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La Dawnay dette un’occhiata ad André, che sedeva silenziosa accanto a loro, immersa nelle sue fantasticherie, sotto l’ombra variegata dalle palme. «Chi potrai avvertire, John?» domandò. «Chi ti ascolterà ora che sanno quello che hai fatto a Thorness?»

«E allora dovremmo restare qui e continuare a lavorare per questa lurida cosa?» domandò lui amaramente.

Ella si accigliò. «Il mio lavoro non è sporco. Sto solo cercando di aiutare della gente, dei comuni mortali, una buona parte dei quali, in questo momento, muore di fame. Forse Salim è un uomo senza pietà, ma i suoi motivi sono buoni. Vuole fare qualcosa per il suo paese.»

Fleming prese una sigaretta dalla scatola che un soldato aveva posto silenziosamente sul tavolino, accanto alla sua sedia, insieme a del succo di frutta ghiacciato. Il servizio, come aveva promesso la Gamboul, era eccellente. Accese la sigaretta e rimase pensosamente a fissare il fumo che saliva in spirali dall’estremità accesa. «C’è una sola possibilità,» disse alla fine, «è probabile che io riesca a rimettere a posto i circuiti con molta facilità; Neilson ha fatto naturalmente un lavoro piuttosto buono, e il giovane Abu Zeki conosce la sua materia. Il calcolatore funzionerà, ma dipenderà in parte dalle informazioni che vi metteremo dentro. Se riuscissi a fargli credere che sto per lui…»

Fece una pausa per bere un sorso della sua bibita. «Questo è stato il mio sbaglio, l’altra volta. Lo avevo attaccato, e non ero realmente in grado di vincere. Ma se io darò ai circuiti della sua memoria l’informazione che essi — la Intel e Co. — sono in realtà contro di lui, i suoi processi logici troveranno di sicuro qualcosa per sconfiggerli.»

«Forse distruggendoli… o distruggendo l’intero paese?» suggerì la Dawnay.

Fleming annuì. «Sarebbe comunque meglio dell’altra alternativa. E cioè che il calcolatore detti legge a tutti attraverso la Gamboul, Salim e quegli altri mascalzoni per i quali lavorano.»

La Dawnay fissò pensosamente André, che se ne stava immobile in un vago dormiveglia. Aveva un aspetto, così abbandonata, molto grazioso e femminile.

«E la ragazza?» domandò.

«Io ho smesso di pensare a lei come a qualcuno di — be’ — non di questo pianeta. È virtualmente un normale pezzo di chimica umana. Il pericolo subentra quando la macchina se ne impadronisce e la usa. Voglio che questo cessi, qualsiasi cosa mi tocchi fare. Devo riconoscere che ormai le voglio molto bene.»

«Non avere per questo l’aria così mesta!» rise la Dawnay.

Egli dette un’occhiata ad André per assicurarsi che non stesse cercando di ascoltare. «C’è di più. I suoi coordinamenti se ne stanno andando. Passa troppo tempo come la vedi ora. E quando si muove, è goffa, come se fosse diventata leggermente spastica. Al principio ho pensato che si trattasse dello shock, o degli effetti postumi della sua esperienza, o delle conseguenze fisiche delle sue ferite. Ma sta peggiorando. C’è qualcosa di errato, nel modo in cui è stata fatta.»

«Vuoi dire che ho sbagliato qualcosa…»

«Non necessariamente tu,» la rassicurò lui. «Ci può essere stato qualcosa di errato anche nella programmazione dei calcoli.»

Smise di parlare. André aprì gli occhi, si stirò pigramente e si alzò a sedere. «Che sole meraviglioso,» disse sorridendo.

Si mosse con qualche incertezza fuori dell’ombra, e cominciò a guardarsi intorno. Fleming e la Dawnay la videro dirigersi verso la porta dell’edificio del calcolatore. La sentinella, che oziava appoggiata al muro, fece un passo avanti, rifletté un attimo, quindi la lasciò passare.

Fleming saltò su dalla sua sedia. «Perché non la fermano?» Fece l’atto di muoversi, ma la Dawnay alzò una mano per fermarlo. «Starà benissimo.»

«Con quello?» esclamò Fleming. «Sei matta.»

«Non sono matta. Lasciala stare lì.»

Riluttante, Fleming si rimise a sedere. Aspettarono pieni di tensione e di timore, mentre i minuti scorrevano.

