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Il Primo ministro gli lanciò un’occhiata penetrante. «Grazie per avermelo ricordato,» ribatté con insolita secchezza. «E che ne è dei guardiani del calcolatore, quel tipo — Fleming — e della ragazza?»

«Sono tutti e due laggiù, signore,» rispose il ministro della Scienza, «li tengono prigionieri.»

Il Primo ministro si alzò e passeggiò fino al fondo della lunga tavola. «Forse è ora che ci muoviamo anche noi,» disse tranquillamente. «Questa non è una questione come Suez; potremmo avere l’appoggio di altre basi…»

Il ministro della Scienza si mosse, a disagio. «I miei esperti hanno cercato già di valutare questa eventualità, signore. Il loro consiglio è di non farlo. Capirà, signore, che il calcolatore…»

«… ha costruito per loro lo stesso genere di mezzi di difesa che aveva fatto per noi,» finì per lui il Primo ministro. «E così sarà più opportuno appellarsi ai loro sentimenti migliori, non è vero?»

«Sì, signore,» mormorò il ministro della Scienza.

«Non è davvero una gran politica, non le pare?» disse il Premier, «ma dubito che noi — o l’opposizione stessa — riusciremo a trovarne una migliore. Cercherò quelli dello spionaggio perché preparino qualcosa per la B.B.C. Suppongo che ci sia rimasta ancora una qualche stazione che possa trasmetterlo?»

«Daventry funziona ancora, signore,» disse il ministro della Scienza, «c’è l’esercito con un gruppo autogeno. Possiamo benissimo raggiungere l’Azaran sulle onde corte.»

Il bollettino speciale fu trasmesso in inglese ed in arabo ad intervalli di un’ora, durante tutta la notte. Gran parte della prima trasmissione riuscì a giungere nell’Azaran. Dopo di che, per ordine personale della Gamboul, venne disturbata. La Gamboul aveva chiamato Kaufmann nel proprio ufficio, perché ne ascoltasse una registrazione su nastro. Il tedesco sedeva impassibile, mentre il nastro scorreva.

«Qui è Londra, che parla al governo ed alla popolazione dell’Azaran,» cominciò la voce lontana, coperta dai disturbi. «Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Il continente Europa è stato devastato. Il mondo intero è tormentato da una serie di cataclismi naturali, che hanno cominciato a colpire anche il vostro paese. L’aria che respiriamo viene risucchiata dal mare. Fra poche settimane, milioni di noi moriranno; a meno che, attraverso sforzi enormi, tutto ciò non possa essere fermato. Diecine di migliaia di persone stanno già morendo. Il nostro paese è stato duramente colpito. I tre quarti dell’Olanda sono inondati. Venezia è stata quasi tutta distrutta da un maremoto. Le città di Rouen, Amburgo e Düsseldorf non esistono più.»

«Düsseldorf.» Kaufmann ripeté la parola, mentre i muscoli della sua faccia si stiravano.

La Gamboul lo ignorò, continuando ad ascoltare il nastro. «In questo momento, violente tempeste stanno tormentando l’Atlantico e si dirigono verso l’Europa. Abbiamo bisogno del vostro aiuto, per fermare il corso degli eventi.»

La voce fu soffocata da un gran numero di rumori. La Gamboul fermò il nastro. «A questo punto abbiamo cominciato a disturbarlo,» spiegò.

«Ciò che voglio capire da lei, Kaufmann, è in che modo siano venuti a sapere che noi c’entriamo per qualcosa.»

Kaufmann la guardò senza espressione. «Düsseldorf,» ripeté, «era la mia città. Il mio vecchio padre…»

«Si suppone che dovremmo avere un buon servizio di sicurezza,» ribatté secca la Gamboul. «E ne è incaricato lei, Herr Kaufmann.»

Kaufmann sembrò destarsi da un sogno. «Abbiamo fatto del nostro meglio,» disse con aria ostinata.

La Gamboul si strinse nelle spalle. «Ormai non ha importanza. Appena la Dawnay avrà la nuova coltura di batteri, qui saremo in salvo. Dopo di che, li faremo avere anche agli altri — alle nostre condizioni.»

«E intanto,» disse il tedesco lentamente, «il resto del mondo dovrà aspettare e morire? A lei non importa? E crede che anche agli altri non importi?»

