Выбрать главу

«Sono finita,» sussurrò André, indovinando il gesto di lui.

Fleming ritrasse la mano. «No, non lo sei,» disse ad alta voce. «Abbiamo ancora un sistema o due da usare. C’è qui Neilson. Il padre dell’uomo che ha costruito il calcolatore. Mi ha fatto capire le cose che si sarebbero dovute fare subito. Che noi avremmo dovuto fare. Bisogna che la macchina aiuti anche te, come ha fatto per noi.»

Si rialzò. «Affidati a me,» le ordinò, «lo hai fatto prima d’ora. Questa notte dormirai. Domani verrò per te; ti porterò al calcolatore. Sì, lo so,» esclamò interrompendo il suo tentativo di protestare. «Sei debole; hai avuto un collasso questa sera. Ma io starò con te e ti aiuterò.»

Non credeva veramente di poter fare qualcosa, ma sperava che André riguadagnasse un poco di forza con il suo ottimismo. La ragazza si mosse, come per rilassarsi e mettersi più comoda. Le sue palpebre si abbassarono e poi si chiusero; il suo volto assunse la calma del sonno naturale.

Fleming andò alla porta, facendo cenno all’infermiera di seguirlo. Quando furono fuori, le parlò con calma, raccomandandole di non spaventarsi e non tradirli. «Siamo tutti in pericolo,» spiegò, «e la sua paziente sta cercando di salvarci. Ma tocca a noi salvare lei. Abbia fiducia in me, ed io lo farò.»

A malincuore, la ragazza fece cenno di aver capito. Fleming desiderò di poter convincere se stesso con altrettanta facilità.

Dormì poco, quella notte, ma rimase sdraiato cercando di preparare un nuovo piano d’azione per il poco tempo che era rimasto. Quando si fece giorno, si alzò ed eseguì con deliberata lentezza tutte le operazioni mattiniere, doccia, rasatura e colazione, per dare ad André la possibilità di sfruttare ogni prezioso secondo di riposo dopo il collasso della notte precedente. Tuttavia, arrivò in anticipo. Le sentinelle assonnate, rassegnate ad aspettare un altro paio di ore prima che fosse dato loro il cambio, lo guardarono stancamente quando, accompagnato dall’infermiera, spinse la sedia a rotelle di André verso l’edificio del calcolatore.

Dopo il vento forte ed ancora tempestoso che c’era fuori, l’aria, all’interno, sembrava pesante e priva di vita. Malgrado il condizionamento, l’aroma dei sigari di Kaufmann aleggiava ancora. Fleming temette quasi che apparisse all’improvviso, per sapere cosa stesse succedendo. Ma gli uffici erano vuoti. Probabilmente, il tedesco aveva gironzolato lì intorno riflettendo. Fleming sperava che quel poco di coscienza che gli restava si fosse messa al lavoro.

André non aveva detto nulla, quando era andato a prenderla. Se non fosse stato per un sorriso, in risposta al suo saluto, avrebbe potuto sembrare in trance. Dopo aver mandato via l’infermiera ed aver fatto sedere André di fronte allo schermo, Fleming si rassegnò all’idea di cercare soltanto di istillare la propria convinzione nella mente della ragazza, senza pretendere da lei nessuna reazione.

Così fu. Le disse quello che la Dawnay riteneva non funzionasse nella sua costituzione, e come entrambi si sentissero colpevoli di tutto questo. Fece un quadro poco realistico e ottimista di ciò che la vita avrebbe potuto essere, se la ragazza avesse potuto aiutare Madeleine a salvarla. Verso la fine del discorso, simulò perfino qualcosa di simile all’ira, sfidandola a provare il suo potere.

André sedeva con la testa bassa e le mani abbandonate senza forza in grembo. Solo il raro battere delle palpebre provava che era sveglia e che ascoltava. Dopo un poco, Fleming smise di parlare, non sapendo più cosa dire. Vide che André tentava di tirarsi su. Una mano fu sollevata con terribile lentezza verso il pannello dei controlli. La macchina cominciò a borbottare piano. Un punto luminoso piccolo come una capocchia di spillo apparve sullo schermo; impallidì, quindi si espanse. Fleming si allontanò fino alla parete opposta, senza toglierle gli occhi di dosso. Quindi si fermò, pieno di tensione, immobile, continuando a fissarla. L’impossibile stava succedendo.

