Выбрать главу

André cercò faticosamente di sedere. «Non era nel messaggio che noi dovessimo…» Si fermò e ricadde sui cuscini, esausta. «Ho tentato di dirlo alla… ma non mi ha ascoltato. È venuta l’altra notte. Le ho detto di dare retta a me, e non al calcolatore. Ma…»

«Vuoi dire la Gamboul?» disse Madeleine quietamente. «È morta, André. Ora c’è Kaufmann in carica.»

André annuì piano, come se lo sapesse. Le sue dita cercarono quelle della Dawnay. «Mi crede?» domandò. Vide Madeleine che annuiva; le sue dita si aprirono, ed ella giacque ad occhi chiusi ancora una volta. «Mi dica quello che è successo ed io le dirò cosa fare.»

Più rapidamente possibile, Madeleine le dette un rapido ragguaglio della situazione, per quanto ne sapeva. Mentre stava terminando, pensò che André si fosse addormentata o fosse entrata in coma, tanto a lungo la vide rimanere immobile. Ma, dopo almeno cinque minuti, la ragazza prese a parlare in tono monotono.

La Dawnay la ascoltava intenta; la responsabilità che André stava gettando sulle sue spalle era tremenda. Era una cosa da intimidire chiunque, ma anche esaltante. I motivi razionali e logici erano l’unica cosa che la sua mente scientifica desiderava. Quando André ebbe finito, si limitò ad una breve risposta.

«Vado immediatamente.»

Mezz’ora dopo, era già al palazzo presidenziale e chiedeva ad un cameriere di condurla immediatamente dal presidente. Era arrivata con una macchina che aveva guidato lei stessa, dopo averla prelevata dal parcheggio della Intel, dove era una delle poche non danneggiate. Per la prima volta si trovava di nuovo davanti ad un volante, dai giorni della sua gioventù, quando ancora studiava. La sua andatura incerta non creò nessun problema; l’acqua aveva distrutto la strada in molti punti; i detriti delle case pericolanti dovevano essere continuamente evitati. Davanti al palazzo non c’erano guardie.

Il presidente la ricevette immediatamente. Era seduto sulla solita sedia dallo schienale rigido ed alto, ed appariva più vecchio di molti anni, rispetto al giorno in cui lo era andata a trovare.

La sua cerimoniosa cortesia non era cambiata; si alzò, si chinò sulla sua mano e le indicò una sedia. Il piccolo servo negro era ancora fedelmente al suo posto. Il presidente gli disse di andare a vedere se poteva trovare qualcuno che facesse del caffè. Poi tornò alla propria poltrona.

«Il paese sta morendo, professoressa Dawnay,» disse semplicemente.

«L’intero mondo, forse,» replicò lei. «È per questo che sono venuta. Lei ha il potere di aiutarci. È stato informato del fatto che la signorina Gamboul è morta?» Il presidente annuì. «E così siete liberi.»

«Liberi!» esclamò lui amaramente. «È un po’ tardi.»

«Forse no,» insistette lei. «In parte dipende da lei, Eccellenza. Se l’antibatterio che ho costituito viene usato dalla Intel, e se funziona, allora avremo un mondo della Intel. Kaufmann fisserà un prezzo prima di cederlo.»

«Mi è stato detto molto poco, ma ho potuto capire ugualmente il corso che hanno preso le cose. Cosa posso fare per fermare questo Kaufmann? È come gli altri: Salim, Mam’selle Gamboul…»

«Tratteremo con Kaufmann,» promise la Dawnay, «mentre lei manderà all’estero l’antibatterio, come dono dell’Azaran. Sarà il primo atto di una nazione libera.»

Egli la fissò con i suoi occhi tristi ed intelligenti. «Oppure l’ultimo,» suggerì.

«No, se tutti i laboratori del mondo ne riceveranno una scorta. In questo caso avremmo una speranza. Se riusciremo a farlo nel modo giusto, attraverso le persone giuste.» Pensò alle lunghe battaglie combattute con le autorità, a Thorness. «Da quando il messaggio è stato ricevuto, ed un calcolatore costruito per spiegarlo, poche persone hanno lottato con tutte le loro forze per mantenere questo potere lontano dalle mani sbagliate e metterlo in quelle giuste.»

«E cosa sono le mie?» chiese lui mitemente.

«Quello che noi ne faremo per lei!»

