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«Ti sei salvata da te,» disse affettuosamente la Dawnay, «con John ed il lavoro del calcolatore.»

«Che cosa farà lui adesso, se io… riesco a sopravvivere?» domandò André.

«Non lo so.» La Dawnay se lo era chiesto tante volte, che aveva cominciato ad aspettare e temere questa domanda. «John è diviso. Una parte di lui vuole continuare come prima, l’altra è spaventata. Siamo tutti così; ma la paura non ci impedisce completamente di andare avanti.»

«Ed io dovrei restare per andare avanti?»

«Per molto di più. Qui, sulla nostra piccola terra accogliente, eravamo abituati a pensare di essere protetti dall’esterno semplicemente dalla distanza. Adesso vediamo che l’intelligenza — una pura, forte intelligenza — riesce a valicare abissi di spazio ed a minacciarci.»

«Pensa ancora a me come ad una minaccia dal di fuori?»

«No,» rispose Madeleine, «io non lo penso.»

André sorrise. «Grazie per questo. Non potrei vederlo presto?»

«Sei abbastanza forte per alzarti, adesso,» annuì la Dawnay, «lui dovrebbe vederti. Sì,» continuò dopo una pausa, «andremo da lui insieme appena potrai camminare.»

Una sera della settimana seguente, Fleming tornò alla macchina. In parte per acquietare la propria coscienza, ed in parte perché aveva bisogno di un aiuto non tecnico, aveva invitato Yusel a lavorare al calcolatore. Lo stipendio era buono, il che sarebbe servito ad aiutare Lemka ed il bambino.

Quando la Dawnay entrò, l’arabo si scusò e la lasciò sola con Fleming.

«John,» disse lei, «André è qui.»

Fleming la guardò stupefatto.

«Dove?»

«Fuori.» Sorrise un po’ ironica alla meraviglia di lui.

«La cura ha funzionato, John; ce l’abbiamo fatta. Adesso sta bene.»

Per un attimo, pensò che Fleming non avrebbe risposto affatto. Ma poi lo sentì dire con voce addolorata: «E perché non me lo hai detto prima?»

«Non ero sicura di stare procedendo nella direzione giusta.»

Fleming la fissò incredulo. «E così, ora l’hai riparata. E la prima cosa che fai è di riportarla qui — alla macchina! È tutto così semplice, così previsto, come se ci fossimo abituati.» Volse il viso accigliato. «Ma come potremo andare avanti a competere con lei ed il calcolatore?»

«Questo dipende da te,» replicò Madeleine. «Io non ti posso aiutare. Il mio lavoro è finito; vado a casa domani.»

«Non puoi!» esclamò John.

«Tu volevi che guarisse,» gli rammentò lei, ma Fleming la fissò e fu come se, attraverso Madeleine, vedesse un fantasma.

«Ma non puoi lasciarmi così,» implorò, «non con lei qui!»

Madeleine non l’aveva mai visto chiedere aiuto prima di allora. «Sta’ a sentire, John,» disse gentilmente, «non sei un bambino che si nasconde dietro le vesti della madre. E suppongo che tu sia uno scienziato. André non ha mai usato di te o di me. Siamo stati noi che abbiamo messo sottosopra il mondo. Ed è stata André che lo ha salvato.» Si avviò verso la porta, avvicinandosi alla ragazza che aspettava. «Ti vedrò ancora, prima di andarmene.»

André si avvicinò a Fleming camminando svelta, fermandosi davanti a lui sorridente, come una scolaretta felice. Era ancora sottile e pallida, ed i suoi occhi sembravano ancora enormi sopra gli zigomi alti e magri; ma non aveva più l’aspetto malato. Era viva e vibrante, ed aveva acquistato una bellezza in certo modo più delicata, che lo commosse a dispetto di se stesso.

«Non posso credere che tu stia così,» disse.

«Non sei contento?»

«Certo che lo sono…»

«Hai paura di me?»

«Soltanto quando sei una bambola meccanica, una marionetta.»

Le sue guance si soffusero di rossore, e André scostò con una mano i capelli dal volto. «E tu non lo sei? Tu pensi a te stesso ancora come ad una creatura divina ed unica. Ci sono tremila milioni di persone come te soltanto su questa terra. E sono — siamo — tutte marionette che ballano appese a fili.»

