa.»

«In che parte del Nord Africa?» chiese Fleming.

«Non è importante,» disse il tedesco, «soltanto per fare rifornimento. La maggior parte del viaggio verrà dopo. Verso l’Azaran.»

5

Sole e calore

Il giorno spuntò molto prima che l’aereo cominciasse lentamente ad abbassarsi, traversando la frontiera dell’Azaran. Fleming, che guardava avvilito attraverso il finestrino, non trovò nulla che sollevasse il suo interesse. La terra grigio-marrone, piatta ed interminabilmente deserta, si stendeva fino all’orizzonte, dove basse colline disegnavano un contorno ineguale. Di tanto in tanto, si vedeva una nube di polvere, là dove una carovana di cammelli si muoveva lungo le scure file di arbusti che segnano le antiche piste del deserto. A parte alcune macchie simili a stracci, dai contorni più chiari — poche miserabili case intorno ad una pozza d’acqua — il posto sembrava senza vita.

L’ululato dei jet si abbassò fino a diventare un rumore cupo, gli ipersostentatori si abbassarono. Sotto di sé, Fleming vide dei tondi coperchi di serbatoi di petrolio e, non lontani da essi, i tralicci slanciati di qualche gru. Il terreno cominciò a scivolare sempre più vicino, mentre una città diventava visibile, con i suoi bianchi edifici scintillanti nella luce del mattino. L’aereo virò in direzione opposta, e l’orizzonte invase il finestrino di Fleming. Quando l’aereo si raddrizzò, dopo la virata, ebbe appena il tempo di notare un lungo fabbricato grigio, moderno, con il tetto piatto. Era isolato dalla città, a circa otto chilometri da essa.

I jet ripresero forza, divennero regolari e poi si smorzarono. Stavano atterrando.

Un calore leggero colpì i loro volti come un soffio soffocato, quando uscirono dalla cabina. Dei soldati arabi, in tenuta da campo ed elmetti d’acciaio di stile americano, stavano tutto intorno con i mitra imbracciati. Una vecchia limousine inglese, con la verniciatura mimetica tutta screpolata, si accostò all’aereo. Kauffmann, sudando abbondantemente, spinse Fleming e André sul sedile posteriore. Poi sedette accanto al guidatore armato.

Una strada di cemento ben tenuta conduceva direttamente in città. Appena ebbero raggiunto i miserabili quartieri esterni, dove le catapecchie col tetto di lamiera ondulata stonavano oscenamente vicino alle decrepite, ma ancora graziose case di tradizionale architettura araba, la strada si allargò in una grande via centrale, malcurata e gremita di folla. Alcune donne, velate e piene di grazia, conducevano asini mezzo coperti da carichi di panieri. Qualche uomo indossava il costume arabo, ma la maggior parte portava miserabili abiti occidentali.

La bandiera dell’Azaran pendeva da tutti i fabbricati. Qua e là, degli altoparlanti belavano musica orientale, la cui dissonanza veniva aumentata dalle distorsioni dell’apparecchio. Il guidatore entrò in mezzo alla folla, con la mano continuamente sul clacson. Passata la grandissima piazza del mercato, dove centinaia di persone se ne stavano in piedi senza scopo, eppure animate, la macchina si infilò nella stretta entrata di una grande casa. Due sentinelle fissarono impassibili i passeggeri dell’automobile, mentre il conducente la guidava attentamente nel fresco cortile ombroso, attorno al quale la casa era costruita.

Kaufmann scese e disse alcune parole ad un arabo in un perfetto abito occidentale. Quindi sparì attraverso l’entrata senza porta. L’arabo si avvicinò all’automobile, ordinando in un inglese accurato a Fleming e ad André di seguirlo. Quindi li condusse attraverso il cortile verso alcuni gradini ed una porta magnificamente decorata.

«Aspettate qui, prego,» disse, e chiuse la porta dietro di sé.

Fleming fece un giro per la stanza; era piccola, ma con il soffitto alto. Una serie di strette feritoie, chiuse da vetri moderni, permettevano ai raggi del sole di disegnarsi sul pavimento di pietra. Tappeti persiani pendevano dalle pareti. Vi erano comode sedie moderne, come pure fragili tavolini orientali. Su uno di questi stava un vassoio di ottone, con una caffettiera d’argento e delle minuscole tazze. Fleming prese la caffettiera; era calda, e l’aroma di caffè che ne usciva, eccellente. Versò un poco del liquido denso come sciroppo in una tazza, e la porse ad André.

«Che cos’è questo posto?» domandò lei, mentre sorbiva il caffè.

Fleming si tolse la giacca e sbottonò il colletto della camicia. «Un paese molto caldo,» ghignò, «un posto chiamato Azaran, che sembra essere piccolo, ma avido di notorietà. Questa è senza dubbio la residenza favorita di un pascià. A meno che non sia quella di Kaufmann.»

«Non è un cattivo uomo,» disse André.

Fleming la guardò sorpreso. «Hai questa impressione? In fondo hai ragione, ne sono sicuro. Il guaio è la dura crosta che copre la sua indifesa e dolce anima.»

Ma l’attenzione di André era di nuovo svanita.

Vi fu un lieve ondeggiamento tra i tappeti che coprivano l’angolo opposto della stanza, e Janine Gamboul venne verso di loro. Indossava uno strettissimo abito di seta, in un tentativo di apparire fredda e, allo stesso tempo, di attirare l’attenzione.

«Il professor Fleming?» mormorò, fermandosi davanti a lui senza sorridere.

«Chi è lei?» domandò sgarbatamente Fleming.

«Il mio nome è Gamboul,» rispose, volgendosi ad osservare André.

«La padrona di casa?» domandò lui.

Ella non staccava gli occhi da André. «Questa è la casa del colonnello Salim, membro del governo dell’Azaran. Non è potuto venire di persona; è estremamente occupato. Oggi è l’anniversario dell’indipendenza del paese e quest’anno le celebrazioni hanno un significato particolare perché il governo ha rotto gli impegni che aveva per il petrolio. Per evitare ogni interferenza, anche la frontiera è stata chiusa.»

«Un gran giorno, come dite voi,» rispose Fleming, «ed è stato questo Salim che ci ha fatto portare qui?»

Essa si volse lentamente e lo fissò. «Io… cioè, noi vi abbiamo fatto portare qui.»

«Capisco. E voi — al singolare o al plurale — siete la ditta che manda i fiori in tutto il mondo… la cosiddetta Intel?»

«Io rappresento la Intel,» ribatté lei freddamente. Guardò di nuovo André. «E lei è…»

«Una collega,» disse rapidamente Fleming.

Janine Gamboul lasciò errare un’ombra di sorriso sulle labbra sensuali.