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Fleming, alla ricerca di altre notizie, girò il bottone della radio sull’ululato delle onde corte. Parole, musica, ancora parole arrivavano e sparivano — senza significato per le orecchie occidentali. Finalmente trovò quello che stava cercando: la voce dell’America.

Un disco rumoroso di jazz terminò con fracasso, poi l’annunciatore fece sentire la sua voce, dicendo il nome della stazione. Le notizie che seguirono non avevano significato politico. Come a Londra, ideologie e sventolamento di bandiere erano spariti. Il notiziario riguardava unicamente il tempo.

«Il Weather Bureau degli Stati Uniti,» disse l’annunciatore, «ha preannunciato per oggi altri uragani in movimento verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Si ritiene che siano della stessa violenza di quelli che hanno devastato l’Europa occidentale durante la scorsa notte. Gli scienziati americani parlano di un cambiamento del clima mondiale, paragonabile a quello avvenuto all’inizio dell’età dei ghiacci…»

Fleming spense la radio. La Dawnay si alzò in piedi. «Sarò in laboratorio, se ti viene qualche idea,» disse.

Più o meno deliberatamente, per un paio di giorni si evitarono. Si sentivano entrambi del tutto impotenti, ma continuavano ad ascoltare meticolosamente ogni notiziario, annotando le zone in cui le tempeste erano più violente.

I resoconti sulla forza dei venti erano la guida migliore. La terza mattina, dopo che il bollettino dell’alba ebbe segnalato altre devastazioni in Inghilterra, in Olanda, in Francia ed in Spagna, Fleming tornò al laboratorio della Dawnay. Fu molto impressionato da quello che Madeleine stava facendo. Un lato del laboratorio era stato sgomberato di tutto. L’intera carta geografica dell’emisfero settentrionale pendeva da una parete. Spilli con la cima colorata vi erano stati appuntati, più fitti in una fascia che andava da Gibilterra alle Orcadi, con una specie di grande grappolo in direzione est, rispetto alle Ebridi.

«Salve, John,» lo salutò Madeleine, «vedi che una specie di forma sta venendo fuori benissimo. E non è tutto.» Lo condusse ad un banco lungo la parete, dove parecchie dozzine di provette erano disposte in una lunga fila.

«Kaufmann non ha avuto il tempo di raccogliere tutti i campioni che gli avevo chiesto, naturalmente, ma ne sono arrivati altri dieci ieri notte, molto tardi. Da zone di alto mare vicino all’Inghilterra. Gli ho detto che tutti i campioni dovevano essere bolliti appena possibile, subito dopo essere stati raccolti; questo batterio muore a 100 gradi Fahrenheit. Così non c’è il pericolo che i batteri aumentino lungo la strada.»

Indicò col dito una delle provette. «Questo è il più fitto, viene da Obanshire. La prova non è definitiva, s’intende, ma credo che possiamo accettarla. Ho fatto in modo che André venga portata qui stamattina.»

Fleming sussultò. «Ma è malata,» protestò, «non può aiutare.»

«È malata e fra poco lo sarà ancora di più,» rispose la Dawnay, «quindi la dobbiamo vedere al più presto. Per favore, John, sai che non sono insensibile… ma André deve aiutarci, e io credo che possa farlo.»

Fleming sospirò. «Sei tu il capo; ma la cosa non mi piace.»

Un’infermiera entrò nel laboratorio spingendo una sedia a rotelle, sulla quale stava la ragazza. Fleming tentò un sorriso di benvenuto, mentre le prendeva le mani. Non fu facile; aveva un aspetto disperatamente fragile, con gli occhi enormi nella faccia pallida e tirata.

Fu spaventato nel vedere quanto era andata giù da quando l’aveva vista per l’ultima volta.

L’infermiera la sistemò, quindi la Dawnay cominciò a spiegarle la situazione, mostrandole le provette e facendole notare il fatto che la più densa proveniva dal Minch.

«Che cos’è il Minch?» chiese André.

«Il canale vicino a Thorness, dove tutto ciò ha avuto inizio,» rispose duramente la Dawnay.

«Non è possibile, non ha senso. Non ha nulla a che fare con il messaggio.» Guardò dalla Dawnay a Fleming, meravigliata e dubbiosa. «Il messaggio aveva un piano diverso.»