«E allora balliamo.» John rimase con le mani in tasca, immobile.

«Io farò tutto quanto mi chiederai,» disse lei. «Tutto quello che so è che non possiamo prendere strade separate.»

Fleming tirò una mano fuori della tasca e carezzò quella di lei. «Allora andiamocene da qui,» disse. Si volse a guardare la massa grigia del calcolatore. «Dopo che l’avremo distrutto. Lo faremo veramente bene, questa volta. Poi ce ne andremo in qualche posto pieno di pace, come quell’isola con quel tipo — come diavolo si chiamava — Preen.»

«Va bene,» disse André, «faremo come vorrai. Te l’ho detto tante volte. Ma ci hai pensato? Ci hai pensato veramente? Credi che ci sarà permesso di vivere in pace più di quanto non sia stato permesso a Preen? L’unico posto tranquillo per noi è questo. Se noi lo accettiamo, e la sua protezione, accetteremo quello che è stato previsto.»

«Previsto! Di nuovo questa dannata parola. E cosa è stato previsto?»

«Quello che vorrai. Sarà fatto qui e nel resto del mondo.»

«Temo di non essere tagliato per fare il dittatore.»

«L’unico tipo possibile di dittatore è qualcuno che non sia tagliato per farlo,» disse lei, «qualcuno che sappia.»

«Che sappia cosa?»

«Ti farò vedere quello che avevo mostrato alla Gamboul,» disse André, «stai vicino a me.»

Obbediente, John rimase accanto al pannello e mise in fase gli interruttori, mentre lei controllava i numeri. André si sedette, attenta e piena di aspettativa, con la propria mano su quella di lui.

Il calcolatore cominciò a ronzare. I relay entrarono in azione, lo schermo si illuminò. Come in un film che viene messo a fuoco, le ombre divennero più piccole e più precise, ed acquistarono una forma ed una prospettiva.

«Sembra la Luna,» mormorò Fleming, «montagne morte, valli piene di polvere.»

«Non è la Luna,» sussurrò André, senza staccare gli occhi dallo schermo; «è il pianeta dal quale è giunto il messaggio.»

«Vuoi dire che ci stanno mostrando loro stessi?» Fleming fissò le ombre ed i riflessi bizzarri. «L’illuminazione è completamente diversa.»

«A causa della sua sorgente,» spiegò lei, «il loro sole è azzurro.»

Si concentrò sullo schermo, e l’immagine cominciò a muoversi. Lo scenario si spostava orizzontalmente, ad una velocità sempre crescente, fino a che il quadro divenne una macchia di luce incandescente. Poi la scena rallentò, e rimase di nuovo immobile. Era un’immobilità terribile, quella che si vedeva ora, la rigidità assoluta di un’età senza tempo.

Un’enorme pianura si stendeva sul fondo, dove si confondeva con il cielo oscuro. Più avanti, sul terreno, giacevano mostruose forme allungate, disposte a caso ed apparentemente mezzo sepolte sotto la superficie dall’aspetto morbido e polveroso del terreno.

Fleming sentì che il mento cominciava a tremargli. «Dio mio,» sussurrò, «che cosa sono?»

«Sono loro,» disse André, «quelli che lo hanno mandato. Quelli ai quali si suppone che io sia simile.»

«Ma sono senza vita!» si corresse, «sono immobili.»

André annuì, con gli occhi spalancati e fissi sullo schermo.

«Naturalmente,» disse, «dei cervelli veramente grandi non possono muoversi più di questo calcolatore. Non ne hanno bisogno.»

«La loro superficie sembra solida. Come riescono a vedere?»

«Gli occhi sarebbero inutili. La luce azzurra distruggerebbe qualsiasi tessuto o fibra nervosa del tipo che conoscete voi. Essi vedono con altri mezzi, esattamente come, del resto, hanno anche gli altri sensi diversi da quelli che la gente…» esitò un attimo «…la gente come noi ha sviluppato.»

L’immagine cominciò a rompersi. Delle sezioni se ne staccarono e sparirono dallo schermo. Molto presto, tutto fu cancellato. Rapidamente, ogni cosa scomparve.