Dopo qualche tempo, si sentì tirare per la manica. Abu stava accanto a lui, con aria confusa e piena d’attesa. Fleming scosse la testa in direzione dell’ufficio, e vi si diressero silenziosamente.

«Che c’è?» cominciò Abu, «André è…»

«Credo,» disse Fleming, non sapendo, in realtà, cosa Abu avesse voluto dire. Distoglieva di controvoglia la sua attenzione dalla ragazza. «Che novità ci sono da voi?»

«Sono andato a casa dopo mezzanotte,» disse Abu, «sono dovuto passare per il posto di guardia. Ma ho avuto l’impressione che l’ufficiale pensasse che io potevo uscire senza scorta. Mio cugino Yusel era arrivato a casa proprio prima di me. Abbiamo messo il professor Neilson in un posto dov’è abbastanza al sicuro: una grotta in alto, sopra il tempio, proprio dove si trova lo strapiombo. Ci starà abbastanza comodo, dato che non deve muoversi troppo. È stato difficile per lui arrivarci. L’aria, lassù, sta diventando più rada, come Yusel dice che in Inghilterra è già anche al livello del mare.»

«Ha da mangiare e da bere?»

Abu annuì. «Lemka o sua madre andranno da lui regolarmente.»

Fleming fece un cenno soddisfatto con la testa. «È generoso da parte di tutti voi,» mormorò.

«Il giovane dottor Neilson è stato gentile con me,» disse Abu, «noi lo amavamo molto.»

Entrambi si interruppero improvvisamente. La stampatrice di uscita aveva cominciato a lavorare. I pensieri di Fleming corsero immediatamente ad André. «Chiami l’infermiera perché la porti subito a letto,» ordinò. Andò verso la ragazza e le mise un braccio intorno alle spalle. «Bene!» disse, «adesso riposa… e chiudi.»

Strappò la striscia di carta che usciva dalla fenditura e scorse rapidamente le cifre che la coprivano. I dettagli significavano poco, per lui, ma il significato generale era abbastanza chiaro. Riguardava gli elementi costitutivi del plasma. Ancora per dieci minuti stette a guardare le altre cifre che uscivano. Finalmente, il motore si fermò, e il calcolatore rimase in silenzio.

La Dawnay stava lavorando al banco del laboratorio, in mezzo al suo solito incredibile armamentario di apparecchi dall’aria arrangiata. Fleming le buttò davanti i fogli presi.

«E questi cosa sono?» domandò lei, continuando a fissare un fluido che gocciolava attraverso un filtro. «Altre formule per i batteri?»

«No,» disse Fleming, «formule per Andromeda.»

Madeleine smise di lavorare e lo guardò interrogativa. «Chi le ha programmate?»

«Lei stessa. Io l’ho più o meno forzata. Per quello che posso giudicare, è una progressione di cifre che stanno per gli elementi costitutivi chimici che mancano nel suo sangue. Mettila in termini chimici, e potremo darglieli.»

Madeleine prese il foglio e si lasciò cadere su una sedia. «Ci vorrebbero settimane di lavoro,» mormorò, scorrendo con gli occhi i dati, «ed io ho queste altre cose più importanti.» Agitò impotente la mano in direzione dell’ammasso di storte e provette che era sul banco.

«Che André ci ha permesso di fare,» le ricordò Fleming.

Madeleine sembrò esasperata dall’implicito rimprovero. «Cerchiamo di capirci, John,» cominciò in tono agitato. «Per prima cosa, sei stato contrario al fatto che io la creassi. Poi hai voluto che la uccidessi appena era stata fatta. Poi hai preteso che fosse tenuta lontana dal calcolatore. E adesso…»

«Voglio che viva.»

«E noialtri?» domandò lei. «Vuoi che noi viviamo? Quante cose credi che io possa sobbarcarmi? Le mie energie sono limitate. Sono sola e completamente sfinita. A volte ho l’impressione che il cervello mi vada in acqua.» Cercò di riprendersi e gli sorrise. «Credi forse che non cercherei di salvarla, se potessi? Ma tutti gli altri sono milioni, John, e la loro vita è in pericolo. Non so nemmeno se tutto ciò funzionerà. Comunque, a parte questo, anche se andrà bene, dovrò riuscire a farne in tempo una grande quantità.»