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Canticchiava una canzone d’amore francese, mentre tornava verso di lui ondeggiando. Gli diede un bicchiere, e si gettò in una poltrona reggendo l’altro.

«Mi racconti della sua ragazza,» mormorò, guardandolo al di sopra del bicchiere.

«Abu Zeki non le ha detto tutto quello che aveva bisogno di sapere?» rispose Fleming cupo.

Janine ridacchiò. «Oh, delle cose proprio fantastiche. Così assurde che, naturalmente, io le credo… e voglio saperne di più. A votre santé!» Alzò il bicchiere.

Fleming ebbe un attimo di esitazione, poi bevve un sorso dal proprio. Il sapore forte del whisky sul palato lo fece sentire meglio. Decise di prendere un po’ di tempo. La Gamboul si comportava ancora come se fosse ubriaca, con la voce impastata ed il corpo instabile. Tutto ciò la rendeva ancora più attraente del solito.

«Che cosa ha contro di noi?» gli chiese. «Il fatto che siamo commerciali? Lo sporco che si suppone resti attaccato al denaro?»

«In parte,» borbottò Fleming.

«Non abbiamo dato dei risultati così cattivi, in questo paese. Non c’era niente, quando siamo arrivati. Ora che Salim ha il potere, progrediremo ancora di più.» I suoi occhi brillavano di eccitazione. «Forse diventeremo grandi e favolosi come l’antica Venezia o la Compagnia delle Indie. Ad ogni modo, ben presto nessuno potrà competere con noi. Il mondo intero sarà ai nostri piedi.»

«O a quelli di lei,» osservò Fleming, sorseggiando il suo whisky.

Ella si chinò verso di lui. «A quelli di lei? Perché non mi parla di lei? C’è qualcosa che solo lei sa? Qualcosa che farà?»

I suoi occhi lo fissavano senza un battito di ciglia, malevoli. Egli provò la ridicola sensazione che lo stesse ipnotizzando. Per cancellarla, guardò altrove e finì di bere il suo whisky. Mentre posava il bicchiere, capì di essere stato drogato. Si sentiva le gambe debolissime e non poteva impedire al proprio cervello di vagare senza scopo in reminiscenze del passato. Brancolò per afferrare una sedia che vedeva appena, e vi piombò sopra.

Subito la Gamboul si alzò e si fermò vicino a lui.

«Adesso mi dirai tutto,» ordinò.

Sul principio, egli parlò in modo esitante, non completando le frasi, su argomenti comuni e sconnessi tra loro. Ma, dopo una mezz’ora, la Gamboul aveva saputo l’intera storia.

Sedette, fissando Fleming che, mezzo incosciente, continuò a giacere goffamente sulla sedia per molto tempo, dopo che l’interrogatorio fu finito. Si domandava se questo inglese enigmatico — ma molto attraente — l’avesse in qualche modo ingannata, o fosse stato in grado di resistere all’azione del siero della verità, ma abbandonò questa idea come assurda. Sapeva tutto quello che c’era da sapere sui suoi effetti.

Alzò il microfono del telefono interno, che era sulla scrivania vuota di Salim, e ordinò che Fleming venisse riportato alla sua abitazione. Per se stessa, fece venire una macchina.

Venti minuti più tardi, la Gamboul era davanti alla porta di André. La porta era aperta e c’era, vicino, soltanto una sentinella. Janine chiese in arabo dove fosse la ragazza bianca; l’uomo rispose che era uscita per andare al fabbricato di fronte. Spaventato, aggiunse che non gli era stato ordinato di usare la forza per impedirle di muoversi all’interno del campo.

La Gamboul entrò nell’edificio del calcolatore. Abu Zeki non c’era. Soltanto due guardie camminavano incessantemente su e giù per il corridoio principale. Vide André seduta tranquillamente davanti allo schermo principale, nella sezione della comunicazione.

«Cosa sta facendo qui?» chiese sospettosamente la Gamboul.

André le sorrise. «Stavo aspettando,» disse con voce atona. «Lei. Lei è la scelta logica.» Guardò intenta nello schermo oscurato. «Cosa ha obbligato il professor Fleming a parlare?»

«Lei… lei sa questo?» esclamò la Gamboul.

