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«Suo cugino starà benissimo, e anche il resto della famiglia,» insisteva Neilson, con un ottimismo che non provava.

Ma le cose non andavano affatto bene per nessuno di loro. Yusel era arrivato alla casa di Abu poco dopo che Lemka era uscita con il cibo per Neilson. Avrebbe voluto partire più presto, nella speranza di riuscire ad accompagnare sua cugina perché aveva delle buone notizie per l’americano: il giorno seguente avrebbe potuto far passare un messaggio per Londra.

Nella sua eccitazione, non aveva fatto molta attenzione durante il viaggio; quindi non aveva visto, attraverso la pioggia e le tempeste di sabbia, una macchina che lo seguiva a circa un chilometro di distanza.

Di conseguenza, era assolutamente impreparato quando la porta della casa di Abu si spalancò e Kaufmann si precipitò dentro con due soldati. Senza aspettare ordini, questi lo afferrarono e, in un attimo, lo imbavagliarono, legandolo ad una sedia per i polsi e le caviglie.

Mentre la madre di Lemka si stringeva contro il muro, tenendo tra le braccia il bambino, Kaufmann cominciò metodicamente a colpire il volto di Yusel con il dorso della mano. I colpi non erano eccessivamente forti, ma continuarono a cadere senza sosta, prima da un lato della testa, poi dall’altro. Yusel cominciò ad essere stordito, quindi cadde in una semiincoscienza. Kaufmann fece un passo indietro, respirando pesantemente. Lo sguardo con cui gli occhi della vecchia donna lo fissavano, al di sopra del velo, lo metteva a disagio. C’erano stati altri, molti anni prima, che lo avevano guardato così — altri che forse avevano dovuto piegarsi per un poco, ma il cui spirito aveva continuato a sfidarlo. «Portate la vecchia ed il bambino fuori di qui,» ringhiò.

Appena un soldato ebbe spinto in cucina la donna con il bimbo, Kaufmann tolse il bavaglio a Yusel. «E adesso, abbi un po’ di buon senso,» disse, dandogli un altro schiaffo, per fargli riprendere i sensi. «Sono un uomo ragionevole, e non mi piace usare la forza, ma devi renderti conto che potrebbero succedere delle cose sgradevoli. Non accadrà nulla se risponderai ad una semplice domanda. Chi hai fatto entrare nel paese?»

Yusel lo fissò con occhi vitrei. Inghiottì saliva ed ebbe un attimo di esitazione; Kaufmann lo colpì di nuovo. La mente di Yusel vacillò. Il capo gli cadde in avanti e ancora una volta perse coscienza. Uno dei soldati lo fece rinvenire con una dolorosa stilettata di baionetta, e Kaufmann ripeté la domanda.

«Il professor Neilson,» mormorò Yusel.

Kaufmann rimase con il respiro mozzo. «Neilson!»

«Il padre,» balbettò Yusel, «il padre del giovane scienziato…»

Kaufmann chiuse un attimo gli occhi in un moto di sollievo. Per un terribile attimo aveva avuto l’impressione di vedere un fantasma. «Perché lo hai portato qui?» ringhiò. «E dov’è?»

Yusel rimase in silenzio. Guardò le mani di Kaufmann che si chiudevano in pugno e si alzavano lentamente all’altezza delle spalle. Abbassò la testa con vergogna e paura. «Nella grotta sopra il tempio,» mormorò.

«Spiegati meglio,» ordinò Kaufmann.

Una volta cominciato a parlare, Yusel trovò più facile proseguire. Quando si fermava, Kaufmann lo colpiva, oppure un soldato lo pungolava con la baionetta, fino a che non gli ebbero estratto l’intera storia.

Allora Kaufmann grugnì soddisfatto e si volse ai soldati. «Uno di voi lo porti giù, alla macchina. Tenetelo legato. E tu,» si volse all’altro, «vieni con me. Prenderemo questo americano.»

Uscì, accompagnato dal soldato. L’aria era ancora calma, ma, dalla loro destra, veniva uno strano suono basso, la cui nota calava, mutandosi nel rombo del vento. Ansioso di raggiungere la sua preda, Kaufmann gettò appena un’occhiata alla massa scura che si avvolgeva in spirale, sfiorando le creste delle colline più lontane, sul lato opposto della catena.

Il tornado li colpì quando furono in vista del tempio. Mezzo annegati sotto una valanga d’acqua, incapaci di reggersi diritti per il vento, strisciarono verso la scarsa protezione creata dalle grandi colonne di marmo cadute. E lì rimasero, appiattiti, tutti e due tremanti di una paura mortale, mentre la tempesta cessava improvvisamente come era cominciata.