Il ragazzo negro entrò con un vassoio. Il presidente versò il caffè e ne porse una tazza alla Dawnay. Prima di parlare, sorseggiò lentamente il proprio.

«E così, voi siete nel giusto?» mormorò, fissandola acutamente. «E verso chi sarete responsabili? Centinaia di migliaia di persone sono morte a causa — mi perdoni — di questi vostri esperimenti.»

Madeleine sentì il sangue che le arrossava le guance ed il collo; segno visibile dei suoi sentimenti e del suo enorme senso di colpa. «È stato un incidente,» disse goffamente. «Sarebbe potuto avvenire in qualsiasi esperimento. Ho commesso un errore.»

Un poco del fuoco degli anni rivoluzionari accese brevemente il volto del presidente, mentre si alzava in piedi, di fronte a lei.

«Altre centinaia di migliaia dovranno forse morire per correggere il suo errore,» disse, «gli errori dei politici sono a volte costosi, e talvolta gli uomini d’affari fanno del loro meglio per profittarne. Ma voi scienziati siete in grado di uccidere una metà del mondo. E l’altra metà non può vivere senza di voi.»

La sua ira si acquietò. Sospirò e si permise un leggero sorriso. «Sono nelle sue mani, professoressa Dawnay. Mi perdonerà se aggiungo, però, che preferirei non fosse così.»

La Dawnay tornò al campo decisa a modificare gli eventi nel modo che sapeva essere necessario; ma la responsabilità che si era assunta la spaventava. Sentiva acutamente il bisogno della catarsi che la mente critica di John di solito provocava in lei.

Lo trovò nell’area dei servizi, dietro il calcolatore. Stava lavorando ad un tavolo coperto di carte.

«Ciao,» le disse pigramente, «mi sono scavato un buco qui, al riparo dalle brezze del deserto e dalle interruzioni.» Guardò il suo orologio da polso. «Dio, guarda che ora è! Ho cercato di lavorare a questa cosa per André. Ho già fatto la maggior parte delle conversioni chimiche. Ma non ne viene fuori niente di comprensibile, maledizione.»

Le lanciò dei fogli. Madeleine li scorse rapidamente.

«Se fosse sbagliato, sarebbe letale,» disse brevemente.

«Sta morendo comunque, no? Ho provato in tutti i modi…»

Madeleine lo interruppe impaziente. «John, non c’è tempo per questo.»

Fleming la guardò. «Usatela e poi buttatela, eh?»

Madeleine arrossì. «C’è qualcosa che deve venire prima. Oppure hai dimenticato quello che sta distruggendo tutto il resto del mondo?»

«No, non l’ho dimenticato,» rispose lui.

«Abbiamo fatto una quantità di errori,» continuò lei. «Tutti e due. Sto cercando di rimettere le cose a posto perché è l’unica speranza che abbiamo. Quello che succederà del mondo dipenderà da noi, dal fatto che riusciamo ad avere la meglio o che ci riesca Kaufmann.»

Il ghigno di lui fu sardonico. «Hai avuto anche tu il trattamento, come la Gamboul?»

«La Gamboul è morta,» disse Madeleine senza espressione.

«Morta?» Fleming balzò in piedi. «Allora la macchina è saltata! Ha fatto un tentativo con noi ed ha fallito!»

Madeleine scosse la testa.

«Non è andata bene lo stesso. La Gamboul doveva soltanto proteggerci fino a che non fossimo in grado di usare il nostro giudizio.»

Fleming accennò verso i massicci pannelli del calcolatore.

«O il suo…»

«Il nostro giudizio, John,» ripeté lei. «Siamo noi a prendere le decisioni, ora. Non capisci che questo può essere l’inizio di una nuova vita?»

Fleming raccolse le carte che erano sul tavolo in un mazzo disordinato. «Meno che per André,» disse duramente.

«Dovrà aspettare. C’è tanta altra gente che sta morendo, insieme a lei.»

Fleming dovette accettare la logica del ragionamento, pur non cessando di soffrirne. Ammirava Madeleine e le era amico; proprio per questo, fu ancora più nauseato dalla ben nota e corruttrice aria di potere, che ora sentiva aleggiare intorno a lei.

«Al diavolo tutto,» disse, «non riesco più a pensare, stasera. Sarà meglio che cerchiamo di dormire un poco, prima che il vento ci porti via il tetto.»