André annuì. «Tutto è prevedibile. E non c’è dubbio che non ha potuto credere a quanto le ha detto. Ma glielo mostrerò io. Si sieda accanto a me. Non abbia paura; non c’è nulla da temere.»

La Gamboul prese una sedia. André le fece un cenno rassicurante, poggiando le mani sui controlli. Sullo schermo apparve un punto di luce che si estese e poi sparì. Quindi si coprì di una vaga e nebulosa fantasmagoria di immagini in tono indistinto.

«Cosa sono?» sussurrò la Gamboul.

La voce di André suonava piatta e meccanica. «Stia ad osservare, glielo spiegherò. È il luogo dal quale giunge il messaggio. Saprà presto quello che è stato calcolato perché lei lo faccia.»

Fino a tarda notte, le due donne sedettero davanti allo schermo; la fragile, leggera figura di André rigida ed un poco altera; la Gamboul immobile, affascinata, con gli occhi fissi, come se cercasse di assimilare le strane forme che apparivano, diventavano nitide e poi sparivano in una nebbia, mentre il suo cervello assorbiva il basso mormorio di André, che le interpretava per lei.

Abu Zeki fu l’unica persona, a parte le guardie annoiate, che le vide mentre erano lì. Riconoscendo la Gamboul, volse le spalle e se ne andò. Quella donna lo intimidiva e non gli piaceva. Ad ogni modo, aveva sentito parlare della sua intimità con il colonnello Salim. Non sarebbe stato saggio avere delle complicazioni con l’amante del nuovo dittatore.

Andò nella sua stanza, e si sdraiò sul letto. Sapeva che non sarebbe stato capace di dormire bene, in quel momento di crisi. Ebbe un attimo di felicità pensando al mondo nuovo che era nato, quando la radio di stato annunciò il cambiamento di governo. Tuttavia, c’era, in fondo alla sua mente, un ironico presentimento di disastro. Si accorse che derivava dal discorso fatto con Fleming. Fleming gli piaceva; gli piaceva il modo nel quale riusciva a vedere il centro di un problema, al di là di tutte le apparenze: Abu avrebbe voluto imparare ad essere così.

Deliberatamente, sforzò la sua mente a riposare su idee più gradevoli — sua moglie, il suo bambino. Ma non servì. Il brontolio basso del calcolatore sembrava permeare l’aria stessa. Si assopì…

Il brontolio. Allora era ancora al lavoro. Si alzò a sedere e guardò l’orologio. Le lancette luminose indicavano le tre e mezzo. Se le due donne erano ancora là, significava che avevano lavorato per otto ore.

Si alzò. Il cielo, ad est, era già soffuso di rosa. Attraversando il campo, corse verso il calcolatore. Una sentinella, che si era addormentata in piedi, sussultò spaventata. Abu si fece riconoscere e la guardia si riappoggiò al muro.

Nell’interno dell’edificio, le luci erano brillanti e l’aria sembrava calda e pesante, dopo quella tagliente della notte, che veniva dal deserto. Abu avanzò lentamente, in silenzio. Le due donne erano ancora là, e fissavano lo schermo. La voce di André era talmente bassa, che non poté capire quello che stava dicendo, nemmeno quando si fermò a pochi passi da loro.

«Mam’selle Gamboul,» disse, «che sta succedendo? Signorina André, sono io — Abu Zeki…»

Non si volsero nemmeno; avrebbe potuto essere un fantasma senza voce. Ebbe un brivido di paura; tornò indietro silenziosamente.

Quando fu fuori, si fermò un attimo a respirare profondamente la deliziosa aria fresca. Si sentì meglio, con il cervello più chiaro. Capì qual era la cosa più urgente da fare.

Corse verso l’abitazione di Fleming. Davanti alla porta, una sentinella all’erta gli sbarrò la strada. Il soldato chiamò qualcuno dietro di sé e la porta si aprì. Apparve Kaufmann.

«Devo vedere il professor Fleming,» disse Abu.

Kaufmann gli borbottò di entrare. Fleming giaceva abbandonato e completamente vestito sul proprio letto. Due sedie, una di fronte all’altra, mostravano dove avesse riposato Kaufmann, mentre lo sorvegliava.