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«Il calcolatore la conoscerà.» Fleming non raccolse il sarcasmo. «Mi rendo conto che non è lo stesso calcolatore, ma è pure riuscito a ricostruire la formula per quello originale e, comunque, André ed io lo abbiamo fatto funzionare. Possiamo farlo di nuovo per ottenere un antidoto.»

Prima che la Dawnay rispondesse, Abu rientrò. Si fermò accanto alla porta, tenendola aperta, mentre l’infermiera spingeva dentro André sulla sua sedia a rotelle. Fleming era abituato a trovare la ragazza ogni volta più debole, ogni volta più simile ad un’ombra. Ma non era abituato al modo in cui ora lo stava fissando, con occhi pieni di rancore.

«Benissimo, infermiera,» disse, senza guardare André, «la lasci qui. La chiameremo quando sarà ora di riportarla indietro.»

La ragazza rimase ferma. «Non dovrebbe stare qui, signore; l’avevo appena messa a dormire.»

Abu si intromise. «La prego, stia tranquilla, è tutto regolare.»

L’infermiera aggiustò la coperta intorno alle gambe di André e se ne andò a malincuore. Appena la porta si fu richiusa, Andromeda chiese perché l’avessero fatta chiamare; la sua voce era poco più che un sussurro, e così rotta che si capiva con difficoltà.

«Abbiamo bisogno di un’altra formula del calcolatore,» spiegò Fleming, «un altro batterio o forse un virus. Dovrebbe uccidere il primo e funzionare nel modo opposto. Dovrebbe liberare l’azoto contenuto nell’acqua.»

«E dovrebbe riprodursi con maggiore rapidità dell’altro batterio,» aggiunse la Dawnay; «si tratta di un altro caso molto complicato di biosintesi, di un altro processo che crei la vita. È per questo che ho bisogno della formula.»

André aveva ascoltato con intensità impressionante, guardando dall’uno all’altro e pendendo da ogni parola.

«Ma perché?» protestò.

Fleming perse il controllo. «Per l’amor di Dio!» gridò. La Dawnay mormorò una parola di avvertimento e, con una certa difficoltà, egli si calmò. Quindi, inginocchiandosi accanto ad André, lentamente e pazientemente le spiegò come i batteri esistenti stessero cambiando il clima del mondo e rendendo impossibile agli uomini di respirare, come primo passo verso una totale distruzione della vita. «È per questo che abbiamo bisogno solamente di un altro piccolo batterio da allevare in grande quantità, per contrattaccarlo,» terminò.

Ancora una volta, ella scosse il capo. «Non è possibile,» sussurrò.

«Ascolta,» disse Fleming con aria convincente, «se ha potuto farne di una specie, ne può fare anche di un’altra, e salvare tutti noi.»

I suoi grandi occhi si fissarono in quelli di lui. Impercettibilmente, persero un poco della loro durezza ed ostilità. «Salvarvi?» cercò di dire ad alta voce. «Ed io?» Tentò di muovere le mani dal grembo per portarle al viso. Lo sforzo eccessivo la costrinse ad appoggiarsi all’indietro.

«Se ne trovassi la forza, dovresti provarci.» Era la Dawnay che la pregava, ora.

«Non lo so,» scosse debolmente la testa. «Prenderebbe troppo tempo.»

Fleming guardò al di sopra della testa di André, verso Madeleine. «È vero?» mormorò.

Involontariamente, questa dette un’occhiata alla ragazza. «Non so,» disse, «André è…» si trattenne in tempo. «Se intendi dire che prenderebbe troppo tempo il necessario lavoro di laboratorio, è un’altra questione. Ci sono ancora ventiquattro ore in ognuno dei giorni che ci restano — anche se non si sa quanti saranno — ed a me non piace dormire troppo.»

Entrambi guardarono di nuovo André. Due persone che insistevano per farle fare qualcosa che sembrava impossibile. L’ombra di un sorriso sfiorò le sue labbra, ed ella annuì.

Fleming si volse verso Abu: «Chiami l’infermiera per farla rimettere a letto,» disse, «è l’unico alleato che abbiamo, povera bambina… Dica anche a quella ragazza che la porti alle nove di domani mattina al calcolatore. Cerchi di spiegarle che non siamo dei sadici. Le dica quanto sia necessario tutto ciò. Può anche spaventarla un poco, e farle sapere che pure lei morirà, se questo fallisce.»

