Выбрать главу

Abu scosse bruscamente Fleming per la spalla. «Professor Fleming,» supplicò, «deve venire subito!»

Fleming mugolò, aprì gli occhi, si stropicciò il viso. «Che ora è?» balbettò.

«Quasi le cinque.»

Fleming saltò a sedere con un sussulto. Dovette lottare contro un senso di vertigine.

«Il professore ha ingerito un po’ di droga,» spiegò Kaufmann, «starà subito bene.»

Fleming si alzò cautamente in piedi. «Cosa è successo, Abu?» chiese, ignorando il tedesco.

«Non capisco proprio quello che sta succedendo,» disse Abu. «Mam’selle Gamboul è venuta al calcolatore ieri sera. Era con la ragazza. Io sono andato a letto. Sono ancora lì, nell’unità di comunicazione. Ho parlato loro, ma non si sono accorte di me. Sembrava che non sapessero che ero lì. Stavano guardando lo schermo principale.»

Fleming si passò le mani nei capelli. «Oh, Dio mio! Avrei dovuto capirlo.» Si mosse verso la porta, ma Kaufmann si fece avanti, mettendo la mano grassa sulla maniglia.

«Ho degli ordini,» disse con imbarazzo.

Fleming sembrò prepararsi a giocare il tutto per tutto. Rapidamente, intervenne Abu. «Deve venire!» gridò a Kaufmann, «è necessario per il calcolatore.»

Kaufmann guardava dubbioso dall’uno all’altro. Era confuso. Il calcolatore era tutto. Il suo compito era sopra ogni altra cosa di servirlo.

«Se deve venire, verrà,» grugnì, «ma io lo scorterò. I miei ordini sono di sorvegliarlo.»

«Maledizione, mi tenga per mano, se vuole,» ringhiò di rimando Fleming, «ma, per amor del cielo, andiamo!» Si volse verso Abu. «Vada a svegliare la professoressa Dawnay,» gli ordinò, «e le dica di venire immediatamente al calcolatore.»

L’aria e la breve camminata gli fecero bene. La confusione che aveva in mente si chiarì, e presto riacquistò il controllo perfetto delle membra. Passò come un fulmine attraverso la porta aperta e si lanciò verso la sezione del calcolatore. Immediatamente, una sentinella gli puntò contro il fucile automatico; Kaufmann si spostò di fianco.

Fleming si arrestò, con la canna contro il petto. In fondo al corridoio illuminato, poté vedere la Gamboul che si alzava dalla sedia. Una Gamboul diversa. Ascoltava mitemente ciò che André le stava dicendo. Poi annuì, e venne verso di loro.

Kaufmann si mise dietro a Fleming e gli afferrò le braccia piegandogliele dietro la schiena. La Gamboul passò davanti a tutti loro come se non esistessero. Teneva la testa alta; sulle sue labbra errava un vago sorriso.

Fleming lottò violentemente per liberarsi. «Fermatela!» gridò, «per l’amor di Dio, non fatela uscire di qui!» Si dimenò ancora più violentemente, ma Kaufmann continuò a tenerlo. «Lei starà con me!»

La Gamboul era uscita intanto dalla porta principale; si udì il rumore della sua macchina che si metteva in moto, proprio mentre Madeleine Dawnay entrava correndo.

Kaufmann lasciò la presa e fece un cenno alla sentinella. «Possono passare, adesso.»

Fleming corse al banco dei controlli e si chinò su André. Ella gli dette un’occhiata, poi si appoggiò alla spalliera, persa nei suoi pensieri. La Dawnay le corse vicino; era allarmata dal pallore di morte della ragazza.

«Che cosa c’è, John? Cosa è successo?» domandò.

Fleming afferrò la sedia girevole e la voltò, in modo che André non potesse evitare il suo sguardo.

«Che cosa hai fatto?» le sussurrò.

La ragazza sorrise serena. «Quello che andava fatto,» mormorò; «mademoiselle Gamboul sa quello che deve fare.» Le sue labbra si piegarono in una smorfia simile al disprezzo. «Lei non ha avuto paura quando le ho mostrato il significato.»

Improvvisamente, tutta la forza e la sicurezza la abbandonarono; si piegò su se stessa, come un bambino malato e impotente.

La Dawnay si chinò su di lei. «È mortalmente malata, John,» disse sottovoce, «lascia che la porti all’infermeria.»

