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La Gamboul gli si era avvicinata, e con il corpo toccava quello di lui. «Come per esempio quella donna, la Dawnay?» suggerì.

«La Dawnay?» L’idea sembrò apparirgli nuova e non preoccupante. «Chiunque potrebbe persuaderlo ad interferire con il vostro lavoro e, allora, tu ed io ne perderemmo il controllo. Dobbiamo prepararci a questa eventualità. Perché credi che sia tornato qui?»

«Stai organizzando un coup d’état!» esclamò Janine, con sorpresa ed ammirazione nella voce; «ed io non lo sapevo.»

Salim si volse e le mise le mani sulle spalle. «Sei con me, non è vero, Janine?»

Ella si avvicinò ancora, fino a che il suo corpo premette fortemente contro quello di lui. «Credevo che lo sapessi,» sussurrò; «quando sarà?»

Salim guardò oltre la spalla di lei, verso i tetti. «Per gli arabi il tempo è solo un servitore. Quando sarà il momento giusto agirò. Forse fra due giorni, una settimana; non di più.»

A causa delle insistenti richieste di Fleming, Madeleine Dawnay chiese che un dottore venisse a visitare André. L’efficiente e perfetta organizzazione della Intel fece sapere loro che entro ventiquattro ore avrebbero avuto un neurologo al campo.

Arrivò il mattino seguente; era un arabo, che accennò con diffidenza alla Dawnay di aver preso la laurea in neurochirurgia alla Radcliffe Infirmary di Oxford e di aver continuato i suoi studi al Johns Hopkins.

L’esame che fece ad André fu lungo e completo ed impressionò Madeleine.

Quando la professoressa aprì la porta della linda e piccola infermeria, alla quale era stato bussato, trovò Fleming. «Non puoi vederla,» disse, uscendo con lui sulla veranda. «Il dottore è ancora occupato; sta facendole una puntura lombare per controllare il liquido spinale. Ma la sua prima diagnosi è molto simile alla nostra. Il sistema muscolare va sempre peggio. Forse qualche ghiandola non funziona, oppure il suo sistema nervoso è diverso dal nostro ed ha bisogno di un nutrimento di sangue che c’era quando è stata costituita, ma ora è esaurito.»

«Vuoi dire che non c’era nell’originale?» suggerì lui.

La Dawnay si strinse nelle spalle. «Non viene prodotto ora,» disse brevemente.

«Potremmo sintetizzarlo?»

«Non saprei da dove cominciare. Se fossi a casa potrei domandare aiuti e consigli…»

«E allora, che cosa succederà?» domandò Fleming duramente.

«André perderà l’uso della muscolatura in modo progressivo. Prima lo si noterà maggiormente per i muscoli degli arti, ma un giorno o l’altro si tratterà di quelli del torace, e poi il cuore.» Si volse a guardare la porta chiusa. «Questo è quanto il dottore le sta ora spiegando. Gli ho chiesto io di farlo.» La sua calma si spezzò d’un tratto. «Sono stata io, io che l’ho fatta! Per farla soffrire così!»

Fleming le afferrò il braccio. «Madeleine. Non l’hai fatto volontariamente. Non pensi a me? Chi è stato a cominciare tutto con il progetto del calcolatore? Chi le ha impedito di morire più o meno in pace in quella caverna?»

La Dawnay non rispose; continuava a fissare la porta chiusa. In quel momento ne uscì il medico. Li guardò un attimo, poi volse gli occhi altrove e si avviò verso l’uscita dei visitatori.

«Dovrebbe essere curata in modo più adeguato; portata via.»

La Dawnay dette in una risata senza allegria. «Mi pare di vederli, mentre le danno il permesso di andarsene di qui. È lei che ha risolto la mia formula per la coltivazione del deserto; essi sanno quanto può essere utile. Ci saranno molte altre cose che dovrà fare per loro.»

«C’è già un’altra cosa,» disse lui, rammentando quello che Abu Zeki gli aveva detto nell’ufficio,

«Che cosa?»

«Non lo so con esattezza,» rispose Fleming in tono pensieroso, «spero solo che ciò che credo sia sbagliato.»