All’improvviso, il confuso brontolio vibrato che giungeva ininterrottamente dall’edificio divenne più forte e cominciò ad essere accompagnato da un ticchettio ritmico.

«Che diavolo è?» gridò Fleming, balzando in piedi.

L’esclamazione della Dawnay: «È il calcolatore, sta funzionando!» non fu necessaria. Entrambi corsero verso la porta e si precipitarono nel corridoio. Abu Zeki veniva correndo verso di loro.

«Cosa è successo?»

«Non saprei, professor Fleming,» rispose Abu Zeki, «è entrata quella ragazza, si è guardata intorno, e poi si è seduta davanti al pannello di controllo, nell’unità degli schermi.»

Fleming lo spinse da parte. Sullo schermo principale vibravano ondeggianti strisce di luce; folli figure geometriche apparivano improvvisamente, svanivano, e cambiavano di forma. Seduta sulla sedia davanti al pannello stava André.

«André,» chiamò Fleming, arrestandosi per una forza che non riusciva a capire, ma che sembrava paralizzargli le gambe. La ragazza non si voltò. «Andromeda!» urlò lui.

Molto lentamente, essa volse la testa. Il suo volto pallido era illuminato dalla gioia.

«Mi parla!» gridò. «Mi sta parlando!»

«Oh, Dio mio,» gemette Fleming.

Abu tossicchiò. «Devo andare ad informare Mam’selle Gamboul di quello che è accaduto,» disse.

6

Ciclone

Fleming osservava con diffidenza la trasformazione che era avvenuta in André. Lo stato di semiletargia e l’innocenza infantile erano scomparsi. Essa appariva attenta ed avida di attività; e, tuttavia, non sembrava eccitata. Fleming sapeva che il cambiamento era dovuto al calcolatore, ma questa André era diversa dal robot di Thorness: il cambiamento era indefinibile, eppure c’era.

Si sentiva, comunque, un poco confortato dalla franchezza e dalla fiducia che la ragazza dimostrava sempre per lui. Ci pensò tutta la notte, sdraiato sul letto stretto ma comodo, passeggiando per la piccola e linda stanza ad aria condizionata, che gli era stata assegnata. Al mattino aveva deciso; se voleva dimenticare la maledizione che sentiva nella macchina, doveva in qualche maniera cercare di farla funzionare a modo proprio. Questo era quanto aveva deciso di fare: la macchina era l’unico alleato possibile contro i suoi rapitori. Tuttavia, non avrebbe potuto imbrogliarla, se funzionava per mezzo di André; non poteva ingannare lei. Avrebbe dovuto arrangiarsi e cercare di avere come alleata anche la ragazza. Quella mattina le disse tutto ciò che pensava.

Quando ebbe finito, André rise gaiamente. «È molto facile,» disse con sicurezza, «dobbiamo dirle quello che deve fare.»

Fleming non condivideva questa sicurezza. «Non vedo, in pratica, quale sistema usare.»

André divenne pensierosa. «Credo che i fatti stiano così: la vera complessità sta nelle sezioni dei calcoli e della memoria. La memoria è enorme. Ma, quando un calcolo è stato fatto, deve presentarsi, per la valutazione, in una forma molto semplice.»

«Vuoi dire come il bilancio in forma abbreviata, che le società fanno alla fine dell’anno, riassume tutte le complesse attività di un intero anno di traffici?»

Essa annuì. «Credo che sia proprio così. E se il bilancio è truccato…»

«Ci sono! I circuiti logici agiscono come azionisti che leggano il rapporto sul bilancio. Sulla base di quello che vi trovano, decidono la futura politica dell’azienda.»

Fleming si accigliò. «Ma sono sicurissimo, purtroppo, che il nostro rapporto sul bilancio, prodotto dalla sezione della memoria del calcolatore, è già stato bellamente manomesso attraverso il programma formulato dal messaggio originale, quello di Andromeda. E così i circuiti di scelta eseguiranno i loro ordini, non i nostri.»

«A meno che noi non li cambiamo.»

Fleming si alzò e prese a passeggiare per la stanza. «I nostri cambiamenti non sarebbero che degli impoverimenti. Il glorioso risultato non sarebbe che una macchina calcolatrice. Né nemica, né alleata. Non avrebbe significato e nemmeno scopo.»