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«Vuoi dire Fleming,» disse il ministro.

Osborne lo ignorò. «Dal momento che un’intelligenza ci manda, da qualche recesso dello spazio, un torrente di dati tecnici, tali da metterci in grado di costruire obbedientemente una creatura antropomorfa, che guidi la sua macchina, chi può credere in buona fede che l’intero affare sia per il nostro beneficio, e non per il suo?»

Il ministro accese una sigaretta. Non poteva fare a meno di essere un poco impressionato dall’argomento. «È questo che pensava Fleming?» domandò.

«Che fosse un tentativo per sopraffarci? Sì. Non sto dicendo che abbia fatto saltare in aria il calcolatore, ma, se lo ha fatto, io, per quello che mi riguarda, non lo biasimo. Ringrazio invece Dio che non sia caduto nelle mani di qualcun altro.»

Il ministro era un uomo dalla mentalità semplice; non amava le discussioni morali; le persone se la cavavano meglio quando veniva detto loro soltanto quello che dovevano fare. «La patria a torto o a ragione, la mamma sobria o ubriaca,» era un detto che aveva udito quando era ragazzo. Lo trovava molto giusto.

«Da quale parte stai, Osborne?»

Osborne gli indirizzò un sorriso vago. «Da quella perdente, di solito, signor ministro.»

Il suo capo sbuffò disgustato. «Avevo sperato che avresti contribuito con qualcosa di utile. Avevo torto. Forse Geers si è dato dattorno abbastanza da scoprire cosa diavolo è successo nel posto del quale si suppone che sia il direttore.»

Il ministro premette il pulsante del citofono, e chiese ad un segretario di metterlo in linea con Thorness. Osborne prese questo gesto come un congedo, ed uscì lentamente dall’ufficio. Personalmente, era piuttosto sorpreso di essere ancora un uomo libero. Mai, prima di allora, nella sua carriera minuziosamente pianificata e tranquilla di funzionario di stato, aveva permesso ai suoi sentimenti di influire sul suo senso del dovere. Tuttavia, tenendo conto di quanto era accaduto, non sentiva alcun rimorso. In effetti, aveva aiutato Fleming, e la sua unica preoccupazione era ora che nessuno potesse provarlo.

Camminando lungo un corridoio verso il proprio ufficio, si permise un sorriso di divertimento, al pensiero di come si sarebbe sentito Geers in questa mattina di crisi.

Geers era un carrierista. Come direttore di Thorness, egli era il delfino fortunato e aureolato di gloria dei Ministeri della Difesa e della Scienza. Al momento giusto, aveva saputo saggiamente ripiegare su un entusiasmo alato per l’esperimento Dawnay, dopo parecchi giorni sprecati in un’opposizione ostinata, a favore della missilistica. Geers era un uomo che sapeva da quale parte il pane è imburrato. Egli aveva virtualmente reso possibile a se stesso il piacevole miracolo di averlo imburrato da tutte e due le parti.

Ma ormai laggiù, nella lontana Scozia, Geers cominciava ad intravedere l’immagine di un autocrate torturato e brutalizzato. Malgrado i messaggi frenetici che continuavano ad arrivare nei suoi alloggiamenti, durante tutta la notte, si era vestito lentamente ed accuratamente come al solito, con il colletto della camicia scomodamente rigido, e la cravatta ben alta col suo nodo piccolo e preciso. Ma l’impressione di pompa dignitosa che egli considerava essenziale ad un funzionario-chiave della tecnocrazia scientifica della nazione era rovinata dallo sguardo spaventato degli occhi stanchi dietro gli occhiali, dal velo scuro di una barba rasata non perfettamente, e dalla bocca irrigidita.

Sedette davanti alla vasta scrivania di metallo pulitissima e priva di carte, ma ornata da molti telefoni, e fissò i visitatori che aveva fatto chiamare: Fleming e la Dawnay.

Madeleine Dawnay sedeva in una poltrona vicino alla finestra. Il suo viso piuttosto maschile era vagamente giallognolo, ed i suoi occhi vuoti per la stanchezza e la malattia. Si era aggiustata la gonna strettamente intorno al corpo emaciato, sentendo la mancanza del tepore uniforme dell’infermeria. Con aria riconoscente, sorseggiava una tazza di caffè che la segretaria di Geers le aveva portato.