La persuasione — o l’intimidazione — di Abu funzionò. L’infermiera condusse obbedientemente la carrozzina di André nell’edificio del calcolatore, poco dopo le nove, il giorno seguente. La ragazza disse quindi che André era troppo debole per muoversi, e che avrebbe dovuto lavorare all’interpretazione dello schermo rimanendo sulla sedia a rotelle.

Soltanto Fleming era presente. La Dawnay aveva troppo poche speranze per avere voglia di stare a guardare ed Abu era rimasto nell’ufficio principale, in modo da poterli avvertire se si fosse avvicinato Kaufmann o la misteriosamente silenziosa Gamboul. Una cosa che avrebbe dovuto sembrare molto inquietante, a Fleming, se non fosse stato unicamente preoccupato del problema principale, era il modo in cui la Intel pareva lasciarli liberi di occuparsi delle loro cose.

Con una certa esitazione, André mise le mani sul pannello dei controlli. Il calcolatore era entrato in attività emettendo il solito brontolio, appena ella era arrivata nel corridoio, ma lo schermo si era illuminato molto lentamente. Le immagini che vi si vedevano erano velate e, persino quando Fleming tirò le tende della finestra, le figure rimasero quasi indistinguibili. Vide, però, André che alzava il capo verso lo schermo; la vide aggrapparsi ai comandi, come se questi potessero infonderle un supplemento di forza. Il suo sforzo di concentrarsi era patetico. Un attimo dopo, lasciò la presa. Il corpo si abbandonò, la testa le cadde in avanti. Cominciò a parlare in modo confuso, mentre i singhiozzi le scuotevano le spalle.

Fleming si chinò su di lei. «Non riesco a seguirli,» la udì dire, «portatemi via di qui.» Poi, come parlando a se stessa: «Non voglio morire.»

L’infermiera si avvicinò, spingendo Fleming da parte. «Ha fatto abbastanza, anzi troppo; non potete chiederle…» Bruscamente, afferrò la sedia ed allontanò André dallo schermo.

Fleming non si mosse affatto. «André,» disse con calma, «nessuno di noi vuole morire, ma toccherà a tutti, a meno che qualche miracolo non ricrei l’aria sul mare.»

La ragazza alzò la testa con sforzo. «Voi morirete insieme. Io morirò sola.» Fleming le prese le mani per confortarla, ma André lo allontanò con il braccio. «Non mi toccare,» disse, «devo sembrarti orribile…»

«No!» disse Fleming intensamente, «mi sei sempre sembrata bellissima. Fino da quando… da quando siamo fuggiti da Thorness. Ma cerca di pensare, te ne prego. Solo tu puoi salvarci ora. Io non so nemmeno cosa stia facendo questa macchina adesso. Il potere è ancora nelle mani della Gamboul?» Indicò la massa del calcolatore davanti a loro e André annuì con la testa. «Allora perché non viene mai qui?»

André rimase un attimo in silenzio, radunando le proprie forze. «Non ne ha bisogno. Ha già visto il messaggio. Il calcolatore l’ha messa sulla strada giusta. Non tornerà indietro. Né verrà qui. Non ha bisogno di niente altro. Io non ho potuto mostrarle più niente. Ormai riesco appena a vederlo.» I suoi occhi si levarono interrogativi verso lo schermo vuoto. «Tornerò quando avrò riposato.»

Senza chiederne il permesso, l’infermiera cominciò a spingere via la sedia a rotelle. Questa volta, Fleming non la fermò. Le guardò scomparire attraverso la porta principale e, per un intero minuto, rimase dov’era, nel silenzio dell’edificio deserto.

Improvvisamente, sussultò. La stampatrice di uscita stava funzionando. Ticchettava rapidamente, poi si fermò. Ricominciò di nuovo. Questa volta i tasti si muovevano più lentamente, ma non si fermarono. Egli andò alla sezione ed afferrò la striscia corta di carta già stampata.

«Piuttosto intricato,» decise dopo averlo scorso, «ma sembrano comunque già adesso dei dati biologici di qualche tipo.» Andò a dirlo alla Dawnay. Era una cosa molto normale, questa analisi preliminare. Ma, nelle sue inferenze, appariva tremenda. Dimostrava che, dopotutto, André voleva aiutare, e che la Dawnay avrebbe ancora potuto compiere il miracolo, se ce ne fosse stato il tempo.