La Dawnay sbuffò. «Non vi sarà alcun piano diverso, se questa cosa ci bloccherà. Pensaci, ragazza mia!»

«Ma non c’è nulla di tutto ciò, nel calcolatore,» insistette André.

Fleming fece un passo avanti. «Non ora, forse,» disse pensosamente, «ma c’è qualcosa di vagamente familiare in questa bestia. Sono sicuro che c’è. Quanto sei andata avanti con le tue analisi, Madeleine?»

La Dawnay non rispose, ma andò verso la scrivania e prese una cartella. «Tutto quello che ho fatto è stato registrato col sistema binario. Può essere utile?» domandò.

Fleming prese le carte, andò verso la finestra, e si sedette sul davanzale a studiare le cifre. Quindi depose la cartella da una parte. «Conferma il mio presentimento, la mia memoria, o quello che è. È tremendamente simile a qualcosa che conosco già.»

«Allora può essere qualcosa che hai cominciato,» interruppe André.

Egli la guardò sorpreso. «Che ho cominciato?»

«A Thorness. Ecco perché questa macchina non ce l’ha nella memoria.» Fece una pausa, poi si appoggiò all’indietro, come cercando di raccogliere le sue forze. «Quante volte hai tentato di distruggere l’altro calcolatore, prima di riuscirci?» domandò.

«Parecchie.»

«Dopo una di quelle volte, il calcolatore decise di vendicarsi. Con questo batterio.» Gli occhi di lei erano divenuti freddi ed ostili, e dettero a Fleming una sensazione di disperazione. «Avete una grande forza che è stata mandata per aiutarvi e la volgete contro di voi. Non mi ascolterete. Non ascolterete nessuno. Condannerete l’intera vostra razza per non voler accettare. Non c’è niente che possiate fare. Sarete distrutti.»

C’era una specie di rassegnazione disumana, nel tono di lei. Fleming si volse e andò verso la porta. Era avvilito fino al fondo dell’anima.

Per un giorno o due, dopo di ciò, evitò di incontrare chiunque. La Intel aveva messo a disposizione dei suoi internati una biblioteca di prim’ordine, arricchita anche dagli abbonamenti dei maggiori giornali tecnici del mondo. Lesse in modo disordinato, con la mente che registrava a difficoltà le informazioni. I numeri dei giornali erano tutti vecchi; la difficoltà delle comunicazioni, da quando il maltempo era aumentato, aveva interrotto tutti i rifornimenti che non fossero essenziali, malgrado che alcuni trasporti della Intel unissero ancora l’Azaran all’Europa.

Di nuovo, Fleming udì il brontolio del calcolatore, e capì che la cosa aveva costretto André ad andarvi, senza dubbio per ordine della Gamboul. Poteva immaginare perché stesse lavorando la macchina: gli antimissili che erano stati il suo primo trionfo a Thorness. C’era una terribile sensazione, l’impressione di una penetrazione sconosciuta, in tutta questa storia. Si domandò per un attimo in che modo venissero usate le formule, una volta che aveva emesso le equazioni. Senza una giusta interpretazione, erano un gergo incomprensibile persino per un abile ingegnere elettronico. Ma, naturalmente, c’era Abu Zeki. Fleming era stato subito dell’opinione che egli fosse bravo come qualsiasi presuntuoso ben pagato di un paese qualunque; quindi non era sorprendente. Gli arabi erano stati quelli che avevano inventato l’intera base della matematica, come la moderna civiltà la conosceva.

Fleming rifletté molto su Abu; non su Abu come prodotto di prim’ordine di un’era tecnologica, ma su Abu uomo. Egli era naturalmente onesto, di animo gentile, e fornito di immaginazione. Il suo patriottismo era fiero e nazionalistico, ma il giovane non lasciava che le emozioni sopraffacessero completamente la sua ragione.

Fleming balzò dal letto, sul quale era rimasto buttato, avendo preso una decisione. Alzò il telefono interno. In una battaglia quasi persa, avere un alleato era meglio di niente. Avrebbe chiesto ad Abu di trovare del tempo per parlare a lungo, senza interruzioni.