I suoi occhi si muovevano pensosi da Geers a Fleming, che si appoggiava alla parete dell’ufficio. Non disse nulla, malgrado lo sguardo di muto appello che Geers le rivolse.

«Tutta Whitehall mi sta addosso,» cominciò lamentosamente Geers. «Il ministro della Difesa è sempre sul punto di scoppiare dalla rabbia, metà dei funzionari del Ministero della Scienza mi segnano a dito, e io non so nemmeno cosa sia successo.»

La Dawnay poggiò accuratamente la tazza di caffè sul davanzale della finestra. La breve azione fisica sembrò costarle uno sforzo. «Nemmeno io so quello che è successo,» disse quietamente.

«Osborne è arrivato alla stazione subito dopo le dieci. Con qualcun altro. La ragazza delle pubbliche relazioni li ha accompagnati nella stanza del calcolatore. Dio sa perché, ma, dopotutto, io sono soltanto il direttore qui. In seguito, quando Osborne ed il suo ospite ebbero segnato il proprio nome sul registro, l’operatore di turno chiuse a chiave per la notte.»

«E Osborne tornò a Londra?» Fleming aveva un aspetto migliore, adesso; si era sbarbato ed aveva fatto il bagno; i suoi soliti calzoni sportivi, la camicia di flanella ed il pullover apparivano almeno moderatamente puliti. Aveva l’aria più scoraggiata che stanca, ma, al lato degli occhi e della bocca, si notavano ancora i segni dello shock.

«Sì,» disse Geers, «nessun altro è entrato nel fabbricato del calcolatore, ad eccezione della ragazza, Andromeda. Dopo un po’ che stava là dentro, il caporale di guardia ha creduto di sentire odore di bruciato. È entrato nella stanza di controllo principale, e ha trovato il posto in un disordine tremendo e saturo di fumo.»

«E dove stava André?» chiese la Dawnay.

«Era uscita dalla porta d’emergenza, secondo il caporale. Ad ogni modo, lei, o qualcun altro, aveva perso un guanto. Un guanto da uomo.»

Si volse e fissò Fleming, estraendo improvvisamente un guantone di pelle dal cassetto della scrivania: «Il suo.»

Fleming non si scomodò a guardare.

«Così, lei sa tutto,» disse Geers, «soltanto due persone sanno: lei e la ragazza. La ragazza è morta.»

Fleming annuì. Con lentezza esasperante ripeté: «La ragazza è morta. Proprio così.»

«Non proprio,» disse Geers, adirato. «Deve rispondere ancora ad alcune domande. Lei è l’unica persona, Fleming, che desiderava la distruzione del calcolatore. Lo ha sempre desiderato. Le posso fare presente che il suo schedario segreto è pieno di istanze in questo senso, sulle quali si è consumato la bocca. Sono felice, però, di poter dire che è l’unico. Gli altri hanno un maggior senso di lealtà, ed una visione più vasta delle cose.»

La Dawnay protestò: «Ritengo che alcuni di noi cominciassero ad avere dei dubbi.»

Geers si volse a guardarla, incredulo; stava per aprire bocca, quando il citofono prese a ronzare.

«Il maggiore Quadring è qui, signore,» disse la voce della segretaria, «ha con sé il rapporto del comando dei marines sulle ricerche nell’isola.»

«Bene,» rispose Geers, «lo vedrò nel suo ufficio.»

Si alzò e andò verso la porta. «Lei rimanga qui, Fleming,» ordinò. Meno bruscamente, avvertì la Dawnay che avrebbe cercato di non trattenerla troppo.

Quando la porta si fu richiusa, Fleming attraversò la stanza e, fermandosi accanto alla Dawnay, guardò fuori della finestra.

«Non ha diritto di trascinarti in quest’affare,» disse, «tu non stai ancora bene.»

Essa rise brevemente. «Io sto bene; sono un vecchio animale robusto. Devo esserlo, o non sarei qui. Ma, dimmi, John, cosa è accaduto veramente? L’hai fatto, è vero?»

Egli continuò a guardare fuori della finestra. «Non vorrai caricarti anche di questo.»