Come per contraddirlo, sei bombardieri a reazione sfrecciarono improvvisamente nel cielo, alzandosi rapidissimi dall’aeroporto. Li fissarono fino a che non furono divenuti dei punti nell’azzurro della volta abbagliante. La Dawnay si asciugò gli occhi. «Sarà meglio che io parli con il dottore, John. Tu va’ a dire qualcosa ad André. Sii gentile con lei.»

Fleming bussò leggermente alla porta di André, aspettando una risposta e quasi temendo di entrare. Venne ad aprirgli una graziosa e minuta infermiera araba, che silenziosamente si fece da parte per permettergli di entrare.

André era seduta contro l’austera spalliera di metallo del letto, e indossava una vestaglia. I fiori a colori vivaci della stoffa accentuavano il suo estremo pallore. Stava appoggiata all’indietro, con il capo piegato da un lato, in modo che i lunghi capelli biondi le coprivano quasi una guancia. Fleming indovinò che aveva pianto.

L’infermiera portò una piccola sedia dura, e Fleming sedette.

«André; Andromeda,» mormorò. «Può esserci qualche soluzione.» Vide i capelli di lei muoversi leggermente, mentre scuoteva la testa. «Abbiamo fatto tante cose insieme,» insistette lui.

Mise delicatamente la punta delle dita sotto il mento di lei, e le voltò il viso. Ella reagì debolmente, allontanandolo e coprendosi il volto con le mani. «No!» supplicò, «credi che io voglia morire? Credi che sia bello sapere che sto facendo quello che voi volete? Distruggendo la mia esistenza proprio come voi avete distrutta quella del calcolatore?»

Queste parole lo ferirono crudelmente. «Non è quello che voglio io,» disse, cercando di controllare la propria voce. «Io sono terrorizzato per te. E addolorato di quello che ho fatto. Voglio solo portarti via di qui, e fare tutto quello che serve.»

«Via?» ripeté André con meraviglia. «Ma perché? Ho fatto quello che ha domandato la Dawnay; ora ha i suoi dati. E ho fatto anche quello che mi hai chiesto tu; ho cambiato i circuiti logici del calcolatore…»

La sua voce morì. Fleming provò una fitta di vera paura; sapeva che era stata sul punto di dire di più.

Le si avvicinò. «Cos’altro hai fatto, André? Cos’altro? Sii franca, almeno con me.»

I modi di lei cambiarono. Mosse il capo, scostando i capelli dal volto. Tentò di sorridere. «Ho capito qual è lo scopo del messaggio che ci è venuto da lassù.»

Fleming si sforzò di vincere la sensazione di terrore primordiale che gli faceva battere violentemente il sangue alle tempie.

«Hai capito cosa?» sussurrò.

«È difficile da spiegare,» disse lei con difficoltà, «non sono una buona traduttrice. Ma so che va tutto bene. Dobbiamo metterci nelle mani della gente che ci proteggerà.»

Fleming lasciò che queste parole lo penetrassero fino in fondo, lottando contro l’idea di aver perso ancora una battaglia. Nella sua eccessiva sicurezza, aveva creduto di aver persuaso André a fare quello che lui riteneva giusto ed a rendere il calcolatore suo schiavo. E invece la ragazza stava tranquillamente affermando di voler obbedire «la gente che può proteggerci.» Gente, la chiamava lei — questa intelligenza al di là dello spazio-tempo dell’universo — come se fossero i suoi fratelli.

Prima che egli potesse trovare delle parole, André si alzò a sedere con un sorriso fiducioso, a dispetto della difficoltà che le costava muoversi.

«Ora che ho visto il messaggio, capisco,» disse. «Voi siete spaventati perché sapete soltanto che il calcolatore può avere del potere su noi tutti; e non sapete perché lo ha.»

«Sei tu la ragione dei miei timori,» disse lui, «ora che il calcolatore è stato indottrinato, l’unico modo che il messaggio ha per farsi strada è attraverso di te. Ecco perché te ne voglio allontanare. Devi vivere in pace finché potrai!»

Ella scosse il capo. «Tu pensi che sia maledetto,» protestò, «non è vero. Ci sta procurando una soluzione, un potere. Se dovrete sopravvivere, avrete bisogno di questo potere. Tutto quello che sta accadendo nel paese è solo il sintomo di quello che sta succedendo nel mondo. Non è importante. Possiamo togliere tutto dalle loro mani e farne l’uso che vogliamo!»