«Torniamo indietro,» ansimò Kaufmann, «prima che venga un altro uragano. Vai a vedere se il tuo compagno ed il prigioniero stanno ancora bene. Io andrò ad accertarmi della vecchia e del bambino.»

Aveva una vaga idea di tenerli come ostaggi, ma, quando arrivò al villaggio, la casa non esisteva più. Il tetto piatto di pietra era volato via, facendo crollare le mura. Kaufmann si chinò a guardare attraverso il buco contorto che era stato una finestra, ma si voltò di colpo. Il corpo schiacciato di una donna non era una vista piacevole…

Trovò i soldati occupati con la macchina; l’acqua aveva bagnato i fili dell’accensione, e ci volle una buona mezz’ora prima che riuscissero a metterla in moto. Yusel giaceva sul sedile posteriore, imbavagliato e legato. Kaufmann passò il tempo dell’attesa in piedi, guardando ora verso il tempio, ora le rovine della casa, che era ormai la tomba della vecchia e probabilmente del bambino. La sua mente era piena di timore e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, di qualcosa simile al rimorso.

Il motore tossì, ritornando in vita, poi rombò regolarmente. Kaufmann sedette accanto al guidatore. «Va’ più in fretta che puoi,» ordinò, «prima che un’altra tempesta ci colga nel deserto. E vai dritto alla residenza di Mam’selle Gamboul. Porterò lì il prigioniero. Mam’selle Gamboul vuole interrogarlo personalmente.»

Arrivarono che il cielo stava diventando di nuovo scuro come di notte. Mentre scendevano dalla macchina, udirono l’urlo di un secondo tornado, che si avvicinava dal lato opposto della città. Kaufmann corse al riparo, nella casa, lasciando Yusel nella macchina.

La Gamboul era seduta come sempre alla scrivania. Il suo viso era soltanto una macchia nel buio; l’elettricità non funzionava e le pesanti tende erano state strappate via dalle finestre, dove anche i piccoli pannelli dalla forma complicata erano caduti in pezzi.

Janine alzò il capo quando Kaufmann si avvicinò alla scrivania. «Ah, eccola qua,» disse con voce impaziente; «voglio che lei vada al campo appena la tempesta si placherà e telefoni a Vienna. Dica loro che ora comandiamo noi, e che dovranno prendere gli ordini da qui.»

Kaufmann non si mostrò sorpreso. «Non telefonerò a Vienna,» disse con deliberata lentezza. «Vi sono alcune cose nelle quali lei non può mischiarsi, e questa è una. Io mi ci sono trovato; ed ho notizie importanti.»

Janine si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, mettendosi da un lato, per evitare i vetri rotti che potevano caderne.

«Ha paura anche lei, non è vero?» sogghignò. «Tutti temono la responsabilità, e non vogliono correre rischi. Oggi pomeriggio ho visitato la ragazza. Sta morendo, quella là. E sta vaneggiando, mentre muore. Mi ha detto che il calcolatore ha sbagliato, che il messaggio non diceva questo. Ma io lo so, Herr Kaufmann, io lo so! Il potere e la conoscenza sono nelle mie mani. Nessun altro li ha.»

Kaufmann traversò la stanza e le si mise accanto. In un punto della città era scoppiato un incendio. Malgrado la pioggia, il vento stava sferzando il fuoco, tramutandolo in un piccolo rogo.

«I rapporti su tutto quello che avete fatto nell’ultimo mese sono stati fatti uscire dal paese,» disse lui, «e c’è un uomo che è riuscito a rimanere qui per qualche tempo. Sta aspettando, per poter portare un campione dell’antibatterio a Londra.»

La Gamboul girò su se stessa. «Lei lo fermerà, naturalmente,» disse con tono minaccioso.

Ma Kaufmann scosse la testa. «Non lo farò.» La sua voce era quasi gentile, mentre proseguiva. «Lei è pazza. Ci porterebbe tutti alla rovina.»

«Povero piccolo uomo.» Janine non sembrava adirata, ma solo sprezzante. «Lei è come tutti gli altri. Non ha abbastanza immaginazione per capire. Venga qui!»

Improvvisamente, si mosse verso la porta a vetri che dava sul terrazzo e girò la maniglia per aprirla. Ma dovette poggiarvisi contro con tutta la sua forza per riuscire a muoverla contro vento.