La Gamboul non si accorse dell’odio con cui l’uomo la fissava. «Il mondo dovrà aspettare,» ribatté, «io sola so quello che va fatto. Gli altri non lo sanno.»

Kaufmann la stava sempre guardando fissamente. Alla fine, Janine cominciò a sentirsi un poco a disagio, sotto quello sguardo.

«Ricordi, Herr Kaufmann,» disse, «lei ed io non siamo gli altri.»

11

Tornado

Fedele alla sua parola, Janine Gamboul fece in modo che ogni ordine della Dawnay avesse la precedenza su tutti gli altri. Le risorse della Intel erano tali che, persino nelle caotiche condizioni dell’Europa, fu possibile localizzare i materiali, acquistarli e portarli in Azaran per via aerea. Ancora più notevole fu la rapidità con la quale furono trovati alcuni giovani e brillanti chimici, specializzati in batteriologia o nella struttura molecolare dell’acido nucleico. Due di essi erano degli studenti appena laureati a Zurigo, ed una giovane chimica del gruppo di ricerca stipendiata dalla più grande ditta farmaceutica tedesca. Dalle risposte che dettero a Madeleine, parve chiaro che erano venuti del tutto spontaneamente, attratti non solo dal favoloso stipendio, ma dalla speranza di lavorare per quello che era stato presentato loro come un nuovo ed eccitante ramo della ricerca scientifica, in quella che speravano essere una parte meno tempestosa di mondo. Non avevano alcuna idea dei reali propositi della Intel, né dell’incubo incombente dietro le sciagure climatiche. La gente, in tutto il mondo, sperava ancora che il peggio sarebbe presto passato.

La Dawnay parlò ai suoi aiutanti di tutta la situazione, ma tacque la teoria sull’origine dei batteri.

Li fece lavorare fino ai loro limiti di resistenza. Essi si resero conto ben presto dell’urgenza della cosa, e divennero i suoi devoti servitori. Del resto, Madeleine stessa era già al lavoro quando loro arrivavano, al mattino, e rimaneva ancora al lavoro quando, stanchi, se ne andavano per il riposo notturno.

I risultati cominciarono ad apparire prima di quanto la Dawnay avesse osato sperare. Precisamente dieci giorni dopo che si erano messi a lavorare seriamente, la prima gocciolina di batteri sintetici fu deposta su di un minuto schermo di rame, e quindi messa nel microscopio elettronico. Fu un momento drammatico. La Dawnay regolò l’ingrandimento, mentre i suoi assistenti le stavano tutti intorno. Di cinquecentomila volte, poi di un milione. Un milione ed un quarto. Eccola: una forma a molte facce, spigolosa, simmetrica. E non era un inerte cristallo. Viveva.

Senza parlare, Madeleine fece cenno ai suoi assistenti di guardare. Uno dopo l’altro, fissarono il loro trionfo. La vita, infinitamente minuscola, era stata creata.

Con un certo sforzo, la Dawnay riportò se stessa ed i suoi collaboratori alla realtà. Tutto questo non era, in effetti, che una curiosità scientifica; la vera prova restava ancora da fare. I batteri dovevano essere allevati fino a diventare miliardi — cioè appena sufficienti per riempire una provetta. Quindi avrebbero dovuto essere mandati in battaglia contro l’organismo che era il loro nemico predestinato.

Le preziose e sempre troppo poche goccioline furono messe in una dozzina di diversi brodi di coltura. Per sei lunghissime ore non vi fu niente altro da fare, se non aspettare. Il primo controllo mostrò batteri morti in nove delle provette; nelle altre tre avevano raggiunto invece la massima saturazione.

Da queste tre, furono cominciate delle colture più grandi, che si svilupparono benissimo. Era mezzanotte, quando la Dawnay decise che la vera prova poteva cominciare.

Prese dal grande recipiente di metallo una provetta piena di acqua di mare, infestata dai batteri. Era chiusa con un tappo di gomma sterilizzato. Uno degli assistenti riempì da una delle colture riuscite una siringa ipodermica e la porse alla Dawnay. L’ago passò il tappo di gomma, ed il fluido, penetrando nella materia opaca, produsse un piccolo vortice.