Fleming dette un ordine a Kaufmann. Spaventato e servile, il tedesco si fece avanti e sollevò André per le spalle, mentre Fleming la prendeva per i piedi. La trasportarono all’infermeria, dove Madeleine ordinò loro di uscire, mentre con una infermiera si accingeva a mettere a letto la ragazza.

Kaufmann cercò di parlare a Fleming, ansioso di venire rassicurato; sentiva di trovarsi in qualche modo coinvolto in un disastro, e non voleva essere biasimato. Ma Fleming continuava ad ignorarlo, ed al tedesco sconsolato non restò che andarsene.

Quando la Dawnay ricomparve, trasse subito Fleming in disparte. «È debole, molto debole; come se avesse fatto uno sforzo enorme. Ora si sta addormentando. L’infermiera ci avvertirà se ci sono cambiamenti. Vieni nella mia stanza, farò un po’ di caffè.»

Mentre la macchinetta si scaldava, Madeleine domandò se ci fossero novità da fuori. «Il colonnello Salim si è impadronito di tutto, suppongo.»

«Non so molto,» disse Fleming stancamente, «sono stato drogato questa notte, da quella donna — la Gamboul. Mi ha fatto dire di André. Probabilmente la stessa droga che hanno usato con te a Londra. Dopo di che, deve essere venuta direttamente qui, e deve aver trovato André che la aspettava.»

«Ma perché?» chiese la Dawnay.

Fleming sospirò. «Il calcolatore ha scelto come capo la Gamboul. Io credevo che avrebbe scelto Salim, ma in questo modo è stato più abile. Attraverso di lei, la macchina acquisterà potere.»

«E come?»

«Non lo so. In qualche modo, la macchina le ha rivelato le cose che André non aveva potuto mettere in parole per me. Suppongo che abbia fatto in modo di dare alla Gamboul quella specie di terribile e rapido attimo di rivelazione che si crede abbiano i santi ed i profeti. È tutto così dannatamente logico ed inevitabile. Come dice sempre André, tutto lo svolgimento è prevedibile.»

Il caffè stava bollendo. La Dawnay riempì due tazze, e ne porse una a Fleming. «Prima non avevo avuto mai questa sensazione,» disse, «di tutto che combacia.»

John rise brevemente. «Sai, invece, che io l’ho sempre avuta. Ed ho anche capito che chiedere aiuto a qualcuno, ad Osborne, per esempio, o compiere delle azioni distruttive, non è servito a molto.» Poggiò con violenza la tazza del caffè, rovesciandolo nel piattino. «Ora il calcolatore ha vinto. L’intera faccenda non è più nelle nostre mani… meglio così. Abbiamo finito.»

Come per accompagnare queste parole con un effetto adeguato, una folata di vento passò fischiando sul campo, e con la sabbia che trascinava sembrò grattare sulle mura della casa. La Dawnay andò a chiudere la porta, mentre la sabbia batteva contro i vetri della finestra.

Si interruppe, vedendo Abu Zeki che correva verso di loro. Quando fu entrato, questi si fermò ansante, cercando di riprendere fiato. «Professor Fleming,» riuscì a dire infine, «il colonnello Salim è morto.»

Fleming annuì; non era sorpreso. «E il suo esercito fa man bassa?»

Abu si passò la lingua sulle labbra. «Non lo so. Veramente non capisco nulla. Le sentinelle armate se ne sono andate tutte dal campo. Sono rimaste solo le guardie e gli impiegati della Intel. Ma ora sono armati. Non riesco a capire.»

Fleming si alzò e guardò fuori della porta. «Le dirò io quello che è successo,» disse, «la Gamboul ha preso il controllo. Ha fatto uccidere Salim o lo ha ucciso lei. È perfettamente capace di uccidere, anche se non glielo ordina una forza esterna a lei stessa. Non ci possono essere improvvisazioni, in questo piano; così, se il colpo di stato di Salim è fallito, non si tratta di un errore, ma di uno stadio dello schema generale. Che ne è del vecchio?»

«Il presidente, vuol dire?» domandò Abu. «È ancora nel palazzo. Il messaggio che il colonnello Salim era morto è stato diramato personalmente da lui.»

Un’altra folata di vento passò sul campo. Fleming abbassò la testa e la sabbia gli entrò negli occhi. Si volse a chiudere la porta. «Il presidente diventerà il burattino della signora. Lei tirerà i fili e lui ballerà. Presto saremo tutti marionette nelle sue mani.»